domenica 31 maggio 2015

Day of the Monkey


Il giorno della Scimmia...
Cosa sono? Due, tre anni di blog?
Non sono un fan del passato prossimo, preferisco quello remoto. Le cose, le azioni, i dischi del passato prossimo restano lì in un limbo che attende di essere digerito e passare alla storia, oppure di finire direttamente tra i rifiuti dimenticati.
Ammetto, e mi ripeto presumibilmente, di essere stato, nell'ultimo periodo, un po' spiazzato dai numeri, dalla quantità esorbitante di ascolti "necessari", di informazioni, di flussi, di imposizioni economiche.
Ovvero: ma davvero non possiamo rinunciare ad un'edizione del Live at Fillmore in 5, 6 o 7 dischi? E a ruota The Band, Velvet Underground... Perché questa bulimia?
Davvero siamo di nuovo costretti ad acquistare il vinile per cavalcare l'onda di questo "grande ritorno"
che fa tanto "hip"?
Davvero dobbiamo linkare tutti i nostri social in un apparato di organi di condivisione che urlano nel vuoto.
"Pronto...? C'è qualcuno in ascolto?"


Insomma, che un miglioramento della vita, anche quella virtuale, passi attraverso un "ridimensionamento" lo avevo capito da un po'... Che sia necessario recuperare un contatto, una relazione vera tra le persone che stanno dietro un blog, un profilo, una rivista....in cuor mio l'ho sempre pensato.
E allora... mi lascio con queste considerazioni, mi faccio gli auguri per questo nuovo compleanno di The Evil Monkey's Records, e intanto ringrazio chi qui scorrazza ogni tanto, e lo metto anche in guardia, perché presto chissà che non ci sia un po' di lavoro per voi.
Non retribuito, non riconosciuto e senza tutele.
Siamo poi sempre nella cara vecchia Italia, no?
Un saluto.

Stay Tuned!  

giovedì 28 maggio 2015

Dionne Brègent - Deux (1977)


Album simmetricamente bipartito nelle due facciate, che esalta la vena sinfonica della coppia ben più del precedente, ed attinge ad una molteplicità timbrica da vera e propria orchestra, manovrata come una marionetta robot da due stregoneschi allievi di Stockausen.
Una colonna sonora per l'avvento del profeta bambino in terre di frontiera orientali: un flusso continuo, ora di tumulto ora gentile, che espande a dismisura l'ambient psichedelico degli Agitation Free e culmina nella melodia impeccabile di Gratte-Ciel Polyphonique / Postlude.
Il lato B, due lunghi brani, scorre in un prog elettronico che pesca dal jazz futurista quanto da eroi delle tastiere vecchi di qualche anno ma riesce ad inserirsi alla perfezione nel contesto di fine '70, dimostrando una perizia tecnica ed una fantasia d'orchestrazione impressionanti. E finalmente Vincent Dionne può sfogare sulla batteria tutta la sua insospettabile carica rock.


Dionne-Brégent ‎– Deux - Capitol Records ‎– ST-70.052 - 1977

A1 Ouverture 6:10
Le Prophète (Suite Fraternelle) (17:47)
A2.1 Dans La Mémoire 2:40
A2.2 Évocation De Rê 2:57
A2.3 Léthargie 1:03
A2.4 Chant Fraternel 2:44
A2.5 Danse Françoyse (Médiéval Électrique) 1:51
A2.6 Gratte-Ciel Polyphonique / Postlude 6:52
Campus (10:06)
B1.1 Population
B1.2 Plage
B1.3 Confrontation
B1.4 Pourquoi Pas
B1.5 Fix
B1.6 Surpopulation
B1.7 Corrida
B1.8 Code-Data
B1.9 Implosion
B2 Transit-Express 9:52

giovedì 21 maggio 2015

La musica in Quebec secondo Michel Parent


Per riprendere il filo dell’indagine del QuebecRockSampler, pubblico una chiacchierata che feci via mail con Michel Parent, webmaster e unico curatore del portale Quebec Pop. Appassionato, collezionista, musicofilo di prima categoria, Michel mi ha descritto il suo punto di vista sulla musica del Quebec e sul contesto socio-politico che ne ha favorito l’affermazione.
Illustrando, a mio giudizio, alcuni tratti assai comuni con la scena italiana di fine anni ’60, che potrebbero, perché no, essere utili esempi per spiegare e comprendere meglio il progressive, non solo canadese.
A voi più approfondite considerazioni…

***

The 60s pop music scene in Quebec seems to be much halfway between the European tradition and the "classic" styles imported from the United States. What are, in this context, the most important and original artistic personalities, which may also have contributed to the progressive rock developed in the 70s?

The 60's in Quebec saw the emergence of singer songwriters (Félix Leclerc, Jean-Pierre Ferland, Gilles Vigneault, Claude Léveillée, Robert Charlebois, etc) in parallel with many interchangeable pop artists. I mention "interchangeable" because most of them just translated songs that were already popular in the United States or England so there was little risk of success. This being said, as long as they were good looking and had some vocal quality, they would quickly record those copied songs and make hits with them. Many of them even re-recorded French songs from France and made Quebec hits out of them. Very little popular artists / groups were creating original music, even less anything that would be close to progressive rock music. Most of the bands that would eventually be part of the progressive rock movement started in the early 70s with musicians / singers that were not active in the 60s.

Gli anni 60 in Québec hanno visto l'emergere di cantautori (Félix Leclerc , Jean - Pierre Ferland , Gilles Vigneault , Claude Léveillée , Robert Charlebois) in parallelo con molti artisti pop intercambiabili. Dico "intercambiabili" poiché molti di loro semplicemente traducevano canzoni già popolari negli Stati Uniti o in Inghilterra e quindi c'era poco rischio di insuccesso. Detto questo, a patto che fossero di bell’aspetto e avessero qualche qualità vocale, registravano spicciamente quei brani, facendone delle hit. Molti di loro reinterpretavano anche canzoni francesi e ne tiravano fuori dei successi sul mercato del Quebec. Molti pochi artisti creavano davvero musica originale e ancor meno qualcosa di simile al prog. La maggior parte delle band che alla fine sarebbero diventate parte del movimento di rock progressivo iniziarono nei primi anni '70 con musicisti / cantanti che non erano ancora attivi negli anni '60 .


The '60s in Quebec to were a period of great social, political and cultural changes. How the era of "Quite Revolution" may have influenced the music, and what role has had music in these changes?

That's where the other "half" of the quebec mucicians/artists had an impact, the singer/songwriters were not as wildly popular as their pop counterparts in the 60s but their messages were indeed linked to the quiet revolution. It is the where quebecers in general severed the link with the very controlling catholic church, demanded more power from the controlling English community, good job opportunities, better education for everyone, the public health system and more. I would say that the "original" music of the time reflected the need from the younger generation cut the ties with the past and control their destiny. Some of the changes in the society may have influenced the music and vice versa, the music and songs from a Gilles Vigneault (as an example) fueled the need to control our own destiny as a distinct society from the rest of Canada (French vs English)

Ecco l’altra faccia della musica pop in Quebec: i cantautori. Non erano altrettanto famosi delle loro controparti "pop" negli anni '60, ma il loro messaggio era certamente legato alla Quite Revolution. Fu il momento in cui i “quebecchesi” in generale recisero il legame con il forte controllo esercitato dalla Chiesa cattolica, domandarono più autonomie rispetto al potere della comunità inglese che li governava, pretesero buone opportunità di lavoro, migliore istruzione per tutti ed un sistema sanitario pubblico. Direi che la musica originale del tempo rifletteva la necessità della generazione più giovane di tagliare i legami con il passato e di avere il controllo del proprio destino.
Alcuni dei cambiamenti nella società possono aver influenzato la musica e viceversa; le canzoni di Gilles Vigneault, per esempio, hanno alimentato la necessità di possedere nelle nostre mani il nostro destino, come società distinta dal resto del Canada anglofono.

Why this passion of a whole generation of musicians (Harmonium, Maneige, Morse Code, Octobre…) for the progressive rock?

All these musicians were in their early 20s when they heard the Emerson, Lake & Palmer, Genesis, Pink Floyd, etc, and this is the music that inspired them. Many had studied music at the university and were also attracted by popular music. The clasissism of progressive rock, the complex arrangements, the much longer songs that allow for different movements within a single music piece was probably very attractive to them with their academic background. Progressive rock was moving far away from traditional rock and required complex musical skills which they had. It was a match made in heaven. I would add that the public in general was very attracted to anything progressive from around the world, Italy, the U.K., Germany, France, Sweden, so they were eager to see some local bands performing that type of music. There was also a very popular newspaper called "Pop-rock" where the journalists were very fascinated by progressive music in general and gave a lot of "published" space to the local bands.


Tutti questi musicisti vivevano, più o meno, i loro 20 anni quando ascoltarono Emerson, Lake & Palmer, Genesis , Pink Floyd: questa è la musica che li ha ispirati .
Molti avevano studiato musica all'Università e furono anche attratti dalla musica popolare. Il classicismo del rock progressivo, gli accordi complessi, le canzoni molto più lunghe del normale che permettono diversi movimenti all'interno di un unico brano, sono stati probabilmente molto affascinanti per quelli di loro con una formazione accademica. Il Rock progressivo si stava muovendo lontano dai territori del rock tradizionale e richiedeva complesse abilità strumentali che molti di questi musicisti possedevano. È stata una partita giocata in cielo. Vorrei aggiungere che il pubblico in generale era molto attratto da qualsiasi produzione progressiva estera: italiana, inglese, tedesca, francese, svedese... quindi molti erano ansiosi di vedere band locali cimentarsi in quel tipo di musica . C'era anche un quotidiano molto popolare chiamato "Pop - rock" i cui giornalisti erano molto affascinati dalla musica progressive e che ha dato un sacco di spazio e diffusione alle band locali .

As an "external" and geographically distant observer, the music scene in Montreal (and Quebec in general) appears today - and appeared in the 70s - extremely varied. How appear, in your view, today, the pop and rock of Quebec?

I would say it is quite versatile, we have great jazz musicians, rock bands, singer songwriters, wonderful voices like Celine Dion, Isabelle Boulay, great creators like Cirque du Soleil and yes, still a good list of contributors to the progressive rock catalog, like Jelly Fiche, ExCubus, Miriodor, and many more. I did not live enough in other countries to be able to compare but I know I can dive in any musical direction and find a good Quebec band that performs in that space. Seeing how some of these artists are renowned around the world, I must admit that I believe we have one of the richest musical culture in the world for such a small population.

Direi che è abbastanza variegata, abbiamo grandi musicisti jazz, rock band, cantautori, voci meravigliose come Celine Dion, Isabelle Boulay, grandi creazioni come il Cirque du Soleil e sì, ancora una buona lista di contributori al catalogo del rock progressivo come Jelly Fiche , ExCubus , Miriodor, e molti altri.
Non ho vissuto abbastanza in altri paesi per poter fare confronti, ma so di poter immergermi in qualsiasi direzione musicale e trovare una buona band del Quebec in ogni campo. Vedendo come alcuni di questi artisti sono rinomati in tutto il mondo, devo ammettere che credo abbiamo una delle scene musicali più ricche nel mondo, in rapporto ad una popolazione tanto ridotta.

lunedì 18 maggio 2015

Morse Code - Procreation (1976)


Morse Code strike back.
E nel secondo capitolo della saga, Christian Simard affonda la lama nel cuore del rock sinfonico (vedi la fuga d'organo di Nuage), svincolandosi dalla chanson degli Octobre, in favore di una suite che va montandosi fino ad occupare tutta la seconda facciata, con tre movimenti per un totale di 25 minuti, di cui l'ouverture strumentale che apre il disco è solo premonizione.
Enormi nuvole bianche, arcobaleni di positivismo yankee mutuate dalle contemporanee esperienze più meridionali (i Kansas di Leftouverture, senza l'assillo della hit) o di altri oceani (i primissimi Journey), ma un integrità territoriale sempre riconoscibile nel substrato funk, nelle liriche, in quella romantica combattività che guarda al futuro.
Teatralissima quella vocalità da Gabriel mefistofelico di che canta in Des Hauts Et Des Ha!... con i Quatermass a far da backing band.
E poi la Grand Suite, Procreation, una delle più robuste architetture heavy prog ai due lati dell'atlantico, un poema cosmogonico che si fa grazia di una linea vocale ricca, melodica, pure in un brano che corre sempre sul groove più sfrenato, sulla potenza addirittura heavy metal, e che mai degenera in lambiccamenti solisti cervellotici, facendosi forza su un quartetto dalla coesione sopraffina, memore - o precursore - degli Eloy più maturi e dei Rush meno autoreferenziali. Che schiude orizzonti celesti, quando il mellotron, il synth e l'organo da Chiesa Alta fanno sono la troposfera per i duetti dei solisti di turno.

La Capitol non apprezzò, ma almeno concesse al gruppo di chiudere la trilogia.

Morse Code – Procréation 1976 - Capitol Records – SKAO 70.046


A1          Précréation (Instrumental) 5:07
A2          Qu'est-Ce T'Es V'nu Faire Ici 4:40
A3          Nuage (Instrumental) 4:40
A4          L'Eau Tonne 3:59
A5          Des Hauts Et Des Ha!... 4:27
A6          De Tous Les Pays Du Monde 3:49

Procreation        25:58
B1 Procréation I 6:41
B2 Procréation II 8:49
B3 Procréation III 10:28

giovedì 14 maggio 2015

Vos Voisins - Holocauste A Montreal - 1971

 

Attenzione ai vicini.
Una copertina bianca e nera, monocroma, strafottente (e subito censurata) e pure un titolo che era un mirabile artefatto archeopunk. Una proposta rock lontanissima dalle raffinatezze neoclassiche di Harmonium o Maneige, "progressiva" come potevano considerarsi certe elucubrazioni degli ultimi Yardbirds o dei Cream. Nel concreto, uno scatenato grezzo boogie per manipolo di sciroccati tra lo shock di Alice Cooper e i timbri agli albori dei BOC, costola precoce dello stesso scontroso "joual rock" di Offenbach e Dyonisos, con la dirompente muscolarità Grand Funk di L’ instrumental e it beat eversivo di Voisins (Mon Chum), virale brano d'apertura. Eppure il meglio sta nelle magniloquenti decadenze da sobborgo Mott the Hoople di Tania e Le 3/4 De L'Archeveque, nonchè nella spassosa teatralità da horror seriale di Le Monstre De La Main: Jack the Ripper in formato heavy rock d'antologia, e attenzione, perchè e solo il 1971...
Album di spessore e sostanza, oggi pezzo da sfrenata collezione, purtroppo I'unico della band.
Serge Vallieres presterà una formidabile ed eclettica chitarra rock a Ville Emard e Toubabou.


Holocauste À Montréal - Polydor - 2424 048 - Canada - 1971

Voisins (Mon Chum)            3:10
Sous La Lune            4:46
L'Instrumental            4:27
Tania  5:05
Le Monstre De La Main Ou The Main Monster            6:05
Y'a Juste De T'ça     3:49
Le 3/4 De L'Archevêque            6:07

lunedì 11 maggio 2015

Antblog



Ho di recente aggiunto un libro nella mia galleria di e-book liberamente scaricabili grazie alla magnanimità del Web e dei rispettivi autori.
Si tratta di “antblog” di Antonio Masuri, in arte Ant, l'amico blogger di bochesmalas.blogspot.it, che con pazienza e dedizione ha assemblato l'immane contenuto di anni e anni di blogging in un unico tomo di oltre 500 pagine. E non pago, mi ha addirittura citato come una delle principali fonti di ispirazione a cotanto lavoro.
Una minaccia? Una ripicca?
Ma certo l'amico Ant, e non solo, avrà colto l'amara ironia di queste infelici battute.
Ironia perchè è davvero da matti intraprendere una missione del genere. E del resto è forse da matti pure ostinarsi a tenere in vita blog che indagano la nicchia, della nicchia, della nicchia... Ogni elemento autoreferenziale è casuale...fino ad un certo punto.
Ma è pur vero che ad indagare le ragioni dei matti si possono fare anche strane ed inaspettate scoperte.
In privato, dialogando con Ant, ho avuto modo di esprimere i miei dubbi e le mie riserve su una “operazione editoriale” autoprodotta, culminante con un volume di questo genere, assai costoso e di fatto indistribuibile.
Ma la verità, che è quella che io mi ostino a fare finta di non sapere, è che per Ant, come per Bart, o anche per me, certe avventure non sono affatto operazioni editoriali.
Rispondono a bisogni non reprimibili sviluppati in anni di sbattimento, scrittura a tarda notte ed ascolto compulsivo. Il bisogno di dare concretezza alle proprie idee, unitarietà ai propri appunti, uniformità ed autorialità al tutto.
Il bisogno di esserci, di essere riconosciuti dagli altri, di incarnarsi in qualcosa che non sia solo un feed o uno “stato” su Facebook.
Il bisogno di lasciare qualcosa, magari qualcosa che possa essere messo anche su uno scaffale.
Detto questo, scegliete voi come rapportarvi a questo libro.
Io posso solo dirvi che ho cominciato a sfogliarlo (non lo sto leggendo pagina per pagina, lo ammetto con candore...) e quello che colpisce sono gli spunti e la varietà di sollecitazioni che trasmette.
Non dirò altro; non sono mica prezzolato dal buon Antonio.

Il libro di carta:

quello virtuale:


Dunque, ricapitolando, "Antblog (il libro)" raccoglie quanto pubblicato su un blog che tratta di musica e arte, ma è privo di musica e arte; è ispirato da "Viaggiatori Nella Notte" ma non c'entra niente o quasi...O ancora: il blog è visitato quasi esclusivamente per le innumerevoli immagini che contiene ma che nel libro non ci sono.
Allora perché?
Ancora adesso me lo sto chiedendo e ancora adesso non mi sono dato una risposta.
Intanto, per i più temerari e incoscienti che vogliono correre il rischio di leggere questa roba, dentro è rimasta ancora qualcosina, in questa montagna di pagine, una volta spogliate di quanto detto prima:
qualche striminzita biografia di qualche band indipendente, l'articolo sul succitato "Viaggiatori", qualche turpiloquio su politica e società, qualche disco, la "Virgin Forest" del succitato Evil Monkey, un raccontino, qualche cenno su alcuni artisti, pittori e creativi di ogni genere, un po' d'Italia e i suoi casini infiniti, qualche mistero, qualcosa su Nuoro (la mia città), sulla Apple, sulle miniere in Sardegna (lo so: quella sarebbe la mia destinazione ideale), un po' di calcio e qualche libro. Ma anche tante cazzate...forse troppe.
In bocca al lupo.”

giovedì 7 maggio 2015

Bozze di Musica che non c'è


Sempre più spesso trovo ridondante e addirittura inutile, continuare a scrivere di “nuova musica”, di nuovi album, di nuovissimi artisti.
Ed anche coi “vecchi” in realtà non trovo maggiore soddisfazione...
All'inizio dell'anno ho cercato, senza troppa fortuna, notizie sul numero totale di dischi pubblicati nell'allora appena trascorso 2014. Ho trovato briciole non sempre affidabili sui siti SIAE e FIMI così come sulla famigerata RIIA. Non un dato univoco - e chi l'avesse e mi facesse la grazia di condividerlo...- ad ogni modo numeri variabili ma sempre ben oltre il migliaio. Più fortuna avrà avuto chi avesse cercato lo stesso dato ma relativamente a libri o film. Secondo l'ISTAT, per esempio, nel solo 2013 sono state pubblicate (e ripubblicate) 61.966 opere letterarie (http://www.istat.it/it/archivio/libri).
Numeri innaturali, insani, riprovevoli in un'ottica di "sostenibilità culturale"; numeri non commensurabili dalla nostra memoria e tanto meno dalle nostre orecchie.
E come azzardarsi a proporre sguardi d'assieme, o consuntivi, o bilanci finali...? E come anche non rimanere sempre più delusi, annoiati, dallo scrivere in continuazione rispetto a quelle poche emersioni in questo mare spesso maleodorante?
Non per le solite abusatissime obiezioni della "mancanza di qualità" o del "primato dei classici sui moderni", argomenti comodamente sbandierati rispettivamente dai professionisti del pensiero alternativo e dai nostalgici senza cura.
Noia, piuttosto, nello scorgere la trasversale ossequiosa volontà di essere ascritti a generi e stili codificati, triti e semplicistici, col solo fine di ottenere una più semplice e redditizia diffusione ed una facile collocazione sugli scaffali dei megastore.
Abbiamo ascoltato tutto, ci avete fatto comperare di tutto.
Un po' di silenzio, per favore!


***

The Comitè
Songs For Open Mind
(1981)

È l'insinuarsi della viola tra le code del cembalo elettrico da cui scaturisce quella chimica gentile di ballata campestre, rubata tanto ai Magnetic Fields quanto ai Pogues più filologici.
Una collezione di canzoni che accarezzano l'udito, rotonde come capitelli candidi, rifinite da un vaporoso gusto folk riscritto da Canterbury.
Senza troppe pretese di grandeur prog (se non nella biblica Exodus, cortile dei Van Der Graaf), sinceramente ispirate a ballate gaeliche ben più di quanto non fosse una Battle Of Evermore, intrise di spirito sanamente eretico più della “vecchia” Fairport Covention.
Svetta alto il rondò neoclassico di Lescurel - non immemore dei Focus, certo - girotondo nobile per teatro di marionette in campielli rinascimentali, forte di un impasto timbrico originalissimo ed inestricabile all'orecchio. In piena crisi del rock romantico, un album che dieci anni prima avrebbe brillato per la Vertigo, fu spazzato via dalla foga più brada e stradaiola, come una farfalla perduta sull’autostrada.


Soft Boys
Mr. Sandman
(1972)

Quattro damerini con bolerino ben ordinato e pantaloni stretti, caschetti biondi su una spiaggia libera, lasciata all'abbandono da una stagione di festa.
I Soft Boys migrarono dalle colline del Kentucky con fiddle, banjo e armonica, per raggiungere quel California Dreamin' di Mamas & Papas sulla sponda opposta del paese.
Che resta lontanissima. Cielo grigio su...
Impiegarono tre anni per arrivare a Santa Monica, facendosi sì un nome nei circuiti folk più conservatori, ma giungendo in clamoroso ritardo sul sogno della Summer of Love. E presumibilmente fu proprio quel viaggio l'apogeo della loro parabola, che resta quindi celata e non scritta.
Il desiderio di essere i nuovi Byrds di Eight Miles High li trasformò in una più terrena versione orientaleggiante dei primi Crazy Horse nel guscio dei Rockets, qui delicati come in una favola di Donovan suonata per un pubblico di treccine liceali. E per fortuna che acciuffarono l'ultimo treno della Reprise, che nel '72 concesse loro di incidere questo album di illuminata nicchia, che conta almeno il raga acustico di Shape and Symmetry e la grande ballata di estrazione bluegrass Dance Now!, tramutata in una sarabanda acidula per banjo e viola con quella vena da Caleidoscope capitati per caso sul palco dell'Avalon Ballroom.
Disgiunto, incertissimo, come risvegliato da un sogno che non ha mai fatto in tempo ad incrociare l'alba dell'Acquario; finisce presto come una caramella zuccherina tra le lebbra del bambino, a cui resta quell'agrodolce sapore nella bocca.

martedì 5 maggio 2015

Back In Black


...ma senza troppo nero in fondo...
Questo di marzo – aprile è stato il secondo lungo "iato" del blog dopo quello, a mio parere più critico dell'autunno 2013.
Succede, c'è poco da fare e da dire...
Però, pur per due volte camminando sul ciglio della chiusura, sul filo della fine dell'avventura, per altrettante volte siamo ripartiti.
Questo è un pensiero “forte”, un argomento assai corroborante.
Noto con piacere che là fuori ci sono ancora tutti i contrabbandieri di cui non mi dilungo a fare troppi nomi: loro si conoscono a perfezione. C'è perfino chi ha buttato giù un libro...
Bene allora; spero che il mio posto sia stato tenuto in caldo.
Perchè siamo tutti pronti a ripartire, no?


E.M.

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