domenica 30 dicembre 2012

Bassholes - Bassholes



Tutti stretti in un angusto juke-joint di marca Fat Possum, mentre qualche stracciato bluesman si sforza di sembrare Jon Spencer di supporto a R.L. Burnside; e nei momenti migliori ci riesce quasi.
Il vecchio mestierante Don Howland, già coi Gibson Brothers e qui all’ennesima uscita marcata Bassholes, rinforza il legame con vecchie piantagioni di cotone e si associa ad un batterista di colore fingendosi parte di un duo: in realtà, nelle tantissime 14 canzoni di Bassholes, gli ospiti fanno la fila fuori dalla sala d'incisione, ognuno col suo sound vintage in tasca: banjo, dobro, armonica…
E allora eccoli i nuovi forzati indie-roots, ordinati in una chain gang con qualche fronzolo, che suonano come dei Black Keys invecchiati cercando di copiare i Tarabox Ramblers con la foga di Hound Dog Taylor. Bella la cover blues-punk di Broke Down Engine, Daughter è una scalcagnata parodia country alla Stones e la caoticissima jam Caravan Man sfoggia il rantolo chitarristico più scaltro del lotto. Poi tanto sound down home, sferragliamenti ferroviari, produzioni  anticate ad arte, immagini impolverate e color seppia neanche fosse una compilation della Excello. C'è addirittura un'incomprensibile cover di Heaven And Hell degli Who. Cosa non si trova rovistando in soffitta.

domenica 23 dicembre 2012

The Evil Monkey’s Backpages – La Saga



Ci fu un periodo in cui questo Blog distribuiva una fanzine autoprodotta dal titolo “The Evil Monkey’s Backpages”: quattro facciate in formato A4 pensate per diffondere i contenuti in una forma diversa, meno interattiva e assai vintage.
Dal punto di vista della resa “commerciale” fu un progetto assolutamente fallimentare: troppo tempo perso in impaginazioni complesse, troppe risorse per sfornare versioni PDF, Jpg e Doc da distribuire su differenti canali. E poi scarsa diffusione, scarso "pubblico" e di fatto una mini rivista che era per metà in italiano, per metà in inglese, che poco o nulla aggiungeva ai contenuti già presenti sul blog. Un tentativo maldestro.
In tutto furono prodotti nove numeri mensili, da luglio 2011 a marzo 2012.
Ora, a 10 mesi di distanza dall'ultima uscita, rovistando negli archivi, ho ricomposto in un unico "album" tutte le uscite di The Evil Monkey’s Backpages: sono una ventina di pagine in formato A3, in rigorosissimo bianco e nero. Essendo state impaginate per la stampa di un pieghevole, le facciate non sono ordinate in sequenza ma la successione è pagina 4 (il retro), poi 1, 2 e 3: provate un po’ a raccapezzarvici, se ci riuscite!

E comunque ne vale la pena: è gratis ed è probabilmente la fanzine più rara del web!
Magari tra vent'anni diventa oggetto di culto!

Consideratelo il secondo regalo di Natale del blog (dopo il poema su Led Zeppelin IV)

venerdì 21 dicembre 2012

Led Zeppelin IV – Il poeta (bonus)


Per gli inesausti di Led Zeppelin IV, una piccola strenna natalizia nella lunga maratona degli “Esercizi di Stile” su Zoso, un album che ormai mi esce veramente dalle orecchie!
Avete mai pensato a cosa potrebbe succedere se un esaltato poeta settecentesco si riscoprisse un fanatico del suono del Dirigibile? Un mix… spaventoso!

P.S. Si accettano volontari per la parafrasi.

mercoledì 19 dicembre 2012

Effetto Chicago


Allora dissero “Non possiamo seppellirla nella terra nera” e fecero fare una bara di cristallo, perché‚ la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero, vi misero sopra il suo nome, a caratteri d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi rimase sempre a guardia.

martedì 18 dicembre 2012

Noel Gallagher e l’Evo Moderno


Quello che segue è lo stralcio di un articolo-intervista sul (ex) chitarrista degli Oasis apparso sul quotidiano La Repubblica il giorno 9 Dicembre 2012.

È cresciuto,ha quarantacinque anni, parla con la pacatezza di un nonno. Niente più colpi di testa, basta con le droghe ,le sbronze sempre più rare e solo lontano da casa. «Se in questi mesi ho ricevuto una lezione è questa: finché fai buoni dischi il pubblico è sempre dalla tua parte, anche in quest’epoca di grande crisi», assicura. «Oggi bisogna ragionare in un modo diverso, se vendi 1,5 milioni di dischi raggiungi almeno un’audience di 6,5 perché cinque milioni riescono ad averlo gratis. Il merito è, ora come allora, della canzone, la chiave d’accesso a milioni di persone. Tu scrivi una piccola melodia ispirata al tuo mondo, alla tua piccola realtà, e scopri che dall’altra parte del pianeta, in Uruguay, un ragazzo canta quelle parole con le stesse intenzioni. Questa è la magia del rock. La tecnologia ce la sta mettendo tutta per distruggerla. I computer, Internet, iTunes, grandi innovazioni, prodezze dell’ingegno umano — ma hanno fatto bene aI rock’n’roll? Non mi pare. Hanno aiutato a far conoscere musica migliore? Non credo. Hanno contribuito a migliorare la qualità? Tutt’altro. Ma se il mondo gira così, devi girare con lui; se il rock’n’roll diventerà un giochetto alla stregua dei videogame non ci resta che fare i pupazzi».

sabato 15 dicembre 2012

Le brutte recensioni – Proposte per testi diversi (parte 2)


Lessico

Il lessico è una miniera inesauribile di soluzioni nuove; esplorate un dizionario per scoprire nuovi tesori che mai avreste pensato di potere utilizzare in una recensione rock!
Per esempio l’uso di un lessico settoriale diverso da quello musicale è un buon modo per evitare frasi fatte ed aggettivazioni abusate. E’ una pratica che funziona bene in abbinamento al precedente (la concettualizzazione), restituendo omogeneità e progettualità alla recensione. Per esempio se estrapolo concetti di design, posso puntare su attributi tratti da questo settore; con generi assai caratterizzati come lo Space Rock o la Cosmische Music l’accostamento al settore fisico-astronomico è quasi d’obbligo; la rumorosità del noise è ben affiancabile a terminologie meccaniche o industriali.
La scrittura scientifica, per dirne un’altra, offre molteplici possibilità di aggettivazione interessante: pachidermico, ferino, rettiliano, invertebrato, larvale… solo restando nel campo “biologico”. Archeozoico, neandertaliano, megalitico, australopitecino… in campo geologico. Per esempio, al posto di riff primitivo, riff mesozoico è, se non più efficace, almeno più originale e ricercato. Attenzione, più i termini sono difficili e specifici, più vanno utilizzati con parsimonia, altrimenti al lettore occorre un dizionario!
Altro campo semantico utile è quello relativo alla tecnologia e ai motori: cromato, smaltato, rotante, monofase, assemblato… ; piccole miniere di parole spesso trascurate.

giovedì 13 dicembre 2012

Le brutte recensioni – Proposte per testi diversi (parte 1)


  
Dopo una serie di articoli piuttosto censori, credo sia d’obbligo qualche personalissima proposta per testi, non migliori, ma magari un po’ “diversi”. Come al solito, non mi permetto di dare lezioni né di italiano né di scrittura creativa, questi spunti sono solo linee guida che nel tempo ho formalizzato e cercato di seguire per dare un po’ di duttilità e utilità al “formato recensione”, evitando di ricadere nei soliti luoghi comuni, nella solita sintassi stereotipata, nei consueti giudizi telefonati.
Come premessa una regola importante da tener sempre a mente: scrivere recensioni “di qualità” non è facile. L’opinione comune sembra non essere del tutto in accordo, ma io ne sono fermamente convinto. E il fatto di conoscere, magari anche a memoria, l’album che andiamo a recensire è solo il punto di partenza: condizione necessaria e NON sufficiente.
Detto questo, qualche personale “buon proposito”.

sabato 8 dicembre 2012

Led Zeppelin IV – Il narratore (esercizi di stile)


Questo personaggio vi accompagnerà lui stesso nella recensione in quanto, oltre che autore, ne è anche narratore interno. Da qui il largo utilizzo della prima persona e di frasi ricche di pronomi e aggettivi possessivi a formare espressioni del tipo: “a mio parere”, “mi fa venir in mente”, “per me”… E’ comune il tentativo di dare un taglio più narrativo al testo, fatto ben evidente nell’utilizzo di introduzione e conclusione collegate e a tema autobiografico. Spesso il testo degenera in uno scolastico “simil-tema-del-liceo” a sfondo musicale.

giovedì 6 dicembre 2012

Il medium liquido


Credo che i tempi siano "maturi" per ripubblicare in formato unitario alcuni piccoli articoli apparsi su questo blog ormai più di un anno fa; ho rimaneggiato pochissime cose; molte altre sarebbero da correggere, rivedere e aggiornare ma per ora mi accontento così.
Confido anche nel contributo e nella critica dei lettori per strutturare meglio questi appunti!
Potete trovare gli originali spulciando tra questi articoli.
  

martedì 4 dicembre 2012

L’alieno George e il Rock


George è un simpatico alieno proveniente da Kepler-22B; è atterrato sul nostro pianeta lo scorso settembre. E’ un incrocio tra il Roger di American Dad e il marziano Paul dell’omonimo film. E’ affabile, gentile, molto curioso; è in missione conoscitiva.
Quando è arrivato non conosceva alcuna parola di nessuna lingua terrestre; eccetto “pizza”. Quella la sapeva anche lui. Però ha una capacità intellettiva esponenzialmente superiore alla nostra: è riuscito ad imparare la logica delle lingue neolatine in una giornata. Compresi i fondamenti della costruzione delle parole e della frase, nei giorni seguenti ha studiato inglese, francese, italiano e tedesco. Ha un’enorme memoria ed una straordinaria capacità induttiva: riesce a capire la funzione delle parti meccaniche di qualunque motore solo osservandone la forma. Gli è stato sufficiente guardare alcuni quadri di Picasso, Mirò e Dalì per comprendere l’avanguardia pittorica del primo Novecento. Dopo la lettura di qualche rima di Blake, un sonetto di Goethe e l’ascolto di un lied di Schubert già dissertava di romanticismo. Il Partenone è bastato a fargli comprendere non solo l’architettura classica, ma addirittura il rapporto del pensiero greco con religione e natura. Mica male!
Esauriti i campi dei saperi “nobili”, George si è detto curioso di imparare qualcosa anche sulla cultura popolare. Domani sono previste lezioni sul fumetto, la televisione… e la musica rock.
Toccherà a me fornirgli le basi in quest’ultimo ambito.
E sono nel panico più totale.
Il tempo che abbiamo a disposizione è brevissimo, solo 15 minuti.
“Ma… gli basteranno?”
“Ha imparato il tedesco in mezza giornata… un quarto d’ora per qualche canzonetta è fin troppo!”
Certo che ai piani alti non fanno sconti. Si raccomandano di non impelagarsi in una “lezione frontale” ma di fornirgli solo degli esempi. Qualche ascolto azzeccato, e la sua capacità induttiva farà il resto.
Azzeccato… mica facile.
In quindici minuti potrei quasi fargli ascoltare quasi tutta Sister Ray: ma probabilmente si farebbe l’idea che il rock è un’orgia cacofonica per depravati annoiati della vita.
Potrei partire da Elvis: in tanti sostengono che è tutto è cominciato con lui. Poi passo a Beatles, Police e Muse: lineare, didattico… e molto “bianco”. Ci manca anche che mi accusino di volere negare la componente nera della musica popolare…
Potrei rimediare con un blues di Muddy Waters, la scena in cui i Blues Brothers ascoltano John Lee Hooker in Maxwell Street e poi magari uno di quei bei medley con cui gli Zeppelin chiudevano i concerti, che vanno da Cochran ai Guess Who. E lì però si fermano… mica può pensare che gli sto parlando di un genere morto e sepolto.
Ci sono: vada per i cosiddetti  “capolavori”. Good Vibrations, A day in the Life, Born to Run, Smell Like Teen Spirit, One, Seven Nation Army, … ma che senso ha alla fine? Voglio dimostrargli che il rock è tutto un capolavoro, o devo fargli comprendere la realtà, cioè che per una buona metà è fatto di banalità inaffrontabili? E poi, che cos’è un capolavoro? Una di quelle canzoni che popolano le infinite classifiche di cui solo sono capaci Rolling Stones o Kerrang o MTv?
Non so che pesci pigliare… un misero quarto d’ora, 3 o 4 ascolti per far comprendere ad un alieno di Kepler-22B  la musica rock.
Per fare il ruffiano potrei mettere su Mr. Spaceman. Per tenerlo alla larga magari gli faccio ascoltare gli Slayer. Per fargli capire chi comanda, vai con Henry Rollins. Con Kurt Cobain potrebbe andarmi in depressione, coi Guns mi diventa un ubriacone debosciato, coi Sigur Ros… bè coi Sigur Ros magari si rifugia in un letargo intergalattico per qualche eone. I Mars Volta gli farebbero pensare che il rock è un genere per intellettuali, gli AC/DC che è un passatempo per postriboli. Morrison gli confonderebbe le idee su quanto imparato dalla psicoanalisi freudiana; i capolavori di Dylan sono fuori scala per la media della musica commerciale. School’s Out sarebbe una buona scelta: cosa c’è di più “Rock” dell’ultimo giorno di scuola? Ma di nuovo penserebbe ad un gioco per bambini. E poi sto dimenticando del tutto il progressive… ma trovare un brano prog che duri meno di 15 minuti mica è facile… E la musica tedesca? Posso non fargli ascoltare i Faust? Ma soprattutto: i Faust fanno Rock?
Sono nel panico!
No, calma. Reset.
Riprendiamo il filo e cerchiamo di fargli capire poche semplici cose: ritmo, allegria pensierosa, rottura insistente e ostinata commercialità. Poi, mille scelte sono buone.
Cosi’, dopo due giorni di tentativi e 27 diverse selezioni, ho pronta la mia scaletta.

domenica 2 dicembre 2012

US Hard Rock Underground - Macho Songs


You put a greased naked woman on all fours with a dog collar around her neck, and a leash, and a man's arm extended out up to here, holding onto the leash, and pushing a black glove in her face to sniff it. You don't find that offensive? You don't find that sexist?
This is Spinal Tap

Avete messo in copertina una donna nuda, unta, a quattro zampe, con un collare da cane attorno al collo e il braccio di un uomo che tiene il guinzaglio e le sbatte in faccia un guanto perché lo annusi. Non lo trovate offensivo? Non lo trovate sessista?
This is Spinal Tap

venerdì 30 novembre 2012

The Flash Express ‎– Introducing The Dynamite Sound Of


Anno 2004. Tre teppisti in abiti mod fanno irruzione nelle torri di cristallo dei nuovi yuppie Nasdaq come Heat Ledger nell’attico di Bruce Wayne.
Baccano metropolitano, funk da depravati bianchi, strade intasate, taxi che usano clacson come mitra, trasporti nel caos; meglio prendere il Flash Express per downtown, con quel titolo che strizza tanto l’occhio al nord-est più rozzo dei Sonics. Ci troverete un ultra-garage irrobustito dal gelido taglio della Telecaster, una versione dei Cream uscita dal CBGB nel 1977, ubriaca di rock pesante e di tutte le false depravazioni losangeliane. C’è pure un blues ipercaratterizzato da fumetto (Feel These Blues) e fortunatamente nessuna zuccherosa ballatona unplugged, solo un lento fine anni ’50 da “Ballo Incanto Sotto al Mare” (Baby I'm Wrong). La California più urbana ha prodotto questo rock così a fior di pelle, tanto elettrico da sembrare quasi robotico, tanto strafottente da parlare di sé in terza persona, tanto scontato che alla fine resta appiccicato addosso come un chewing-gum masticato. E questi tre hanno veramente il “ritmo che uccide”, anche quando strappano una pagina notturna, cerchiata col rossetto, da un finale di James Ellroy (Sneak Around).
Peccato siano scomparsi presto.

Tra parentesi: CD  a 0,01 $ su Amazon… 0,01…

mercoledì 28 novembre 2012

Le brutte recensioni – Brutti dischi



Ovvero: posso trarre da un album che ritengo brutto una buona recensione? La qualità dell'oggetto recensito influisce sulla qualità del testo?
In linea teorica non dovrebbe: la lingua è talmente elastica e ricca di soluzioni da consentire la stesura di un buon testo partendo da un oggetto d'analisi che appare mediocre o addirittura scadente.
In pratica non è sempre così. Però occorre sgombrare il campo da un facile equivoco: il brutto, in realtà,  è una categoria preziosa. Spesso travisata e ancor più spesso trattata in modo superficiale, generico e discriminante. Umberto Eco, nell’introduzione all’antologia “Storia della Bruttezza”, ci dimostra come questo carattere sia una risorsa importante per arte e morale, così come lo è il bello.

venerdì 23 novembre 2012

Led Zeppelin IV – Il gonzo (esercizi di stile)



Nella migliore delle ipotesi è una narratore con cognizione di causa; nella peggiore, la più comune, è solo un fanatico che usa la prima persona del verbo. Adopera frequentemente inglesismi (e italianismi, perché no?) bizzarri e frasi fatte da critico; è un cultore di beat generation, Lester Bangs e Charles Bukowski; non rinuncia a parole o espressioni volgari e tratta spesso del proprio vissuto piuttosto che dell’album in questione; risulta sempre scettico, cinico e disincantato riguardo al carrozzone della musica rock, di cui per altro fa immancabilmente parte.

mercoledì 21 novembre 2012

Ma come si vestono?! (TVEye)


Guai a pensare che il Rock sia maestro di moda.
Mica tutti sono eleganti come i Mod o possono permettersi le giacche Armani di Clapton.
Quando poi si parla di Hard Rock, Southern o di altri generi di per sé imprigionati nei cliché, l'orrido è sempre dietro l'angolo, sopratutto tra le seconde file più esagitate.
Tanto per gradire: Uriah Heep, The Wizard (1972), in clamoroso playback vintage.
Ma lasciamo da parte la musica un attimo per chiederci, con sommessa ironia...come si vestivano questi?

lunedì 19 novembre 2012

US Hard Rock Underground - Bozze per un’introduzione


Premessa

US Hard Rock underground nasce come “guida turistica” all'ascolto di album remoti di Hard Rock americano dei primi anni '70.
Considerare il singolo album come elemento centrale è una questione di praticità e fruibilità, oltre che di curiosità nell’ indagare alcune uscite discografiche assai rare, talvolta misteriose e oggi addirittura preziose.
Ma occorre considerare che nell'epoca di internet in cui ci muoviamo, l'LP va sempre più perdendo unitarietà e importanza in favore di ascolti più elastici, più liberi, magari frammentari; playlist, video su Youtube, sample di LastFM…
Da qui l'esigenza di tracciare non solo "trame orizzontali" e autoconclusive su ogni singolo disco, che spesso corrisponde ad una singola carriera discografica, quindi una micro monografia, ma anche percorsi più trasversali che costituiscono una “trama verticale” alle avventure dei nostri rocker ignoti, pur sempre  rimanendo all'interno dei confini che abbiamo attribuito al campo d'indagine: musica Hard & Heavy di produzione americana tra il 1969 e il 1975.
Percorsi che possono costituire una introduzione alle singole monografie o recensioni, e che possono contribuire a restituire quel senso di unitarietà e omogeneità "di genere" che spetta ai lavori di questi artisti.

giovedì 15 novembre 2012

Quanto è bello ciò che piace?


Wow, la colonna sonora del Breakfast Club! Non vedo l’ora di essere abbastanza vecchio per apprezzare questa roba!
(Futurama - Il quadrifoglio)

martedì 13 novembre 2012

Led Zeppelin IV – Il pedante (esercizi di stile)



Costui fa della digressione la sua arma segreta: meno preciso dell’analitico, più verboso dell’esaltato, il pedante ha grossi problemi nello stare entro i limiti di lunghezza. Abbonda di punteggiatura e perifrasi, evita le ripetizioni solo con estenuanti giri di parole. Il suo periodare è a volte involuto e sovente ipotattico. Spesso sull’orlo della supponenza, non riesce mai a cogliere nel suo testo il senso unitario di un album. Pur non andando fuori tema, la sua recensione, ad una lettura attenta, parlerà di tutto fuorchè dell’album in questione.


Non si può certo dire che nel 1971 la ribalta della scena rock mondiale non fosse ricolma di grandi nomi e grandi dischi: Sticky Finger degli Stones, L.A. Woman dei Doors, Fragile degli Yes, Who's Next e tanti altri. Fu in questo notevole momento di creatività diffusa che i Led Zeppelin, i quali già da qualche anno avevano scosso la scena musicale prima con l’esordio hard blues di “I” e soprattutto con la vera e propria invenzione di un nuovo sound, l’hard rock, con il cosiddetto Bombardiere Marrone, arrivano con la loro quarta uscita a raggiungere quella perfezione formale che stabilirà un nuovo canone per tutto il classic rock e l’AOR dell’immediato futuro. Cosa sarebbero Aerosmith, Bad Company, Foreginer, ma forse anche Styx e Kansas senza gli Zeppelin e soprattutto senza questo album?
Un album che già dalla copertina detta le regole: in questo caso la regola di rinunciare in toto al marchio; rinunciare all’immagine, quel logo che per tanti gruppi è sinonimo di commerciabilità e vendibilità, che magari i progressivi più sofisticati si facevano disegnare da qualche illustratore famoso (magari Roger Dean?), perfino quel nome, quello stesso che stava stampato sui primi tre album degli Zeppelin, è quello stesso nome che scompare da IV, che per questo, non senza ragione, viene spesso identificato con l’appellativo di “Untitled”. Come se la Apple rinunciasse alla “mela” o Google al proprio nome colorato. Eppure in quel periodo, pur così denso di dischi che sarebbero presto diventati classici, questo album fu immediatamente riconoscibile poiché portatore di un messaggio che non poteva essere facilmente travisato.
Quel messaggio, che oggi è giustamente riverito come uno dei massimi testamenti musicali dell’epoca, ma non solo, è Stairway to Heaven. Il brano che inizia con un dolce arpeggio di Page, presto accompagnato dalle tastiere da favola di Jones, prosegue come una “power ballad” da manuale che sfocia finalmente in uno degli assoli più celebri della storia del Rock. E qui è necessario aprire una parentesi per considerare quanto questi pochi minuti strumentali abbiano colpito i giovani americani infatuati di rock nei primi anni ’70, quelli che magari già strimpellavano qualche strumento al college e che dal giorno in cui ascoltarono questo pezzo ebbero chiara la strada da percorrere. Pensiamo a Montrose, Blue Oyster Cult, Boston, di nuovo ad Aerosmith, Bad Company, Foreginer: anche qui forse c’è la ragione della loro esistenza.
E’ poi opinione comune per chiunque si trovi, per lavoro o solo per gioco, a commentare quest’album, che Stairway to Heaven, da sola, sia sufficiente a giustificare lo status di “capolavoro” per Led Zeppelin IV. Se non che, la stessa opinione comune di cui sopra è comunque in accordo nel sostenere che le restanti canzoni, pur nelle loro diversità, non abbassano di certo la qualità di un’ opera che, nel suo complesso, si assesta su livelli d’ispirazione che non hanno molti eguali nella scena rock dell’epoca.
Chissà se Chuck Berry, nello strimpellare Johnny Be Good o Roll Over Beethoven, aveva immaginato che quel suo nuovo sound un giorno avrebbe partorito brani come Rock n’ Roll, che da sola riassume tutto quanto un genere, o come Black Dog con le sue sfuriate rumorose degne del metal.
Ma gli Zeppelin non sono solo chitarre elettriche spianate o batterie rombanti come in When the Levee Breaks; anzi forse parte del cuore di questo “IV” sta ancora nello sperduto e romantico cottage di Bron-Yr-Aur dove Page e Plant, appena un anno prima, in compagnia di qualche “roadie” e poco più, misero a fuoco un approccio musicalmente differente, fatto di ascolti acustici e antiche suggestioni britanniche. E furono in effetti abili a sapere come mantenere con naturalezza il gruppo su due binari, perché è certo innegabile, ci mancherebbe, che i Led Zeppelin abbiano coniato il primo vero suono duro della scena rock (certo, non da soli, ma insieme a ad illustri colleghi come Cream, Hendrix, Sabbath, Jeff Beck…), ma hanno anche contribuito alla ricchezza di quel folk britannico che tra gli anni ’60 e ‘70 ha dato prova di grande creatività e freschezza, con gruppi come Pentangle, Incredible String Band, Fairport Convention, guarda un po’ la band dell’illustre ospite Sandy Danny che canta in The Battle of Evermore; e perché no, allora anche Led Zeppelin, quelli di Going to California e soprattutto del pezzo succitato, con i suoi duelli acustici di chitarre e mandolini che almeno risparmiavano a Bonzo l’ennesimo tour de force. Certo, niente paura, perchè poi ci sono anche canzoni come Misty Mountain Hop o Four Sticks, ma soprattutto brani come l’ultimo del disco, quella When the Levee Breaks, in realtà un vecchio blues del Delta, ormai celebre per la figura di batteria più imitata in campo hard, che riallaccia il filo non più con la tradizione folk di altri brani, o di interi album come III, bensì con un’eredità di blues elettrico, Waters, Willie Dixon, Wolf, che è poi quella originale da cui gli Zeppelin avevano pescato a piene mani per i primi due album.
Quindi, in conclusione, quello che qui abbiamo per le mani è un album di sintesi assai riuscito: sintesi tra due, o forse anche tre o quattro, anime che sin dall’inizio convivevano nel gruppo conferendogli un’ecletticità che mancava ad altri grandi come Who o Yes; un album uscito apparentemente indenne dalla prova del tempo, cosa che a molti mostri sacri mai è del tutto riuscita; un album che è stato in grado di fondere tradizione folk, radici blues e ispirazione rock. Un album, e vado a concludere, il cui ascolto è di fatto un obbligo per chiunque abbia l’ambizione o il desiderio di parlare e scrivere di musica.

domenica 11 novembre 2012

Le brutte recensioni – I voti




Vedi, il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica... e chi scava. Tu scavi
(Il Buono il Brutto il Cattivo – Voto: 8)

giovedì 8 novembre 2012

Led Zeppelin IV – L’analitico (esercizi di stile)



L’analitico è un pignolo al primo stadio. Utilizza come massima espressione grammaticale l’inciso e la frase incidentale, definendoli tramite virgole, parentesi ma anche trattini, come fosse un discorso diretto finito per caso nel testo. La sua attenzione sarà massima verso i particolari e assai minore rispetto al contesto e al quadro d’insieme. Innamorato di nomi e date, non mancherà di informarci all’inverosimile sul superfluo, faticando a trasmettere calore e passione.

martedì 6 novembre 2012

The Black Angels - Passover


Nascosto dentro un’integerrima copertina di derivazione Op-Art, sta un gruppo che si maschera dei facili costumi da rocker alternativi come Black Keys o Black Mountain (però basto con ‘sto nero ragazzi!), ma è invece composto da Discepoli della più scura psichedelia warholiana trapiantata nel reazionario Texas che rinchiuse Roky Erickson in manicomio. Una batterista che si crede Moe Tucker, un cantante capace di evocare spettri morrisoniani e, ovunque, bordoni di chitarre distorte. 
I Black Angels di Passover concedono poco al divertimento e pretendono l’ipnosi negli ascoltatori di trance spiraliformi come The First Vietnamese War o The Prodigal Sun, di raga multicolori come Manipulation e dell’obbligatoria (ma alla fine noiosa) epica di Call To Arms, diciotto minuti di Sister Ray per adolescenti. In verità è The Sniper At The Gates Of Heaven, giochi di parole a parte, che da sola può risvegliare un intero esercito di zombi. 
Un ascolto utile; per non starci sempre a raccontare che la musica degli anni ’60, alla fine, era un’altra cosa.

The Black Angels - Passover (Light In The Attic - LITA 018) 2006


domenica 4 novembre 2012

Led Zeppelin IV – Il Fanatico (esercizi di stile)


Il fanatico non scrive una recensione, compone l’esegesi di un testo sacro, l’agiografia di eroi leggendari. Grammaticalmente sfrutta tutte le possibilità del superlativo relativo ed assoluto ed abbonda in iperboli tali da andare anche oltre la sfera musicale di competenza. L’analisi delle tracce è completa ma non troppo approfondita: non si sa mai che scavando troppo si trovi qualche difetto… La stessa cosa accade per i riferimenti a band analoghe: sono ammessi paragoni solo con altri Immortali. Piuttosto comune la “professione di umiltà” come introduzione.

venerdì 2 novembre 2012

Le brutte recensioni - Esercizi di Stile



Per il futuro mi impongo degli esercizi di stile. Sono intriganti, utili e insegnano a non ricadere nei soliti errori.
Ma soprattutto… sono divertenti.

mercoledì 31 ottobre 2012

Quello che non ho


Tra i pescatori sportivi professionisti, quelli che scrivono sulle riviste, che sponsorizzano materiali, c'è un tabù difficile da sfatare: nessuno di loro vi dirà mai il peso della più grossa carpa pescata. Questo perché sanno bene che qualunque pescatore della domenica, con un colpo di fortuna, può avere fatto ben meglio di loro.
Mica ci fa una bella figura chi passa per un guru del suo campo.
Allo stesso, qualunque professionista Rock sarà ben geloso dei suoi ascolti e sopratutto dei non ascolti: difficilmente il critico di turno vi rivelerà ciò che non ha mai ascoltato. Questo perchè sa benissimo che nella lista c'è anche quell'album, fondamentale, considerato imprescindibile dal senso comune, che...gli manca. Magari è mancata l’occasione, il tempo, la voglia o il coraggio. Sta di fatto che gli manca.
Così, in fede alla linea di “auto miglioramento” che da un po' di tempo contraddistingue questo blog, ho deciso di fare outing. Vuoto il sacco.
E chissà che ciò che mai abbiamo ascoltato non ci definisca meglio di quello che conosciamo e di cui sproloquiamo fin troppo spesso...

venerdì 26 ottobre 2012

Prigioniero del proprio testo


  
La maggior parte delle recensioni che ho scritto e un buon numero di quelle che si leggono in giro sono organizzate, più o meno esplicitamente, secondo un immutabile schema tripartito, buono per ogni tema dalla seconda superiore in su:

introduzione

svolgimento

conclusioni

Uno schema assai funzionale, che agisce bene soprattutto con gli album che poco concedono alla fantasia, adatto a testi lineari, scorrevoli e senza troppe pretese ma che presto prende il totale controllo del prodotto e lascia al povero autore scarsi margini di manovra. Non c’è nulla di male a seguire un canovaccio simile: si possono scrivere ottimi articoli seguendo quest’impostazione, ma la verità è che alla fine stanca. Forse più l’autore del lettore; ad ogni modo dopo avere toccato il fondo con un paio di pezzi su Maypole e Tongue, mi sono ripromesso di cercare alternative, soprattutto alla cronica sclerotizzazione di ognuna delle tre parti.
Quali sono i temi ricorrenti e ormai consunti? Vediamoli punto per punto.

NB: questa NON è una lezione; non voglio fare la morale a nessuno, sono considerazioni che faccio a me per primo e non pretendo assolutamente di insegnare a scrivere a chi già lo sa fare. Detto questo, se la galassia dei blog musicali, e più in generale delle fanzine sul web (e magari anche della stampa specializzata?) vuole arrivare ad avere quei riconoscimenti e quella considerazione che forse merita, credo si debba lavorare sulla qualità innanzi tutto, magari partendo proprio dai testi.

giovedì 25 ottobre 2012

Look this Blues – Immagini dal catalogo Delmark (1962 - 2002)


Se mi chiedete cosa sia il Blues, io non posso rispondervi.
Dovete chiederlo a Son House, Robert Johnson, Lightnin' Hopkins; e tanti altri…

Well, some people tell em that the worried
blues ain't bad
Worst old feelin I most
ever had
some people tell me that these
old worried, old blues ain't bad
Its the worst old feelin,
I most ever had

Robert Johnson - Walking Blues (1936)


Now I met the blues this morning, walking just like a man
Oh, walking just like a man
I said good morning blues, now give me you right hand
Now there aint nothing now baby, Lord that's gon' worry my mind
Oh, Lord that's gon' worry my mind
I'm satisfied I got the longest line
I got to stay on the job,I aint got no time to lose
Yeah, I aint got no time to lose
I swear to God, I got to preach these gospel blues

Son House - Preachin' Blues (1930)

martedì 23 ottobre 2012

Le brutte recensioni - Parole esiliate


Di brutte recensioni ne ho scritte parecchie e ne ho lette a caterve. Fanno parte della vita. Così, imbracciando una filosofia positivista basata sulle sorti progressive del genere umano, che piacerebbe a Carlo Cattaneo, ho deciso di stilare un elenco degli “errori” che non voglio più commettere nello scrivere di musica. Un corso autoimposto di scrittura professionale, assumendo come oggetto cruciale dell’analisi la recensione. Forse come diceva Greil Marcus la recensione musicale è veramente “una forma morta”. Io faccio sempre più fatica a trovare soddisfazione da questo genere di testi. Ho la costante sensazione di ripetere le stesse parole, gli stessi aggettivi, gli stessi enunciati. Di organizzare il testo nel medesimo modo, come se fossi intrappolato in una griglia solo da compilare. Perché farlo allora? Perchè sono convinto si possa migliorare; si possano battere altre strade, sfruttare diversi approcci.
Orbene, rispolverando vecchi scritti e tanti articoli in giro per il web e la stampa specializzata, ecco stilata una lunga lista delle parole ed espressioni più inflazionate, abusate e ormai insopportabili, tipiche del recensore Rock degli anni 2000.
Per ora mi limito ad un livello grammaticale e morfologico. In futuro non escudo di approfondire la ricerca dal punto di vista sintattico e testuale.
So che un post come questo può risultare antipatico. Non voglio passare per il professore acido di turno a cui il tema dello studente orfano non va mai del tutto bene. Ma è un’ operazione che compio su di me per primo, che ritengo importante per migliorare la mia produzione.
Poi, non prendiamoci troppo alla lettera. Parliamo di musica mica di oncologia!

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