lunedì 24 agosto 2015

Letters from The End – Nuovi inizi?




Sono convinto che il vecchio, bistrattato, sepolto “rapporto epistolare” abbia in realtà ancora molto da dire pur in questi tempi di comunicazione generalizzata, massificata e superficiale. Il piacere di rivolgersi ad una persona e ad una soltanto; di richiedere ed ottenere la sua attenzione. Di richiedere ed ottenere una risposta.
Negli ultimi giorni ho discusso “attorno alla Fine” con alcuni amici; un tema proposto da un piccolo post e rilanciato da un giro di mail qualche tempo addietro.
Di seguito, un collage di alcune conversazioni; un collage che è saltato fuori in maniera talmente fluente e naturale da stupirmi, quasi non fosse frutto di sei mani e tre teste, ma di un unica creatura (non) pensante.
Per chi non li conoscesse, i miei preziosi interlocutori sono Massi di Detriti di Passaggio ed Ant di AntBlog.
Grazie a loro per primi, e anche a tutti i nostri lettori.

***

ANT: Accade che il "lavoro" arretrato assume dimensioni mastodontiche, senza che io me ne renda conto; le recensioni in stand-by, gli artisti ancora nel limbo e le cartelle "work in progress" si moltiplicano come conigli infoiati. Gli album da ascoltare sono troppi, le cose da scrivere pure, ma poi perché farlo? Ha senso tutto questo? C'è veramente qualcuno dall'altra parte del monitor?

MASSI: Non riesco più a organizzare le idee, anche le più semplici; scrivere – quella “cosa” che un tempo fluiva con tale naturalezza da costringermi a frenare la spontaneità – è diventato una affanno ingrato, un atto di molestia perpetrato ai danni del me stesso che vorrei essere, e che forse non sono.
È questo il sapore della fine? Da quando hai lanciato quest’idea della fine, non penso ad altro. Che suono ha la fine? Ce l’ha, un suono? Mentre scrivo queste righe, nel lettore sta girando “Brothers In Arms”, e la cosa terribile è che sono costretto ad ammettere che mi piace. I Dire Straits. Il genere di gruppo che ho sempre deriso con acida (immatura?) supponenza da becero intellettuale. Sono a un passo da Jovanotti, cioè a un passo dalla fine?


EVIL: Nell'ultimo periodo, correndo come sul ciglio di un burrone, mi sono appoggiato ai Grandi, perchè in certi momenti c'è necessità di buttarsi ad occhi chiusi su chi sai non può tradirti: Rolling Stones, soprattutto. Ma i Dire Straits non mi meravigliano: ultimamente ascolto compulsivamente Eminem, Robbie Williams, Mia Martini... ed altro. Credo sia uno sfogo di rigetto, la necessità di trovare altri ambienti, altri spazi che fino a qualche giorno prima sembravano non esistere neppure.
Aria nuova. Che sia poi già viziata... pazienza.

MASSI: Io non so se questa è la fine, Evil, o una possibile fine. Anche perché siamo abituati a parlare di fine solo al singolare; ma chi ha detto che la fine è una sola, di un solo tipo e genere? Chi ha detto che la fine debba per forza essere totale, assoluta? Potrebbe essere anche lieve, indolore, silenziosa, nascosta; potrebbe arrivare senza squilli di trombe o fragorose catastrofi. Potrebbe non esistere nemmeno, la fine, ovvero potrebbe essere una condizione costante in cui siamo incondizionatamente immersi. Oppure potrebbe essere già arrivata: e noi non ce ne siamo ancora accorti. In questo momento ha il suono di “Brothers In Arms”, fra poco potrebbe avere il suono di “Decades” (sì, negli anni della giovinezza fui uno di quelli che “knocked on the doors of hell’s darker chamber”) e domattina quello “Art Official Age”.

EVIL: La "Fine" ha sempre contorni incerti, sfumati. A guardarla con distacco la fine di un avventura di blogging, di scrittura, di relazione, di comunicazione - chiamiamola come ci pare - è piccola cosa. E facilmente rimediabile. La realtà è che in queste avventure, seppur piccole, mettiamo in gioco tante cose di noi, ci esponiamo, togliamo maschere e armature e siamo totalmente vulnerabili. Condividiamo gli amori e le passioni profonde (per la musica, per l'arte...) e rischiamo costantemente di scottarci. Scottarci con l'insensibilità e l'indifferenza che ci circondano. Ce ne stiamo lì, nudi, fragili, con le parole sulla punta della lingua... e nessuno se ne accorge.

The hatred you project
Does nothing to protect you
You leave yourself so exposed
You want to open up
When someone says
Lighten up
You find all your doors closed
Get yourself a break from self rejection

End Of Silence, di Henry Rollins, è un album che negli ultimi mesi ho messo a memoria. Credo che sia uno dei corpus di testi più spietati, masochisti e reali che sia mai stato scritto.
Ma la mia "fine" ha due colonne opposte ed antitetiche: The End (va da sè...) e We Will Fall degli Stooges. L'una certamente trendy, "hip", magari un po' modaiola ma innegabilmente affascinante e dolorosamente suadente; l'altra tetra, buia, senza scampo. Queste opposte facce di una uguale moneta tengono già su tutto... Il resto nel mio gusto, è speculazione intellettualistica e puro decoro.
Nel commento al post di Ant parlavo di deserto. E' un altro aspetto che mi ossessiona: deserto di fatto, ma deserto di silenzio, deserto di voci e relazioni, deserto delle persone attorno. "Deserto sulla Terra", così entra il tenore nel primo atto del Trovatore. cantando di guerra.
Quella sabbia rossa, calda, arida, secca, piena di crepe di siccità, è il terreno su cui immagino di muovermi. In lontananza, figure tremolanti, ombre, fantasmi o solo miraggi. Miraggi di colore che ci stanno attorno ma che alla fine svaniscono in un commento mancato, in una parola non detta.

ANT: Certo che il “deserto” intorno, il declino di questa nazione e di tutto l’ammasso di pietra e fuoco che abbiamo sotto i piedi, non lasciano intravvedere niente di buono per il futuro.
Mai come adesso la FINE mi è sembrata così vicina.
In questi giorni ho pensato più volte alla colonna sonora che dovrebbe accompagnare il sipario sul mondo (o sui nostri blog) ma poi non ho avuto tempo di metterla nero su bianco.
In questo periodo gli arretrati mi si stanno accumulando a dismisura e non riesco a stare dietro a loro e alle bislacche idee che ogni tanto mi balzano in mente.
Però, devo dire che End of Silence di Rollins non è male in questa veste, come anche la classica The End e gli Stooges ci stanno. Però con Decades (la sa bene Massi) ci vado a nozze. Borthers In Arms perché no, pensandoci bene non è fuori luogo.
Se vi può interessare in questo momento io sto ascoltando Battiato, anche se qui siamo sicuramente fuori tema.
Intanto per la mia colonna sonora per la fine (l’ennesima) parziale del mio blog in questi giorni stavo pensando ai Zoar di In The Bloodlit Dark trattasi di dark ambient pesante e oppressivo. Buio. Ma anche No Fun di Iggy Pop.
Anche se il modo in cui si sta riducendo il pianeta, distrutto e intossicato da violenza, inquinamento, schifezze e ingiustizie di ogni genere mi fa ritenere più adatti i Discharge. O in alternativa qualche band d-beat crust hardcore più recente come gli Halshug o i Nightfall, ma forse è solo l’incazzo dilagante di questi giorni che mi fa optare per questa scelta.


MASSI: Come sarà la fine, Evil?
Ho la sensazione che non lo sapremo mai perché ci nasconderanno anche quella. Forse ce l’hanno già nascosta in mezzo a milioni di nuovi falsi inizi.

EVIL: ...scivolare lentamente e placidamente verso il basso. Goin' Down Slow, diceva quel vecchio blues.
E magari trovare un perverso piacere nel farlo.


***

A margine, una considerazione personalissima (ed una non richiesta “difesa” di questo post).
Credo fermamente che quelli che a prima vista possono sembrare piccoli sfoghi e frustrazioni private, nascondano invece una disillusione ed una mortificazione generalizzate molto più profonde di quanto si possa credere.
Sono sogni infranti, promesse non mantenute, appuntamenti mancati.
Dalla “rete”, che promettendo libertà e democrazia diretta ha invece ottenuto superficialità e populismo gretto.
Dalla Musica, che NON salverà il mondo (per chi non se ne fosse ancora accorto...) e dovrebbe già essere felice di risollevare il morale a qualche (vecchio) ragazzo depresso: un grande merito, a mio avviso, ma sempre trascurato rispetto alla necessità di propagandare il “bello” ed allo sbandierare propositi umanitari superomistici.
Dalla politica e dai contesti “allargati” (economia, religione...), certo va da sé: e chi non se la prende con la politica di questi tempi?
Inoltre ci sono le promesse che abbiamo fatto a noi stessi e che noi non siamo riusciti a mantenere. Piccole cose, certo: lo scrivere un post a settimana; essere recensiti da qualche rivista; ottenere un buon seguito di lettori. Pubblicare un libro, vendere un disco, spuntare un contratto di lavoro.
Piccole cose ma ciò non di meno determinanti per il NOSTRO di morale, che perdonerete, è la cosa ora più importante.

Di nuovo grazie ai miei amici interlocutori; ed ai lettori tutti.

Di seguito una prima, scarna playlist che stiamo costruendo (con l'aiuto di Massi e Ant, si intende)




Killing Joke – Requiem (1980)

Iggy Pop - Funtime (1977)

Slayer - Hell awaits (1985)

Discharge - The End (1982)

St. Louis Jimmy Oden - Going Down Slow (1941)
Uno standard che piaceva ai Free (dirompente Kossof su Tons of Sobs) e ai Led Zeppelin che spesso la inserivano nel medley a chiusura dei concerti.

Rollins Band - Low Self Opinion (1992)
Così si alza il sipario su End Of Silence; morsi hard rock che affondano nella propria carne

Edgar Broughton Band - Evening over Rooftops (1971)
Esistenzialismo in cima ai tetti; una panoramica che starebbe bene sui diari di Palomar; stanchi di tutte le ultime rivoluzioni.

Stooges – We Will Fall (1969)
La pietra tombale sulla stagione dell'amore la mettono Iggy e John Cale con un tetro rituale in penombra.

5 commenti:

ant ha detto...

È venuto fuori molto bene, Gran bel lavoro caro Evil

Unknown ha detto...

È venuto fuori fluido... grazie Ant, e grazie Massi!

ant ha detto...

Ciao Evil, Grazie a te!
se ti va fai un salto nlo spazio dei commenti del post sul mio blog...Ho trovato molto interessante l'intervento di Diego di Silverfish Imperetrix...C'è anche la sua colonna sonora.
Ciao!

Anonimo ha detto...

Bel post, davvero interessante.
Mi permetto di suggerire, per la playlist della fine del mondo, Run Through the Jungle, la versione oscura e malata dei Gun Club. Oppure, sempre dei Gun Club, Walking with the Beast.
Poi, mentre pensavo che il deserto (di idee, relazioni, discorsi belli tondi e ragionevoli...) è una metafora decisamente appropriata per La Fine, mi è venuta in mente Song for the Dead dei QOTSA.

Unknown ha detto...

Thanksss!!
I Gun Club in effetti ci stanno benone; e il vecchio Homme...bè se non è un esperto di deserto lui!!

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