sabato 27 dicembre 2014

Bilancio di Missione


Fine anno.
Tutti noi rampanti imprenditori di noi stessi nel grande etere del web siamo pronti a sfornare bilanci di missione sciorinando le mirabilie compiute nell'anno solare.
Io non sarò da meno.
Nei blog e nei portali da cui sono circondato impazzano classifiche, pagelloni, riassunti, sommari, memorie e giudizi finali dell’anno che sta finendo.

Classifiche, visitatori, segnalazioni, collaborazioni, visualizzazioni, tante altre parole d'effetto che finiscono in “zioni”.

martedì 16 dicembre 2014

Capitan Vinile e la scelta di Angus


“Scava porca troia, Angus! Scava.”

Credo ci sia una cosa buona, in questo ennesimo, luccicante e consumistico periodo d'Avvento: ascoltare una quindicina di volte al giorno il refrain del piano di Nicky Hopkins in She's a Rainbow nella perenne pubblicità della Vodafone.
Certo, mi direte, che devo anche sorbirmi il faccione di Fabio Volo, ma bisogna pur acquistare in tolleranza e quindi ritengo la presenza di questo “popolare scrittore” come un danno collaterale sopportabile.
Capisco anche che i più alternativi tra voi mi diranno che avrebbero preferito She Comes in Colors dei Love, ma non si può mica sempre issare la bandiera delle minoranze, o no?
Vi dirò che c'è un altro pezzo tra Stones e arcobaleno che non mi dispiacerebbe ascoltare. Una canzonetta assai minore, Blinded by Rainbows, che sta da qualche parte in quel di Voodoo Lounge (1994).
Magari qualcuno la ricorda in un filmetto sul rugby con Keanu Reeves e il grande Gene Hackman. Discreta, graziosa, modesta nel senso migliore del termine, quello che di solito si dimentica.
Ma gli spot mica fanno sconti, devono vendere il loro prodotto e non possono affidarsi ad outtakes.
E se qualcuno volesse sfuggire a questo marchingegno infernale?

Siamo ancora in tempo?

venerdì 5 dicembre 2014

Parlando di Prog con... Stephen Takacsy



Se un blogger come il sottoscritto ha ancora materiale da spulciare, ascoltare e studiare lo deve anche ad una rete capillare costituita da piccole etichette specializzate nella ristampa di vecchi LP rari, magari snobbati dalle major. Le americane Gear Fab e Syn-Phonic, l'italiana Akarma, la vecchia e gloriosa Repertoire. E la ProgQuebec, label specializzatissima nelle riedizione di rock progressivo franco-canadese.
Quella di queste etichette di nicchia è una mission a suo modo anche "sociale", un aspetto a cui mai avevo pensato e che ha sottolineato Stephen Takacsy, fondatore della ProgQuebec - che ringrazio - a cui ho rivolto qualche domanda via mail.
Domande banali, lo ammetto, fatte per sondare il contesto geografico e musicale del Quebec negli anni '70 e pensate per ottenere qualche spunto di ascolto e riflessione.
Ecco cosa ho imparato...



Perchè questa passione di un tutta una generazione (o forse più…) di musicisti per il progressive rock?

La maggior parte dei musicisti del Quebec negli anni '70 ha frequentato ottime scuole di musica locali come la Vincent D'Indy e Le Conservatoire, e sono diventati artisti “classici” davvero abili.
Così, quando la "British Invasion" è arrivata sulle radio e sulla scena concertistica, ha dato l'ispirazione a scrivere musica rock che incorporasse anche la sfida di complessità della musica classica. I musicisti del Quebec sono in effetti molto talentuosi.


Il rock progressivo britannico ha certamente avuto un impatto importante sulla scena in Quebec. Quali sono stati i gruppi, gli album, le performances che più hanno influenzato lo sviluppo del Quebec prog?

I principali gruppi inglesi che hanno influenzato i musicisti in Quebec sono stati Yes, Genesis, Gentle Giant, ELP e King Crimson.
Questo stile, integrato con musica tradizionale "Quebecois", il folk, la musica classica e anche un po' di blues e jazz americani, ha contribuito a creare un melting pot di generi che, mescolati insieme, ha prodotto alcuni dei più singolari, complessi e bei sound mai incisi.
Dai più “rock-based” Morse Code, agli ornamenti classici dei Maneige, che in seguito si sono evoluti in uno stile maggiormente jazz, alla fusion Zappa-esque degli Sloche, al heavy-blues degli Offenbach o la “funky-ness” di Toubabou o Contraction e l'elettronica di Dionne-Bregent: la musica progressive in Quebec ha avuto davvero tutto.
La Ville Emard Blues Band, composta da circa 30 musicisti, incarna perfettamente questa realtà.


Il contesto politico e sociale, il sentimento diffuso di "nascita" e di fondazione di una nuova nazione che è seguito al periodo della "Quiet Revolution" ha influenzato in qualche modo l'esperienza musicale?

Probabilmente lo ha fatto, in una certa misura. Sicuramente ha dato un’ispirazione artistica a scrivere un certo tipo di canzoni e ha aggiunto emozione alla musica. Ed ha fatto sì che le canzoni fossero scritte e cantate in francese, cosa che era una rarità fino al 1970. Dionysos ed Offenbach sono stati tra i primi a farlo.
Inoltre, ci sono state molte più opportunità per questi gruppi di esibirsi dal vivo, specialmente all’ annuale festa di St-Jean Baptiste a Mount-Royal verso la metà degli anni '70.


La ProgQuebec ha come “mission” di fornire informazioni e soprattutto commercializzare la musica prodotta dai gruppi rock di lingua francese. Cosa rimane oggi dell'esperienza delle band degli anni '70 e quanto è importante mantenerne la memoria e la presenza sul mercato?

Questo rock è una parte importante del patrimonio musicale dell’ epoca del “baby-boomer” in Quebec. È stata la musica pop della mia generazione, è stata continuamente suonata dalle radio negli anni ‘70, ed era sul punto di scomparire per sempre, poichè molte etichette discografiche di quel periodo sono andate in bancarotta, mentre le major non erano interessate alla riedizione di questi album, in quanto prodotti non remunerativi.
Così la nostra missione è diventata, in primo luogo, di preservare questa musica, quindi di ripubblicarla in maniera legale, dando uno stop alla pirateria, in modo che le future generazioni possano ascoltarla.
Ad oggi abbiamo versato agli artisti oltre 100.000 dollari in royalties. Con il risultato che si è rivelata una missione anche sociale, avendo aiutando alcuni di questi musicisti finanziariamente. Sono tutti molto soddisfatti del nostro lavoro.



I dischi della ProgQuebec sono facilmente reperibili, su Amazon, su Discogs, E-Bay, su tutti i principali rivenditori online e in qualche caso anche su Spotify. Non costano nemmeno troppo... sicuramente meno delle nuove edizioni deluxe-remaster-expanse di album che avete già sentito 1000 volte e che conoscete a memoria.


Poi siamo chiaramente tutti liberi di scegliere se mettere sul piatto per la cinquecentotrentasettesima volta Aqualung oppure, per la prima, La Marche des Hommes...

sabato 29 novembre 2014

L’opinione di Kurtz


Siamo spaventati da una delle invenzioni più insulse mai fatte: il giudizio degli altri.

Natalino Balasso

Ha mai pensato seriamente a delle reali forme di libertà?
La libertà dall'opinione degli altri… persino dalla propria opinione.

Colonnello Kurtz

mercoledì 19 novembre 2014

QuebecRockSampler - Note d'ascolto - 2


Offenbach
Saint-Chrone de Néant (1973)

Il giorno 30 novembre del 1972 gli Offenbach, un rampante gruppo di Montreal con un solo album all'attivo, tenne un concerto promozionale all'oratorio di Saint Joseph in occasione della Messa per i Defunti.
Dominato dalle immani tastiere ascensionali di Gerard Boulet, nonché dall'organo di Pierre-Yves Asselin, l'esibizione si rivelò una mastodontica cerimonia rock, sulla falsariga della Messa in Fa Minore degli Electric Prunes o ancor più del famigerato Ceremony degli Spooky Tooth. Interamente trasmesso in diretta dalla CHOM, rappresentò uno dei momenti determinanti nell’affermazione del Quebec Prog.
Cantato in latino, con sermoni recitati in francese e inglese, sommerso da una spessa ombra gotica da secoli oscuri, squassato da terremoti di prepotenza metal e sospeso in minimalisti mantra da Florian Fricke, rifulge del naturale eco del ventre dell' Oratorio di St. Joseph. Gli 11 minuti di Pax Vobiscum, le incessanti spirali in crescendo del Kyrie, l'hard rock teatrale del Dies Irae, le spazialità pinkfloydiane di Domine Jesu Christe e Memento, il volume che trasudo fragoroso da ogni traccia: tutto appare bizzarro ma perfettamente collocato nel luogo e nel tempo.
L'anno dopo, la Barclay distribuì ufficialmente Saint-Chrone de Néant.
A tutt'oggi un documento impressionante.

mercoledì 12 novembre 2014

(7 volte) Led Zeppelin 4 - Remaster



Da poco ripubblicato in versione remaster, Led Zeppelin IV è questa settimana alla posizione numero 7 di Billboard.
Colgo allora l'occasione per ripubblicare anch'io una vecchia e gloriosa serie di post che hanno composto il libello "7 volte Led ZeppelinIV". E ne approfitto anche per aggiungere, alle tante recensioni redatte ad arte, il mio personale, sincero e chiaramente non richiesto, parere sull'album.
Un album cocciuto, prodotto da una band che con testardaggine e poca naturalezza si è sforzata di comporre Il Capolavoro. Senza riuscirci.
Un album che oggi suona più datato del Secondo, per esempio, senza quella giovanile freschezza e strafottenza, ma con su una patina grigiolina e un po' polverosa.
Detto questo, ci sono comunque grandi pezzi, perché va riconosciuto a 'sto gruppo di avere scritto enormi pagine della loro epoca. Una di questa è, a mio parere, When The Levee Breaks, brano sommo e paradigmatico di una nuova epoca per il Blues.
Altra postilla: non è colpa di Page & Plant se Stairway to Heaven è stata eletta da una generazione un po' miope (forse più di pubblico che non di critica ma è un giudizio, riconosco, azzardato per chi di quella generazione non ha fatto parte) come uno dei brani - se non proprio “il brano” - più rappresentativi nella storia del Rock.
Sarà merito anche nostro dimostrare che certe verità storiche si possono rivedere.
Ma ora basta!
Eccovi 7 volte Led Zeppelin 4 Remaster

Cosa cambia dall'originale?
Niente.
Proprio come nel remaster degli Zeppelin.
Buona lettura!



SETTE VOLTE LED ZEPPELIN QUATTRO
(scarica il PDF)

giovedì 6 novembre 2014

Capitan Vinile e il gioco dei pacchi


Sopravvissuti a questa ricolonizzazione pagana della vigilia di Ognissanti?
Allora mettetela in fila accanto all'albero di natale, alla befana, ai primi dischi dei Black Widow e sappiate che:

HALLOWEEN NON È SOLO COMMERCIALIZZAZIONE DI ONESTE TRADIZIONI
NON È COLONIALISMO DI RITORNO A STELLE E STRISCE.

È IL NOSTRO VUOTO. CHE ALTRI RIEMPIONO.

lunedì 27 ottobre 2014

QuebecRockSampler - Note d'ascolto - 1


L’Infonie
L’Infonie (1969)

Un’enorme opera di avanguardia, in prima fila nella rivoluzione globale del rock di fine anni ‘60.
Orchestra classica free-form, inserti concreti, rumori d’ambiente, sketch di teatro canzone, beat poetry e l’ombra erratica del fantasma di Ornette Coleman. E non solo.
Una scaletta frammentata come un collage surrealista, potresti sentirci dei Faust Tapes rimontati da Charlie Haden in crisi d’astinenza. Ma anche il techno-psych di J’ai perdu 15 cent…, lo pseudo funk da cabaret per freak di Viens Danser, la meditazione per fanfare di ottoni che chiude Finale.
Una proposta talmente datata ed a suo modo estrema da risultare piacevole in questi nostri poverissimi tempi di crisi globale.
Disco notevolissimo, anche (soprattutto?) al di fuori dei ristretti confini franco - canadesi.

martedì 14 ottobre 2014

QuebecRockSampler - Bozza per un'introduzione


Questo lavoro non è nemmeno cominciato.
E tantomeno verrà concluso.
Nessun lavoro è mai realmente concluso, quando si tratta di riesumare vecchi dischi rock.
In parte perché tuttora, ogni giorno, ne emergono di nuovi; sul web, sui social, in negozi virtuali e non, ripescati da archivi discografici sotterrati, da paesi equatoriali e in apparenza improbabili, se non dai meandri dello sterminato mercato nord americano.
In parte perché è l'epoca stessa dell’ascolto che ne cambia la prospettiva e addirittura la consistenza artistica. Ascoltare gli Highway Robbery nel 1973 poteva essere quasi noioso. Oggi, dopo qualche decennio di pop sintetico e teen idol, in piena epoca di risveglio, apogeo e crollo revivalista, Bad Talk dei Granicus o Persecution dei Third Power (tanto per citare qualche nome di U.S. Hard Rock Underground) potrebbero addirittura diventare dei classici. La stessa cosa si può dire per i Maneige, o per un capolavoro come Dimension “M”.
A titolo di "introduzione" bastino alcune righe estrapolate da un testo più ampio, che chissà mai se troverà spazio qui sul blog.

***

Julian Cope ha avuto certo il merito di codificare, una volta per tutte, il kraut rock e l’avanguardia giapponese come movimenti unitari, consapevoli, innovativi e non meramente derivati da modelli anglo-americani.
La scena del progressive underground italiano ha trovato e trova tuttora (vedi l'ultima collana in "regalo" con l'Espresso) una propria solidissima strada alla riesumazione e glorificazione. Ed ecco che le tre grandi scuole di prog - o meglio di rock, per non essere troppo restrittivi - “non anglofone”, italiana, tedesca e giapponese, sono ormai sdoganate e riconosciute per il loro reale valore artistico e storico.
Eppure c'è una quarta, solidissima ed originale scuola nazionale, anzi regionale - se non addirittura metropolitana - ancora tutta da scoprire: il “Quebec Prog”.
Fiorito in una nazione, il Canada, che ha dato i natali ad alcuni grandissimi, pur presto emigrati negli USA per farsi un nome, si è in breve tempo arroccato e radicato come pura tipicità locale, senza troppe intromissioni o interferenze coi colossi musicali yankee.
Sorto in una regione francofona, il Quebec appunto, dallo spiccato senso di indipendenza ed appartenenza, un territorio che nei primi anni ‘70 contava appena 6 milioni di abitanti, per la maggior parte residenti nell’area urbana di Montreal, è dal punto di vista geografico un movimento ancora più coeso delle 3 scuole sopra citate e forse più affine ad una Canterbury boreale che ad un movimento di estensione nazionale e forzatamente frammentario. Anzi questo suo essere espressione pura di una minoranza linguistica e culturale ne ha accentuato i caratteri distintivi e l’autoconsapevolezza, creando una breve ma intensa parabola, terminata, come accade di solito, in una fase di stanco manierismo, che caso vuole sia spesso la più celebrata.

Non pretendiamo il completismo, nè certo l’(auto) pubblicazione.
Sarebbe sufficiente segnalare alcuni ascolti veramente interessanti, legati l’un l’altro da un sottile filo rosso geografico, sociale e temporale, oltre che musicale.
Ad altri il giudizio, qui ci accontenteremo della descrizione.

giovedì 9 ottobre 2014

Marx, Tyler Durden e Capitan Vinile



Se c'è una buona cosa prodotta dal capitalismo, è l'elevazione a scienza esatta, addirittura ad Arte sopraffina, del marketing, dell'advertising, della propaganda.
Della pubblicità.
Termine più adatto a noi caserecci consumatori finali.
In campo musicale, il Rock è sempre stato, per il capitalismo più puro e sfrenato, la testa di ponte nella mente dei giovani, perfino di quei tanti autoproclamati "ribelli".
Un piano degno del miglior Cossiga, quello che teorizzava l'infiltrazione di facinorosi tra le fila dei manifestanti non violenti.
È così da ormai 60 anni, da quando, tra il '54 e il '56, major e indie si reseto conto delle potenzialità commerciali di questa nuova musica, che fece letteralmente esplodere il mercato.
E smettiamola di dire che gli artisti sono innocenti marionette, puri ingenui, nelle mani di loschi discografici che mirano al profitto.

“Benvenuti nell'era dell'anti-innocenza: nessuno fa colazione da Tiffany e nessuno ha storie da ricordare.”

Il rock è veramente il braccio armato artistico per coloro che ricercano l'accumulo di Capitale, solo qualche ottuso integralista cattolico può pensare che sia il piano del Comunismo per piagare le menti degli adolescenti occidentali. Ma quella del resto è gente che ascolta i dischi al contrario.
L'unica cosa che salta agli occhi ascoltando Stairway to Heaven al contrario è il fatto che sia meglio così che non alla dritta.

Una testa di ponte.

Lo è tuttora più che mai, dopo anni passati ad affinare le armi e le tecnologie della propaganda.
Per esempio...
Bisognava sforzarsi di arrivare vivi alla decadenza di questo 2014 per essere testimoni di un nuovo album dei Pink Floyd.

Nuovo - album - Pink Floyd

Esercizio: inventate 3 frasi con queste tre parole.
Endless River.
Un endlessriver (termine di ascendenza pseudogermanica che non lascia mica scampo).
Potere degli articoli.... River of Shit, cantavano i Fugs.
Un lavoro che affonda le radici nelle session di Division Bell così dicono i grandi manifesti.
Un disco fatto di scarti di un'epoca orrenda, quella di Division Bell. (parafrasi)
Riesumazione di cadaveri fuori tempo, senza la minima ironia.
No, non ho certo ascoltato il disco, gli “snippet”, i promo. E non li ascolterò.

Non c'è poi mica bisogno di ascoltare tutto nella vita!

E quindi si, sono un prevenuto anch'io, quando mi pare.
Endless River me lo immagino già come un enorme buco con il solo solco a spirale ai margini. Un buco senza il disco attorno, mica come certe storiche caramelle alla menta.
Ma non è divertente come potreste credere voi, piccoli antagonisti, sparare a zero su questo disco. Divertente è farlo con Dark Side of the Moon, The Wall...
Qui no, quindi basta così.

Ma non finisce qui, in realtà.
Perché è sufficiente accendere la televisione qualche minuto per imbattersi in una band di mezza età che si dimena colorata su uno sfondo candido che pare la reclame di un Guitar Hero per nipotini dei Red Hot Chili Peppers.
E magari fossero i Red Hot...
No, sono gli U2, ovvero coloro che per primi si sono tramutati in una app per telefoni. Una di quelle gratis, come i giochini delle bolle o delle caramelle.
No, non ho ascoltato Songs of Innocence, e non lo farò.
Non c'è poi mica bisogno di ascoltare tutto nella vita!
Mmmmmmmmmm, questa mi sembra di averla già sentita...
Ma eccola qui, la meraviglia del capitalismo. La sua arma più tremenda e perfetta.

La pubblicità!

Il continuo tamburellare, che diventa un battere, che diventa un galoppo, che alla fine è un assedio.
“Alla fine trabocca e scoppia, si propaga e si raddoppia” recitava il vecchio Don Basilio nel Barbiere di Siviglia.
La calunnia...
Ovunque, monopolizzando tutti i canali che la comunicazione offre...
Frammenti di copertina, frammenti di musica. Dichiarazioni rese ad arte da qualche collaborazionista interessato.
Poi la cosa peggiore.
Il coro incessante dei "fans" che fanno muro per i loro paladini. Eccolo, il vero “wall”.
Ma forse non è salutare la recriminazione e l'antagonismo oltranzista. Rende burberi, inaciditi e pessimisti.
Questo è il Mondo, vuoto e tondo.
Il rock migliore dei nostri anni fa da jingle agli spot di prima serata: orologi, telefoni, automobili, profumi…
Beck, Black Angels, Black Keys, Presley.
Tyler Durden aveva la vista lunga; see for miles and miles and miles diceva la canzone degli Who, proprio su Who Sell Out.

“La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra Grande Guerra è quella spirituale, la nostra Grande Depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così”.

Allora, voi volevate fare le rock star?

O vi sarebbe bastato constatare come i vostri miti fossero in realtà straccioni mortali, peccatori meschini proprio come lo siete voi?
Con mascara, meches bionde e silicone a tamponare le rughe.
Abbiamo perso
Cupido è volato via dal condominio.
<<Abbiamo perso?>>
Altro che Fugs.
Fugs, ma anche tanti altri che ancora non conosco. Mi auguro, almeno.
Però certo che i dischi dei Fugs mica ce li toglie nessuno. Group Grope, Dirty Old Man, Supergirl le possiamo ascoltare quando ci pare, quando tutto attorno puzza di rifiuti.
Fresh Garbage, per gli Spirit, o ancor meglio la Garbage dei Deviants. Che - per inciso - sta su un album, Ptooff!, che potrebbe essere quel "punto medio" tra i Velvet Underground e Zappa. Sulla sponda britannica, in una lurida soffitta infestata da squatter e piena di siringhe sul pavimento.
Mica male…
E mentre rimugino certe ovvietà da vecchio brontolone, mi metto ad aprire l'ultimo pacco, arrivato ormai mesi fa, che avevo quasi dimenticato sotto ritagli di giornale, libri, altri dischi.
Non ricordo cosa possa esserci dentro. Viene da West Berlin, New Jersey. Eh, già.  C'è una Berlino est pure in America.
E rinchiudo Tyler nel guscio del più mite Edward Norton.
<<Sono la morbosa curiosità di Jack. E del Capitano>>

Adiossssss!

lunedì 6 ottobre 2014

Appunti per un Nuovo Scrittore Musicale - 2


Cercare la storia dentro la musica

Seguire i protagonisti e gli antagonisti. Descrivere il luogo, fissare il tempo.

SCRIVERE LA STORIA CHE È DENTRO LA MUSICA
(per dare un senso alla storia che è dentro di noi)

Una storia costruita canzone dopo canzone. O strofa dopo strofa.
Una storia che non è quella della band, né quella dell'album, né la nostra. Ma a tutte quelle, comunque, attinge. In quelle si riflette.
Scrivere questa storia, ricostruendola, senza seguire una trama o un ordine logico, cronologico o causale; assemblarla per singole visioni, tessere giustapposte e senza incastri, fantasticando sull'assente e senza mentire sul presente.

Rimontare la pellicola ad accesso casuale, traslare tempo e luogo.

Quando riusciamo a seguire quella storia, a dominarla, a gestirla con naturalezza, possiamo veramente dire di scrivere la musica in maniera nuova.

SCRIVERE LA MUSICA

RESTITUENDOLE UN PO’ DI QUEL MISTERO CHE PARE IRRIMEDIABILMENTE PERDUTO

MISTERO
…tanto parte proprio da qui…

SCRIVERE LA MUSICA

Un atto che, concepito letteralmente, è impossibile; ma se mediato e sanamente trasferito, come in un comune meccanismo psicologico, può ancora riservare sorprese e bellezza.
E utilità, per chi legge.

Abbandonare le terre utopiche dell’oggettività, le cui strade, costruite e solcate da migliaia di critici, sono ormai diventate un labirintico groviglio senza via d’uscita, per addentrarsi nel mistero più grande di tutti: l’esperienza soggettiva.

STORIA – IO – MISTERO – IO – STORIA

Un percorso palindromo che riconduce sempre al mistero, che inizia sempre dalla storia e che passa sempre attraverso l’io.

Scrivere la musica consapevoli dell’illusione della razionalità: musicare la scrittura.



giovedì 25 settembre 2014

Head Over Heels - Head Over Heels (US Hard Rock)


Artista: Head Over Heels
Album: Head Over Heels
Anno: 1971
Label: Capitol Records – ST-797

John Bredeau   Drums
Paul Frank          Guitar, Vocals  
Michael Urso     Bass, Vocals      

A1          Road Runner     3:21
A2          Right Away         3:04
A3          Red Rooster      7:32
A4          Children Of The Mist     3:30
B1           Question             3:00
B2           Tired And Blue / Land, Land       5:00
B3           (That's What I Like ) In My Woman         2:45
B4           Circles

Ulteriore incompetentissimo power trio detroitiano che azzecca un titolo grandioso e assembla mezz'ora di hard garage a presa diretta dalle sfacciate tinte blues. Come degli ancor più scalcagnati Pretty Things.
Abrasioni a sei corde, momenti di strafottente epicità per un bell'album di scassatissime Chevrolet color carbone che filano giù per le strade di Dazed and Confused, scippano il riff che gli AC/DC faranno grande in Go Down, visitano piacevolezze soft (poche!) prendendo per il culo gli Youngbloods di turno. E fanno ben leva su quella certa malefica proposta vocale di Paul Frank.
Fino a sprofondare nel sartiame black prog di Circles sette minuti di intrugli zeppi di riff e ripartenze, così poi come una Little Red Rooster che finirà per atterrare sul dorso di una jam metallica rivestita di testosterone, sulla falsariga di degni compari di label quali i Grand Funk.
Bello.
Arriveranno a suonare fino sulla costa pacifica, presenziando addirittura alle ultime serate del Fillmore.

Puro Michigan rock di marca Capitol, il vinile originale USA (ST-797) è un pezzo noto e tutto sommato abbordabile (una cinquantina di euro). Ne è nota una stampa venezuelana!.
Svariate le possibilità per acquistare il CD dell’ Aurora Records ‎ (AUCD5013) con al massimo una quindicina di euro. Ci sono pure gratis sulle principali piattaforme di streaming.

Banner

lunedì 22 settembre 2014

Sun Ra – Appunti per una discografia (parte 1)



"Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine".
J. Borges


La produzione del tastierista “jazz” Herman Poole Blount, in arte Sun Ra, è uno dei più colossali, profondi ed imperscrutabili labirinti discografici del '900.
Un' eredità mastodontica che ha scaraventato ispirazione e meraviglia negli angoli più disparati della musica popolare e colta, da MC5 a Hawkwind dal Kraut-rock ad Ornette Coleman, da George Clinton all’Art Ensemble of Chicago, dai Grateful Dead alla musica noise ed industriale.
Pretendere di censire il suo lascito è un po' come cercare di contare le stelle ad occhio nudo, puntando l'indice in alto, in una notte di mezza luna. Il mio indice scorre lungo le pagine redatte da Martin Strong in The Great Rock Discography. Arrivo a contare oltre ottanta uscite discografiche. Su internet i numeri variano (pur sempre oltre il 200…), ma restano comunque qualcosa di difficilmente quantificabile e i conti sembrano non tornare mai, come in un rompicapo orientale. E se agli album ufficiali si sommano i live, i singoli, i bootleg, le ristampe e le compilation, questa galassia musicale diventa realmente non misurabile.
Da metà anni ‘50, ininterrottamente fino ai primi ‘90, la parabola di Sun Ra e della sua Arkestra, ha attraversato le strade dell'avanguardia più sfuggente ed inclassificabile. Un “unicum” spaventoso, una creatura dalle mille teste e dai mille corpi, che finisce per non trovare mai spazio, per uno o per altro motivo, tanto nei cataloghi jazz, quanto in quelli rock o addirittura "classici". Equidistante com'è da ogni facile standardizzazione, l'astronave di Blount ha veleggiato col vento in poppa, quasi di nascosto anche agli iniziati, tanto che viene il dubbio che fosse veramente un vascello alieno in visita alla musica terrestre.

venerdì 12 settembre 2014

Capitan Vinile non le manda a dire



E voi avete presente una puttana ottimista e di sinistra?
Io no.
Non tanto per la puttana, di quelle ne sono pieni i palazzi, quanto per l'essere, oggi, “ottimisti e di sinistra”.
Magari un paio di dozzine di anni fa, quando Dalla la cantava, poteva essere ancora plausibile, ma oggi...
Lucio…
Quelle 3 o 4 volte che l'ho incrociato in centro a Bologna l'ho sempre visto impegnato a parlottare con qualche musicista da strada o qualche barbone (oh, scusate, è una parola “politicamente scorretta”, si dice senza-fissa-dimora).
Decenni ad ascoltare rock straniero, blaterare anglosassone, e si finisce per perdere completamente di vista il valore di alcune espressioni musicali nostrane. Una valore magari provinciale, magari marginale e sovrastimato, ma immediatamente comprensibile, almeno quello.
Ma c'è dell'altro..
Per esempio, prendete Albachiara.

Aaaah, e qui vi volevo!

Piccoli burocrati alternativi post comunisti imboscati in qualche ufficio pubblico…

Voi che
<<No no, io Liga, Jova, Pelù...no no>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<Mah, la musica italiana, sai l'ascolto poco…>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<Si, io preferisco Zappa>>
PER PRINCIPIO!

Cosa sono quelle espressioni di disgusto sulle vostre facce?
Allora, provate ad immaginare “respiripianipernonfarrumoretiaddormentilaseratirisveglicolsole”

1)Tradotta in inglese
2)Incisa a Los Angeles
3)Cantata da un teppistello belloccio (no, Vasco NON è belloccio)
4)Con un mega assolone di un solista di finta razza ebrea
(oooh, “razza ebrea” è ancora più scorretto di “barbone”...)

Si, insomma immaginatela fatta dai Guns.
Allora?
Non credete sarebbe perfetta su Use Your Illusion II? Con qualche coretto qua e là, qualche patinatura di produzione, qualche foulard volante, qualche aaahiaaahi in più.
Ma io credo starebbe bene anche su Appetite For Destruction, magari al posto magari di Sweet Child O' Mine.

Sweet Child O' Mine…

La settimana scorsa in rete girava una classifica dei “migliori riff di sempre” (uuuaaaoooh), stilata dalla BBC, o dagli ascoltatori della BBC, o da cugini di ascoltatori della BBC. O roba simile.
Sweet Child O' Mine era al secondo posto.
Certo una classifica inutile, come tutte.
Anche perché sappiamo bene che il riff più figo di tutti è quello di Sharp Dressed Man (o di qualunque altro pezzo gli ZZ Top abbiano scippato a John Lee Hooker).
Però Sweet Child O' Mine è veramente un caso. Una canzone così popolare, tra i fan, tra i non fan; ascoltata, condivisa, citata...

<<There's no doubt people will still be listening to "Welcome to the Jungle" and "Sweet Child o' Mine" in 100 years.>>
Rolling Stones Magazine


<<The song was an instant classic, and hasn't lost an ounce of its potency since its release.>>
Allmusic

Bè... scusate, posso parlare io?
Per me, Sweet Child O' Mine…

È una cagata pazzesca!!!

No, non mi aspetto i 91 minuti di applausi.
Però dico solo che ‘sta canzoncina da teen-rock per adolescenti viziati sfigurerebbe anche sul secondo volume di un Greatest Hits dei Nazareth.
Questo perché:

1) appunto, è una cagata pazzesca.

2) perché i Nazareth, in quanto a sincere ballatone al caramello potevano fare mangiare la polvere a chiunque.

Chiunque.

Senza scomodare la guns-n-rosissima Child In The Sun (su Loun n’ Proud, 1973) prendete Vigilante Man. Un folk di polvere e vagabondaggio del buon Woody Guthrie. Trasmutata in una tirata southern di hard & heavy ben oltre al primo lp di Physical Graffiti!
E se volete godere, procuratevi quel “piccolo” disco che è BBC Radio 1 Live in Concert (WIN CD 005, 1991, ancora BBC, nella sua incarnazione migliore, qui). Un’esibizione di ruvidezza e potenza mortifere targata 1972, poi riemersa anche sul buon Back to the Trenches, un doppio live antologico del 2001.
Devastante.
Devastante, meglio anche degli oscuri Masters of Reality di John Brown, almeno qui c'è Dan McCafferty che è un cantante vero.
Come?
Mai sentito parlare di Masters Of Reality?
È qualcosa di misterioso. Voodoo e yuppie allo stesso tempo. Avete presente una versione indie di Mezzanotte nel giardino del bene e del male? Ossa di coniglio, uomini neri, crocicchi nel mezzo di sterminati campi di mais, illuminati ancora prima del tornado. Cielo plumbeo e ombre lunghe.
Per chi avrà voglia, ne riparleremo.
Gli altri si tengano pure Sweet Child o' Mine.

Capitan Vinile



ShareThis

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...