lunedì 28 settembre 2015

Consigli per ascolti trascorsi (riletture)


Free - Tons of Sobs (1968)
Il blues sepolcrale

Assieme a Spooky Two ecco forse il disco definitivo della Via Bianca al Blues, e siamo solo ad inizio ’68! Un approccio alla Cream, talmente diretto da essere addirittura sfacciato. La produzione trasandata e grezza di Hamilton, la debordante e felina chitarra di Kossof che singhiozza tonnellate di dolore, la barba incolta di Rodgers, catapultano l’album verso l’era finale del rock britannico: paradossale che sia il prodotto di un gruppo di teenagers.
Ma questi ragazzi si divertono a giocare nella tenebra, camminando nell’ombra; e questo esordio è una continua ode sepolcrale sparsa tra le lapidi di un cimitero di campagna in cui il vento sibila messaggi di morte. Fin dall’arcana copertina, dalle prime 3 canzoni, che sono una perenne variazione di un unico riff culminante nell’ipnosi totale, dall’enfasi dello standard di Going Down Slow; fino alla notte fonda della litania di Moonshine. Considerando che del lotto avrebbe potuto far parte anche Visions of Hell, Tons of Sobs si candida ad essere il primo vero “Black Album” della scena rock inglese.

9 agosto 2011


The Marshall Tucker Band - The Marshall Tucker Band (1973)

Esponenti di riguardo di una “2° generazione della jam” che rimpiazzò I fasti delle band della Baia nei primi ’70, la M.T.B. fu un gruppo “Southern” solo geograficamente. Scegliendo la strada della fusion di vecchio country, pattern blues e pop in versione yankee, ispirati ad una filosofia cristianeggiante, il gruppo sembra più l’evoluzione dei Grateful Dead ripuliti dall’acido piuttosto che l’apripista per gli assalti boogie di Lynyrd Skynyrd o Black Oak Arkansas.
Lunghe canzoni rilassate, che sanno di vecchio mito di frontiera ma senza pellerossa cattivi o sparatorie da “straniero senza nome”. Come una pigra ma devota carovana di pellegrini che procede lungo il fiume. Can't You See è una piccola gemma, così come l’acquerello di copertina di James Flournoy Holmes.

3 luglio 2011


Emerson, Lake & Palmer - Pictures at an Exhibition (1971)
Questo NON è Rock

Ascoltandolo oggi, pare impossibile che questo pachidermico LP fu all'epoca un successo. Tutto il prog più deteriore, eccessivo, barocco, falsamente rock è qui dentro.
Ridondante come ogni finto intellettuale parvenu che gioca con la musica colta, avendo addirittura la presunzione di migliorarla, riuscendo invece a rendersi quasi ridicolo, ricopiando pedissequamente qualche linea melodica e lasciandosi costantemente sfuggire il quadro totale della suite di Mussorgsky. Silenzi imbarazzanti e indecisi, improvvisazioni senza meta che ondeggiano come una piuma in preda al tornado. La differenza con la sinfonia vera, magari anche moderna, per esempio quella di Klaus Shulze, è abissale e incolmabile.
Non paghi, i tre moschettieri dell’ovvio si lanciano in un allucinante “bis” dallo Schiaccianoci di Ciajkovskij; senza bisogno di considerare l’originale, basti dire che riescono a prenderle addirittura dai Ventures la cui ben più spigliata versione risaliva addirittura a 5 anni prima!
Non sarà questa la vera, originale “Great Rock 'n' Roll Swindle”?

30 settembre 2011


Sweet - Desolation Boulevard (1974)
Rock in Polyester

Tra i fuochi artificiali del glam britannico, quello degli Sweet è oggi ingiustamente dimenticato. Eppure il quartetto aveva ogni cosa al suo posto: un tasso di lustrini non indifferente, zeppe del 12, una naturale cafonaggine da borgatari londinesi, nonché un look da macho-omosessuale-spaziale tra i P-Funk e le drag-queen a noleggio per un addio al celibato. Colpa dei New York Dolls che crearono disastri facendo credere che qualunque teenager sessualmente incerto con una Gibson e un po’ di rossetto potesse inventarsi il punk.
E nonostante tutto, Desolation Boulevard è un fantastico LP di bubblegum alla Ramones (ma un paio d'anni prima...) con coretti contagiosi, chitarre plastificate elementari e incalzanti, brani indimenticabili (Ballroom Blitz ma anche AC/DC, Fox on the Run, Six Teens) tenuto assieme da una specie di concept sulla vita di strada tra Ray David e i Dictators. Un mix niente male…

5 settembre 2011


lunedì 21 settembre 2015

Mostri in Paradiso (riletture)



Non hai visto in Mostri in Paradiso?”
Spread, default, debito, Tsipras, filo spinato, ISIS, presidenti non eletti.
Sono piombati dal nulla a distruggere le torri del potere. Ricacciandoci indietro nel tempo.
Questi mostri in Paradiso sono una delle immagini più forti e misconosciute emerse dal rock britannico. La copertina elaborata dallo studio Hipgnosis per il debutto dei Quatermass ha acquistato, oggi, un’aura mistica.
Quegli pterosauri plananti tra le torri di vetro sembrano un presagio sinistro del 11/09, quando la preistorica violenza terroristica planò tra i grattacieli di New York, ricacciando i governi nell’oscurantismo medioevale di crociate e jihad.
Ma i Mostri non se ne sono andati dal nostro vecchio e derelitto Paradiso, sbattono ancora le loro ali rettiliane tra l’avorio dei Palazzi.
Tsipras, filo spinato, ISIS, governi in bancarotta. E prima o poi, i sauri volanti si poseranno finalmente a terra.
Mostri in Paradiso.

La canzone “Monster in Paradise” (Gustafson, Gillian, Glover), già nel repertorio live dei Quatermass e risalente al periodo di fine anni '60 quando Gustafson, Glover e Gillian militavano negli Episode Six, comparirà solo nel 1971 nell’album Bulletproof degli Hard Stuff.

La foto originale della copertina di Quatermass fu scattata a Londra, ai palazzi governativi di Victoria St. La duplicazione dell’immagine restituisce una forte illusione ottica, quasi fosse un quadro Op-Art.

18 luglio 2011


lunedì 14 settembre 2015

Riletture


Riletture.
Avrei potuto intitolare questo post con un sacco di parole fighe che iniziano con “re”: remaster, rewind, reloaded.
Tutti pessimi inglesismi snob
“Riletture” mi è sembrato più composto e perfino elegante.
In realtà, le riletture saranno eventualmente le vostre. Le mie potrebbero essere tutt'al più riscritture.
Mi sono guardato un po' indietro nell'ultimo periodo. Ho pubblicato 565 post; un'enormità. La metà è emerita spazzatura, soprattutto quelli sui bootleg audio e/o video (sono sempre i più cliccati...). Un buon quarto non sono né carne né pesce: carucci, ma ce ne sono altri mille in giro così. Quelli che restano...insomma, vi dirò che non sono male.
Per questo me li sono riletti, e ve li riproporrò ogni tanto, da adesso in poi.
Eccole, le riletture.
Non sarà solo un copia-incolla, mi piacerebbe rimaneggiarli un pochino, correggerli, sistemarli, approfondirli, magari accorparli se ce ne dovesse essere bisogno. E tornare a dare loro un po' di visibilità, perchè a suo tempo, non se li è filati nessuno, poverini...
E poi, lo ammetto: è un buon modo per fare sopravvivere il blog in periodi difficili.
Buone riletture, quindi... e grazie per la pazienza!


E.M

giovedì 3 settembre 2015

Disraeli Gears & Safe as Milk (recensioni doppie)




Cream - Disraeli Gears 


Captain Beefheart & His Magic Band - Safe as Milk

Appena otto settimane separano la pubblicazione di questi due album, da settembre a novembre 1967. Entrambi furono registrati pochi mesi prima in America (a New York Disraeli Gears, a Los Angeles Safe as Milk).
Sono album divergenti, che si incrociano lungo la strada e poi continuano il loro viaggio in direzioni opposte, senza guardarsi indietro.
Entrambi sono di dichiarata ed esplicita matrice blues. Blues bianco, suonato da giovanotti borghesi, benestanti e mediamente istruiti, cresciuti sui dischi della Chess, di Otis Rush, di Howlin' Wolf, Albert King, Muddy Waters e Little Walter.
Un approccio al blues di “seconda generazione” mediato dal revival di metà anni '60 e appunto dai 33 giri dei grandi maestri, piuttosto che dal contatto diretto.
Da una parte, i Cream sullo scheletro blues si fanno costruttivi, variopinti, risentono del polline della stagione dei fiori (a partire dalla copertina fino allo psycho rock di SWLABR) costruiscono abbellimenti sovraincisi e ricami d'oriente (Dance the Night Away); si dimostrano il primo vero supergruppo; di virtuosi più che di autori.
Dall'altra parte, la Magic Band scava ulteriormente quello scheletro, lo lascia sbiancare al sole, ne fa macerie e fossili, cerca di riallacciare il filo non tanto con il “revival”, ma direttamente con la sorgente della musica del Delta (Plastic Factory in tutto il suo primitivismo), un'involuzione che guarda almeno 30 anni indietro (tale Son House, non so se avete presente). Sure 'Nuff 'n Yes I Do, e tutto ciò che segue, è del resto un blues del deserto, laddove quella dei Cream è musica urbana, uscita dai club di una “Swinging London” che stava dettando la moda. Safe As Milk, volutamente, non segue per nulla la moda e nulla ha a che spartire con la stagione dei fiori e dei loro figli.
Lo spettacolo dei Cream è pirotecnico, tutto proteso a liberarsi nell'assolo spaziale, morbido e modulato dagli effetti; sono giocolieri di scale e ritmi supersonici, virtuosi avvenenti, con capelli lunghi, caffettani retrò, camice preraffaellite.
La Magic Band a confronto è piuttosto una galleria di curiose bizzarre bestie licantrope, pur in giacca e capello curato, deformate dalla laringe horror di Beefheart e dalla furia animalesca del gruppo che si sublimano nella temibile tirata per slide di Electricity. Questo è il blues dell' hobo errante che mendica un whisky e nulla ha da dimostrare, l'altro è quello raffinato degli allievi di Mayall che usano una strabiliante perizia strumentale per divagare un po' paternalisticamente grazie alle possibilità di improvvisazione offerte dalle 12 battute. Van Vliet è fuori dal tempo, suona blues per un'esigenza spirituale, artistica e forse biografica; i Cream, e Clapton per il resto della carriera, sono certo “in time” e utilizzano il blues come veicolo mondano per la propria maestria. Il che non significa che lo suonino peggio né che la loro musica sia svalutata (vedi Outside Woman blues...); però è così, mettiamoci l'animo in pace. Ecco che il riff memorabile di Sunshine of Your Love marchia di diritto le classifiche di quell'annata magica, mentre quello altrettanto memorabile di Drop Out Boogie echeggia oggi come un protopunk d'antologia, senza nessuna eco commerciale. Eppure riemergerà più volte in anni recentissimi, anzi sta riemergendo ancora adesso; chiedere ai Black Keys se abbiano mai ascoltato quest' album.
A dimostrazione di quanto la musica blues sia sfuggente ed elastica, di quante soluzioni offra e di quante suggestioni si nutra.
All'epoca i Cream divennero superstar proprio grazie a Sunshine, mentre Van Vliet faticava a trovare contratti e litigava continuamente con i discografici. Disraeli Gears fu in top 5 tanto in USA che in Inghilterra; Safe As Milk non entrò nemmeno in classifica.
Oggi chi si sognerebbe di fare una cover di Tales of Brave Ulysses piuttosto che di Zig Zag Wanderer?
Per una volta, vince la sincerità.

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