venerdì 28 giugno 2013

Idee su(lla) carta


Ci sono idee che acquistano un diverso valore se si possono toccare, afferrare; aprire, sfogliare, riporre.
Se potessi mangiarmi un idea avrei fatto la mia rivoluzione, diceva Gaber...
Così, ad un anno dalla prima “uscita”, totalmente virtuale, di Paganesimi Elettrici, mi sono deciso a dare sostanza a qualcosa che stava trasformandosi in un presenza quasi ectoplasmatica, frammentata tra URL, post, social network e quant'altro.
Volevo dargli una forma, una geometria; materia, concretezza. Unitarietà.
Ed eccolo quindi, stampato e rilegato, che sta nel disordine della scrivania tra Lezioni Americane e i libri di Lester Bangs.

Wow!!

Piccole soddisfazioni private.

Una grafica un po' differente, errori e refusi qua e là...
A dire la verità, sfogliandolo ora, cambierei almeno i tre quarti delle virgole e della punteggiatura in generale. Rimaneggerei molte cose, ad anzi già avevo cominciato una revisione approfondita.
Ma dopo tutto… chi se ne importa. Mica posso atteggiarmi ad impegnato scrittore esordiente, quale non sono. Scrittore, intendo.
I racconti resteranno così, nella loro forma grezza, spigolosa e non sempre corretta.
Per risparmiare sulla spedizione ne ho stampati una decina, magari ci faccio i regali a Natale…


...nel frattempo se qualche amico, qualche follower appassionato o solo qualche passante curioso ne volesse una copia, fatemi un fischio: sul blog, via mail, sui social... e vi recapiterò un vecchio e polveroso libro elettronico che finalmente ha trovato la sua forma concreta!


... per ulteriori info:

theevilmonkeysrecord@libero.it

sabato 22 giugno 2013

Gli album della memoria



A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com'era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta soltanto adesso nelle vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella che era.
Guardatevi dal dir loro che talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome, nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. E’ vano chiedersi se essi sono migliori o peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città che per caso si chiamava Maurilia come questa.

Italo Calvino – Le Città Invisibili – Le Città e la memoria, 5

venerdì 21 giugno 2013

L'occhio colorato del Rock



Con enorme ritardo, un ricordo di un personaggio che, pur non essendo musicista, ha segnato come pochi la storia del Rock, Storm Thorgerson, scomparso appena due mesi fa.
L'articolo integrale potete trovarlo sulla rivista elettronica The Circle Review, scaricabile al seguente indirizzo:


Qui solo una brevissima carrellate di tre opere (...già viste e riviste su questo blog...) di un vero gigante del Rock Design!

martedì 18 giugno 2013

Rich Bale - Roundabout



Rich Bale.
Un’ ombra che ha battuto incessantemente i confini della Landa della Fama, sfuggendo alla grande popolarità con il tempismo di un terrorista incappucciato. Ha nascosto le sue tracce; lasciando che il suo ricordo si perdesse dopo l’ultima marea del punk.
Emerso tra le onde del surf a metà anni ’60, quando era titolare di un complessino da spiaggia che rivaleggiava con le prime incarnazioni dei Misunderstood, rivelò subito il lato oscuro, piagato e dolente di quell’ultra chitarrismo alla Ventures che sembrava immune agli sconforti e alle malinconie.
Dopo anni difficili, passati tra comuni sulfuree al confine col Messico e liaison mai concretizzate con giovani gruppi di irridente revisionismo come Magic Band e Little Feat, ritorna alla piccola, piccolissima, ribalta nel 1973 con questo Roundabout, di fatto l’unico long playng esistente a tutt’oggi a suo nome e dunque già assurto a vertici di bramosia collezionistica.
Dentro il sontuoso calendario precolombiano abbozzato in copertina, ci sta tutto il repertorio di un chitarrista realmente personale, tanto particolare da stare ai limiti dell’isolazionismo sonoro.
Un Link Wray senza occhiali e giacca di pelle, che guarda distante l’esasperato twangy di Duane Eddy passato attraverso la lezione di tutti i vari Hendrix, Clapton, Page che ne oscurarono la fama e ne intristirono lo sguardo.
Il primordiale degli ultimi guitar hero, passatista assoluto, collezionista di memorie inutili, che ancora fa dello staccato e dei virtuosismi mediterranei e spagnoleggianti di Misirlou il verbo imprescindibile per ogni pezzo. Lo accompagna una sezione ritmica che scimmiotta qualunque power trio tra L.A. e Detroit (Grand Funk, Frank Marino, BB&A, fate voi…), rinforzata da due sax tenori con precisi compiti di incessanti bordoni armonici, come in una riedizione dei gruppi preferiti da Elmore James. E proprio come nei 45 giri della Flair Records di James, è la Gibson di Rich che occupa tutto quanto lo spazio possibile ed altro ancora, riempiendo qualunque stanza in cui ascolterete l’album. Un mix di riverbero, delay e frequenze basse che sta a colonna sonora di un malinconico e sanguinolento sabba sull’assolata spiaggia di Venice.
Don't Touch Me potrebbe essere il capriccio ombroso di qualche Glenn “Ross” Campbell ritornato frastornato dall’Inghilterra, mentre Uranus è l’omaggio al maestro Nokie Edwards di Ventures In Space, con quella trafila di sirene spaziali che fanno da fondale dipinto ai vagheggiamenti solistici di Rich; disperso, isolato, in preda a quella gioia furtiva e precoce di chi sa che prestissimo perderà tutto. Un Sun Ra ragazzino, con calzoni corti, alla colonia estiva di cui conserva ancora qualche foto ingiallita.
Ed attenzione ai 10 minuti di He'e nalu perché poteste perdervi tra i più consunti clichè da virtuoso senza però annoiarvi mai, senza storcere il naso, perché quelle dita sono tanto fluide da farci dimenticare, che dopo tutto, è una canzonetta da Beach Boys camuffata da jam dei Cream.
La sorpresa arriva alla fine. Perché con Brand New Rollercoaster la spiaggia chiude; il maestrale che annuncia l’inverno si porta via ombrelloni, bikini e canotti gonfiabili. E’ un mastodontico luna park d’un altro secolo, coi sigilli ai cancelli. Nella pulsione cardiaca del basso e nell’invisibile batteria in levare di Tommy Bold, nel perenne barrito morbidamente appoggiato dai sax; c’è una melodia chiaroscura e sghemba che sarebbe piaciuta tanto a Van Vliet quanto ai Morphine, che non travalica mai i confini del Volume, ma si porta appresso un senso di sventura imminente, di presagio oscuro degni dei primi Killing Joke e degli ultimi Doors.
La lunghissima dissolvenza finale è la stessa dissolvenza in cui andarono ad infilarsi la vita e la carriera di Bale.
Fu un relitto del decennio precedente finito per caso negli scaffali impolverati del Classic Rock e del Metal; un album fuori posto, fuori tempo.
Fuori.
Quindi da ascoltare, assolutamente.

Kama Sutra – 570  053 – USA - 1973

A1 - Don't Touch Me 4:35
A2 - Surf this blues! 5:18
A3 – Uranus 5:54
B1 - He'e nalu 10:35
B2 - Brand New Rollercoaster 8:11

sabato 15 giugno 2013

Gli album del desiderio


Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che e il modello d'un’altra Fedora. Sono le forme che la città avrebbe potuto prendere se non fosse, per una ragione o per l'altra, diventata come oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando Fedora qual era, aveva immaginato il modo di farne la città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e quello che fino a ieri era stato un suo possibile futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di vetro.
Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita, sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando di specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva raccogliere le acque del canale (se non fosse stato prosciugato), di percorrere dall’alto del baldacchino il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla città), di scivolare lungo la spirale del minareto a chiocciola (che non trovò più la base su cui sorgere).
Nella mappa del tuo impero, o Grande Khan, devono trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le piccole Fedora nelle sfere di vetro. Non perché tutte ugualmente reali, ma perché tutte solo presunte. L’una racchiude ciò che è accettato come necessario mentre non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come possibile e un minuto dopo non lo è più.

Italo Calvino - Le Città Invisibili - Le città e il desiderio 4

sabato 8 giugno 2013

Il Bollettino di Capitan Vinile – Giugno 2013 - Il Figliol Prodigo

Ne sentivate la mancanza...?


...scusate il ritardo, miei prodi.

Ho appena finito di ascoltare un lp di glam olandese Use Your Imagination dei Mud (…ecco da chi hanno copiato i Guns!).
Potete ben capire che è stato un ascolto impegnativo, di quelli da ben ponderare, da farsi lentamente, con giudizio, che ti prendono almeno 3 o 4 giorni. Poi Evil Monkey ha pure festeggiato l’anniversario del blog, e quindi mi sono tenuto alla larga per un po’...
Purtroppo non sono riuscito a ricomporre quell'enorme articolo di 6000 battute sulle cover gatefold del prog britannico tra il 1969 e il 1972, con tanto di guide illustrate ai design di Charisma e Island!

Avete l'acquolina in bocca eh?

Siete ai limiti dello sbavamento?

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