giovedì 25 settembre 2014

Head Over Heels - Head Over Heels (US Hard Rock)


Artista: Head Over Heels
Album: Head Over Heels
Anno: 1971
Label: Capitol Records – ST-797

John Bredeau   Drums
Paul Frank          Guitar, Vocals  
Michael Urso     Bass, Vocals      

A1          Road Runner     3:21
A2          Right Away         3:04
A3          Red Rooster      7:32
A4          Children Of The Mist     3:30
B1           Question             3:00
B2           Tired And Blue / Land, Land       5:00
B3           (That's What I Like ) In My Woman         2:45
B4           Circles

Ulteriore incompetentissimo power trio detroitiano che azzecca un titolo grandioso e assembla mezz'ora di hard garage a presa diretta dalle sfacciate tinte blues. Come degli ancor più scalcagnati Pretty Things.
Abrasioni a sei corde, momenti di strafottente epicità per un bell'album di scassatissime Chevrolet color carbone che filano giù per le strade di Dazed and Confused, scippano il riff che gli AC/DC faranno grande in Go Down, visitano piacevolezze soft (poche!) prendendo per il culo gli Youngbloods di turno. E fanno ben leva su quella certa malefica proposta vocale di Paul Frank.
Fino a sprofondare nel sartiame black prog di Circles sette minuti di intrugli zeppi di riff e ripartenze, così poi come una Little Red Rooster che finirà per atterrare sul dorso di una jam metallica rivestita di testosterone, sulla falsariga di degni compari di label quali i Grand Funk.
Bello.
Arriveranno a suonare fino sulla costa pacifica, presenziando addirittura alle ultime serate del Fillmore.

Puro Michigan rock di marca Capitol, il vinile originale USA (ST-797) è un pezzo noto e tutto sommato abbordabile (una cinquantina di euro). Ne è nota una stampa venezuelana!.
Svariate le possibilità per acquistare il CD dell’ Aurora Records ‎ (AUCD5013) con al massimo una quindicina di euro. Ci sono pure gratis sulle principali piattaforme di streaming.

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lunedì 22 settembre 2014

Sun Ra – Appunti per una discografia (parte 1)



"Un labirinto è un edificio costruito per confondere gli uomini; la sua architettura, ricca di simmetrie, è subordinata a tale fine".
J. Borges


La produzione del tastierista “jazz” Herman Poole Blount, in arte Sun Ra, è uno dei più colossali, profondi ed imperscrutabili labirinti discografici del '900.
Un' eredità mastodontica che ha scaraventato ispirazione e meraviglia negli angoli più disparati della musica popolare e colta, da MC5 a Hawkwind dal Kraut-rock ad Ornette Coleman, da George Clinton all’Art Ensemble of Chicago, dai Grateful Dead alla musica noise ed industriale.
Pretendere di censire il suo lascito è un po' come cercare di contare le stelle ad occhio nudo, puntando l'indice in alto, in una notte di mezza luna. Il mio indice scorre lungo le pagine redatte da Martin Strong in The Great Rock Discography. Arrivo a contare oltre ottanta uscite discografiche. Su internet i numeri variano (pur sempre oltre il 200…), ma restano comunque qualcosa di difficilmente quantificabile e i conti sembrano non tornare mai, come in un rompicapo orientale. E se agli album ufficiali si sommano i live, i singoli, i bootleg, le ristampe e le compilation, questa galassia musicale diventa realmente non misurabile.
Da metà anni ‘50, ininterrottamente fino ai primi ‘90, la parabola di Sun Ra e della sua Arkestra, ha attraversato le strade dell'avanguardia più sfuggente ed inclassificabile. Un “unicum” spaventoso, una creatura dalle mille teste e dai mille corpi, che finisce per non trovare mai spazio, per uno o per altro motivo, tanto nei cataloghi jazz, quanto in quelli rock o addirittura "classici". Equidistante com'è da ogni facile standardizzazione, l'astronave di Blount ha veleggiato col vento in poppa, quasi di nascosto anche agli iniziati, tanto che viene il dubbio che fosse veramente un vascello alieno in visita alla musica terrestre.

venerdì 12 settembre 2014

Capitan Vinile non le manda a dire



E voi avete presente una puttana ottimista e di sinistra?
Io no.
Non tanto per la puttana, di quelle ne sono pieni i palazzi, quanto per l'essere, oggi, “ottimisti e di sinistra”.
Magari un paio di dozzine di anni fa, quando Dalla la cantava, poteva essere ancora plausibile, ma oggi...
Lucio…
Quelle 3 o 4 volte che l'ho incrociato in centro a Bologna l'ho sempre visto impegnato a parlottare con qualche musicista da strada o qualche barbone (oh, scusate, è una parola “politicamente scorretta”, si dice senza-fissa-dimora).
Decenni ad ascoltare rock straniero, blaterare anglosassone, e si finisce per perdere completamente di vista il valore di alcune espressioni musicali nostrane. Una valore magari provinciale, magari marginale e sovrastimato, ma immediatamente comprensibile, almeno quello.
Ma c'è dell'altro..
Per esempio, prendete Albachiara.

Aaaah, e qui vi volevo!

Piccoli burocrati alternativi post comunisti imboscati in qualche ufficio pubblico…

Voi che
<<No no, io Liga, Jova, Pelù...no no>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<Mah, la musica italiana, sai l'ascolto poco…>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<la musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese>>
PER PRINCIPIO!

Voi che
<<Si, io preferisco Zappa>>
PER PRINCIPIO!

Cosa sono quelle espressioni di disgusto sulle vostre facce?
Allora, provate ad immaginare “respiripianipernonfarrumoretiaddormentilaseratirisveglicolsole”

1)Tradotta in inglese
2)Incisa a Los Angeles
3)Cantata da un teppistello belloccio (no, Vasco NON è belloccio)
4)Con un mega assolone di un solista di finta razza ebrea
(oooh, “razza ebrea” è ancora più scorretto di “barbone”...)

Si, insomma immaginatela fatta dai Guns.
Allora?
Non credete sarebbe perfetta su Use Your Illusion II? Con qualche coretto qua e là, qualche patinatura di produzione, qualche foulard volante, qualche aaahiaaahi in più.
Ma io credo starebbe bene anche su Appetite For Destruction, magari al posto magari di Sweet Child O' Mine.

Sweet Child O' Mine…

La settimana scorsa in rete girava una classifica dei “migliori riff di sempre” (uuuaaaoooh), stilata dalla BBC, o dagli ascoltatori della BBC, o da cugini di ascoltatori della BBC. O roba simile.
Sweet Child O' Mine era al secondo posto.
Certo una classifica inutile, come tutte.
Anche perché sappiamo bene che il riff più figo di tutti è quello di Sharp Dressed Man (o di qualunque altro pezzo gli ZZ Top abbiano scippato a John Lee Hooker).
Però Sweet Child O' Mine è veramente un caso. Una canzone così popolare, tra i fan, tra i non fan; ascoltata, condivisa, citata...

<<There's no doubt people will still be listening to "Welcome to the Jungle" and "Sweet Child o' Mine" in 100 years.>>
Rolling Stones Magazine


<<The song was an instant classic, and hasn't lost an ounce of its potency since its release.>>
Allmusic

Bè... scusate, posso parlare io?
Per me, Sweet Child O' Mine…

È una cagata pazzesca!!!

No, non mi aspetto i 91 minuti di applausi.
Però dico solo che ‘sta canzoncina da teen-rock per adolescenti viziati sfigurerebbe anche sul secondo volume di un Greatest Hits dei Nazareth.
Questo perché:

1) appunto, è una cagata pazzesca.

2) perché i Nazareth, in quanto a sincere ballatone al caramello potevano fare mangiare la polvere a chiunque.

Chiunque.

Senza scomodare la guns-n-rosissima Child In The Sun (su Loun n’ Proud, 1973) prendete Vigilante Man. Un folk di polvere e vagabondaggio del buon Woody Guthrie. Trasmutata in una tirata southern di hard & heavy ben oltre al primo lp di Physical Graffiti!
E se volete godere, procuratevi quel “piccolo” disco che è BBC Radio 1 Live in Concert (WIN CD 005, 1991, ancora BBC, nella sua incarnazione migliore, qui). Un’esibizione di ruvidezza e potenza mortifere targata 1972, poi riemersa anche sul buon Back to the Trenches, un doppio live antologico del 2001.
Devastante.
Devastante, meglio anche degli oscuri Masters of Reality di John Brown, almeno qui c'è Dan McCafferty che è un cantante vero.
Come?
Mai sentito parlare di Masters Of Reality?
È qualcosa di misterioso. Voodoo e yuppie allo stesso tempo. Avete presente una versione indie di Mezzanotte nel giardino del bene e del male? Ossa di coniglio, uomini neri, crocicchi nel mezzo di sterminati campi di mais, illuminati ancora prima del tornado. Cielo plumbeo e ombre lunghe.
Per chi avrà voglia, ne riparleremo.
Gli altri si tengano pure Sweet Child o' Mine.

Capitan Vinile



mercoledì 3 settembre 2014

Appunti per un Nuovo Scrittore Musicale - 1

Porsi sempre domande durante l'esperienza d'ascolto.
Cercare le risposte all'interno dell'ascolto stesso.

DOVE MI TROVO?

In una tenda indiana? Su un'autostrada che corre nel deserto? In un carico merci una notte di burrasca? Ospite di un party in un attico al cospetto dello skyline al tramonto?
Quanto influisce l’ambiente sulla mia esperienza d’ascolto?


QUANDO MI TROVO?

È l'estate del 1967? Quella del 1976, gli ultimi anni '90 o magari gli anni 20 del secolo scorso?
Quanto influisce il mio tempo sull’ esperienza d’ascolto?


CHI È IL PROTAGONISTA?
(C'è sempre un protagonista)

Un adolescente in pena, il metalmeccanico nullatenente, il giovane arrapato a bordo della Camaro, l'intellettuale solitario.


CHI C'È CON ME?

Ci sono sempre compagni di viaggio, siano essi i Crazy Horse, o i Kyuss o Huey Lewis and the News o Kurt Weill.
Ma anche l'ispettore Callahan, Malcom X, Jesse James…


QUAL È LA SUA STORIA?

Ovvero cosa vogliono dirmi questa canzone, questo album? Qual è il messaggio, a che bisogno risponde questa esigenza di comunicare?

Raccontiamo la nostra esperienza soggettiva inserita in una narrazione non lineare.


COME SI LEGA QUESTA STORIA AL MIO ASCOLTO?
È passione? Il caso? Un acquisto voluto, cercato, una curiosità soddisfatta, una insoddisfatta? Un acquisto sbagliato? Condividiamo il tempo, lo spazio, il modo di vedere le cose?

Trovando le risposte a queste domande, tracciamo la nostra

ESPERIENZA D'ASCOLTO

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