lunedì 27 ottobre 2014

QuebecRockSampler - Note d'ascolto - 1


L’Infonie
L’Infonie (1969)

Un’enorme opera di avanguardia, in prima fila nella rivoluzione globale del rock di fine anni ‘60.
Orchestra classica free-form, inserti concreti, rumori d’ambiente, sketch di teatro canzone, beat poetry e l’ombra erratica del fantasma di Ornette Coleman. E non solo.
Una scaletta frammentata come un collage surrealista, potresti sentirci dei Faust Tapes rimontati da Charlie Haden in crisi d’astinenza. Ma anche il techno-psych di J’ai perdu 15 cent…, lo pseudo funk da cabaret per freak di Viens Danser, la meditazione per fanfare di ottoni che chiude Finale.
Una proposta talmente datata ed a suo modo estrema da risultare piacevole in questi nostri poverissimi tempi di crisi globale.
Disco notevolissimo, anche (soprattutto?) al di fuori dei ristretti confini franco - canadesi.

martedì 14 ottobre 2014

QuebecRockSampler - Bozza per un'introduzione


Questo lavoro non è nemmeno cominciato.
E tantomeno verrà concluso.
Nessun lavoro è mai realmente concluso, quando si tratta di riesumare vecchi dischi rock.
In parte perché tuttora, ogni giorno, ne emergono di nuovi; sul web, sui social, in negozi virtuali e non, ripescati da archivi discografici sotterrati, da paesi equatoriali e in apparenza improbabili, se non dai meandri dello sterminato mercato nord americano.
In parte perché è l'epoca stessa dell’ascolto che ne cambia la prospettiva e addirittura la consistenza artistica. Ascoltare gli Highway Robbery nel 1973 poteva essere quasi noioso. Oggi, dopo qualche decennio di pop sintetico e teen idol, in piena epoca di risveglio, apogeo e crollo revivalista, Bad Talk dei Granicus o Persecution dei Third Power (tanto per citare qualche nome di U.S. Hard Rock Underground) potrebbero addirittura diventare dei classici. La stessa cosa si può dire per i Maneige, o per un capolavoro come Dimension “M”.
A titolo di "introduzione" bastino alcune righe estrapolate da un testo più ampio, che chissà mai se troverà spazio qui sul blog.

***

Julian Cope ha avuto certo il merito di codificare, una volta per tutte, il kraut rock e l’avanguardia giapponese come movimenti unitari, consapevoli, innovativi e non meramente derivati da modelli anglo-americani.
La scena del progressive underground italiano ha trovato e trova tuttora (vedi l'ultima collana in "regalo" con l'Espresso) una propria solidissima strada alla riesumazione e glorificazione. Ed ecco che le tre grandi scuole di prog - o meglio di rock, per non essere troppo restrittivi - “non anglofone”, italiana, tedesca e giapponese, sono ormai sdoganate e riconosciute per il loro reale valore artistico e storico.
Eppure c'è una quarta, solidissima ed originale scuola nazionale, anzi regionale - se non addirittura metropolitana - ancora tutta da scoprire: il “Quebec Prog”.
Fiorito in una nazione, il Canada, che ha dato i natali ad alcuni grandissimi, pur presto emigrati negli USA per farsi un nome, si è in breve tempo arroccato e radicato come pura tipicità locale, senza troppe intromissioni o interferenze coi colossi musicali yankee.
Sorto in una regione francofona, il Quebec appunto, dallo spiccato senso di indipendenza ed appartenenza, un territorio che nei primi anni ‘70 contava appena 6 milioni di abitanti, per la maggior parte residenti nell’area urbana di Montreal, è dal punto di vista geografico un movimento ancora più coeso delle 3 scuole sopra citate e forse più affine ad una Canterbury boreale che ad un movimento di estensione nazionale e forzatamente frammentario. Anzi questo suo essere espressione pura di una minoranza linguistica e culturale ne ha accentuato i caratteri distintivi e l’autoconsapevolezza, creando una breve ma intensa parabola, terminata, come accade di solito, in una fase di stanco manierismo, che caso vuole sia spesso la più celebrata.

Non pretendiamo il completismo, nè certo l’(auto) pubblicazione.
Sarebbe sufficiente segnalare alcuni ascolti veramente interessanti, legati l’un l’altro da un sottile filo rosso geografico, sociale e temporale, oltre che musicale.
Ad altri il giudizio, qui ci accontenteremo della descrizione.

giovedì 9 ottobre 2014

Marx, Tyler Durden e Capitan Vinile



Se c'è una buona cosa prodotta dal capitalismo, è l'elevazione a scienza esatta, addirittura ad Arte sopraffina, del marketing, dell'advertising, della propaganda.
Della pubblicità.
Termine più adatto a noi caserecci consumatori finali.
In campo musicale, il Rock è sempre stato, per il capitalismo più puro e sfrenato, la testa di ponte nella mente dei giovani, perfino di quei tanti autoproclamati "ribelli".
Un piano degno del miglior Cossiga, quello che teorizzava l'infiltrazione di facinorosi tra le fila dei manifestanti non violenti.
È così da ormai 60 anni, da quando, tra il '54 e il '56, major e indie si reseto conto delle potenzialità commerciali di questa nuova musica, che fece letteralmente esplodere il mercato.
E smettiamola di dire che gli artisti sono innocenti marionette, puri ingenui, nelle mani di loschi discografici che mirano al profitto.

“Benvenuti nell'era dell'anti-innocenza: nessuno fa colazione da Tiffany e nessuno ha storie da ricordare.”

Il rock è veramente il braccio armato artistico per coloro che ricercano l'accumulo di Capitale, solo qualche ottuso integralista cattolico può pensare che sia il piano del Comunismo per piagare le menti degli adolescenti occidentali. Ma quella del resto è gente che ascolta i dischi al contrario.
L'unica cosa che salta agli occhi ascoltando Stairway to Heaven al contrario è il fatto che sia meglio così che non alla dritta.

Una testa di ponte.

Lo è tuttora più che mai, dopo anni passati ad affinare le armi e le tecnologie della propaganda.
Per esempio...
Bisognava sforzarsi di arrivare vivi alla decadenza di questo 2014 per essere testimoni di un nuovo album dei Pink Floyd.

Nuovo - album - Pink Floyd

Esercizio: inventate 3 frasi con queste tre parole.
Endless River.
Un endlessriver (termine di ascendenza pseudogermanica che non lascia mica scampo).
Potere degli articoli.... River of Shit, cantavano i Fugs.
Un lavoro che affonda le radici nelle session di Division Bell così dicono i grandi manifesti.
Un disco fatto di scarti di un'epoca orrenda, quella di Division Bell. (parafrasi)
Riesumazione di cadaveri fuori tempo, senza la minima ironia.
No, non ho certo ascoltato il disco, gli “snippet”, i promo. E non li ascolterò.

Non c'è poi mica bisogno di ascoltare tutto nella vita!

E quindi si, sono un prevenuto anch'io, quando mi pare.
Endless River me lo immagino già come un enorme buco con il solo solco a spirale ai margini. Un buco senza il disco attorno, mica come certe storiche caramelle alla menta.
Ma non è divertente come potreste credere voi, piccoli antagonisti, sparare a zero su questo disco. Divertente è farlo con Dark Side of the Moon, The Wall...
Qui no, quindi basta così.

Ma non finisce qui, in realtà.
Perché è sufficiente accendere la televisione qualche minuto per imbattersi in una band di mezza età che si dimena colorata su uno sfondo candido che pare la reclame di un Guitar Hero per nipotini dei Red Hot Chili Peppers.
E magari fossero i Red Hot...
No, sono gli U2, ovvero coloro che per primi si sono tramutati in una app per telefoni. Una di quelle gratis, come i giochini delle bolle o delle caramelle.
No, non ho ascoltato Songs of Innocence, e non lo farò.
Non c'è poi mica bisogno di ascoltare tutto nella vita!
Mmmmmmmmmm, questa mi sembra di averla già sentita...
Ma eccola qui, la meraviglia del capitalismo. La sua arma più tremenda e perfetta.

La pubblicità!

Il continuo tamburellare, che diventa un battere, che diventa un galoppo, che alla fine è un assedio.
“Alla fine trabocca e scoppia, si propaga e si raddoppia” recitava il vecchio Don Basilio nel Barbiere di Siviglia.
La calunnia...
Ovunque, monopolizzando tutti i canali che la comunicazione offre...
Frammenti di copertina, frammenti di musica. Dichiarazioni rese ad arte da qualche collaborazionista interessato.
Poi la cosa peggiore.
Il coro incessante dei "fans" che fanno muro per i loro paladini. Eccolo, il vero “wall”.
Ma forse non è salutare la recriminazione e l'antagonismo oltranzista. Rende burberi, inaciditi e pessimisti.
Questo è il Mondo, vuoto e tondo.
Il rock migliore dei nostri anni fa da jingle agli spot di prima serata: orologi, telefoni, automobili, profumi…
Beck, Black Angels, Black Keys, Presley.
Tyler Durden aveva la vista lunga; see for miles and miles and miles diceva la canzone degli Who, proprio su Who Sell Out.

“La pubblicità ci fa inseguire le macchine e i vestiti, fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la Grande Guerra né la Grande Depressione. La nostra Grande Guerra è quella spirituale, la nostra Grande Depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così”.

Allora, voi volevate fare le rock star?

O vi sarebbe bastato constatare come i vostri miti fossero in realtà straccioni mortali, peccatori meschini proprio come lo siete voi?
Con mascara, meches bionde e silicone a tamponare le rughe.
Abbiamo perso
Cupido è volato via dal condominio.
<<Abbiamo perso?>>
Altro che Fugs.
Fugs, ma anche tanti altri che ancora non conosco. Mi auguro, almeno.
Però certo che i dischi dei Fugs mica ce li toglie nessuno. Group Grope, Dirty Old Man, Supergirl le possiamo ascoltare quando ci pare, quando tutto attorno puzza di rifiuti.
Fresh Garbage, per gli Spirit, o ancor meglio la Garbage dei Deviants. Che - per inciso - sta su un album, Ptooff!, che potrebbe essere quel "punto medio" tra i Velvet Underground e Zappa. Sulla sponda britannica, in una lurida soffitta infestata da squatter e piena di siringhe sul pavimento.
Mica male…
E mentre rimugino certe ovvietà da vecchio brontolone, mi metto ad aprire l'ultimo pacco, arrivato ormai mesi fa, che avevo quasi dimenticato sotto ritagli di giornale, libri, altri dischi.
Non ricordo cosa possa esserci dentro. Viene da West Berlin, New Jersey. Eh, già.  C'è una Berlino est pure in America.
E rinchiudo Tyler nel guscio del più mite Edward Norton.
<<Sono la morbosa curiosità di Jack. E del Capitano>>

Adiossssss!

lunedì 6 ottobre 2014

Appunti per un Nuovo Scrittore Musicale - 2


Cercare la storia dentro la musica

Seguire i protagonisti e gli antagonisti. Descrivere il luogo, fissare il tempo.

SCRIVERE LA STORIA CHE È DENTRO LA MUSICA
(per dare un senso alla storia che è dentro di noi)

Una storia costruita canzone dopo canzone. O strofa dopo strofa.
Una storia che non è quella della band, né quella dell'album, né la nostra. Ma a tutte quelle, comunque, attinge. In quelle si riflette.
Scrivere questa storia, ricostruendola, senza seguire una trama o un ordine logico, cronologico o causale; assemblarla per singole visioni, tessere giustapposte e senza incastri, fantasticando sull'assente e senza mentire sul presente.

Rimontare la pellicola ad accesso casuale, traslare tempo e luogo.

Quando riusciamo a seguire quella storia, a dominarla, a gestirla con naturalezza, possiamo veramente dire di scrivere la musica in maniera nuova.

SCRIVERE LA MUSICA

RESTITUENDOLE UN PO’ DI QUEL MISTERO CHE PARE IRRIMEDIABILMENTE PERDUTO

MISTERO
…tanto parte proprio da qui…

SCRIVERE LA MUSICA

Un atto che, concepito letteralmente, è impossibile; ma se mediato e sanamente trasferito, come in un comune meccanismo psicologico, può ancora riservare sorprese e bellezza.
E utilità, per chi legge.

Abbandonare le terre utopiche dell’oggettività, le cui strade, costruite e solcate da migliaia di critici, sono ormai diventate un labirintico groviglio senza via d’uscita, per addentrarsi nel mistero più grande di tutti: l’esperienza soggettiva.

STORIA – IO – MISTERO – IO – STORIA

Un percorso palindromo che riconduce sempre al mistero, che inizia sempre dalla storia e che passa sempre attraverso l’io.

Scrivere la musica consapevoli dell’illusione della razionalità: musicare la scrittura.



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