Isola di Taiwan, Camp Reagan -
26-09-2034
Siamo confinati nella sala comune della caserma. Un garage umido per
involucri vuoti e larve in mutazione. Un ragazzino della Virginia sta
ciondolando addormentato su un divano viola, davanti ad un maxischermo
sintonizzato su un gioco a quiz giapponese. Caporali con l’aria tronfia entrano
ed escono vociferando ordini a caso, per ribadire una minuscola e ovvia
microautorità sui corridoi e le aree ricreative. Garner ha preparato un
intruglio locale: un thè al sapore salmastro di alghe marinate. Uno schifo.
“Come fai a scordarlo… Quando esplode un’ atomica, o crollano i
grattacieli, quello che provi è una tremenda, fottuta paura istantanea, scioccante;
velocissima. Ma se ne va presto, non appena ti accorgi che tu sei ancora vivo. Alla fine, chi se frega degli altri… L’Avvento
fu del tutto diverso. Non ci furono scariche di adrenalina; ma sudori freddi,
crescenti, giorno dopo giorno; angoscia, crescente, giorno dopo giorno.“
Il 23 marzo dell’anno scorso, 2033, era solo una notizia di cronaca
nelle pagine interne: focolaio di aviaria o febbre suina. La solita merda
orientale. La settimana prima un terremoto micidiale aveva quasi raso al suolo
Teheran e l’America era affannata a portare i primi aiuti al nuovo alleato. Nei
giorni seguenti i giornali non si occuparono della Cina. Poi la questione si
complicò. Intere città erano contagiate; sintomi strani, febbri, piaghe;
delirio e fragilità ossea. La stampa cominciò ad interessarsene quando un paio
di casi arrivarono fino a Portland, a bordo del volo Air Canada AC030 da Pechino.
Le autorità cinesi minimizzavano, come sempre.
30 marzo. La situazione degenera. I pazienti sono in fuga dagli
ospedali; atti di cannibalismo. Alcuni poliziotti sparano sulla folla. E’ il
caos in tutta le regione di Hebei. Cominciano ad accumularsi le ipotesi
fantasiose: un attacco batteriologico del regime di Kim Jung-Woon III, Corea
del Nord. Il Dittatore, a caldo, smentisce. Una fuga di sostanze chimiche
sperimentali dall’immenso stabilimento di proprietà Unilever a Zhengzhou: una
specie di Bhopal all’ennesima potenza. Dietrologie, teorie del complotto.
3 aprile. Le comunicazioni interne con Jinan, Quingdao e molte altre
grandi città si interrompono; casi analoghi sono segnalati anche al sud, da
Suzhou a Chongqing. Il regime cinese ancora nega che si tratti di una epidemia
incontrollabile; e minimizza.
“Il tre di aprile ero in licenza; finì la giornata pieno di birra a
Reno. Cazzo. Chi poteva pensare…”
Dopo l’intruglio di Garner, il tabacco aromatico indonesiano è quasi
un sollievo; le parole si intrecciano violacee alle volute di fumo che
avvolgono l’aria umida. La caserma, attorno, è un formicaio spoglio con operaie
stanche e agonizzanti sulle brande, in attesa dei fogli orari di guardia e di
ronda. Fa molto caldo.
Il 14 aprile, questo riportarono i giornali, arriva sul tavolo del Ministro
della Sanità un dettagliato fascicolo che proverebbe l’ingerenza americana
nell’epidemia: un attacco premeditato e definitivo alla prima economia del
mondo. Mancano le prove; il Presidente si dice sdegnato. Ma intanto lo stato
più popoloso del globo, sta collassando: la malattia è arrivata sulla costa,
sono a rischio le megalopoli di Suzhou e Shanghai: decine di milioni di persone
accatastate in caseggiati chilometrici, strette in stanze di tre metri per tre.
La densità umana più elevata della storia; stanno come tanti pesci senz’acqua e
nello stesso barile. In compagnia della malattia. Chi può scappa, ma il governo
chiude porti e aeroporti; non vuole che il panico dilaghi; non vuole l’esodo.
Non vuole rimediare figuracce davanti alla comunità internazionale; i caccia J-20
pattugliano i cieli per impedire fughe di massa. Hanno ordine di sparare dopo
il secondo avviso.
16 Aprile. Free Press riporta che un migliaio di persone in fuga verso
ovest sarebbero state trucidate da militari regolari dell’esercito e sepolti in
un’ enorme fossa comune presso Wuwei. Ma le comunicazioni con l’entroterra
ormai sono difficili.
21 Aprile. Molti giornali europei sferrano un duro attacco a Kim
Jung-Woon dopo l’intercettazione di lanci di missili da Pyongyang.
“E sempre colpa sua…”
Pare riaprirsi la pista Nord Coreana. Il Dittatorissimo vuole
sfruttare la situazione per dimostrare il suo potere; tutto un bluff. Ma per
noi dell’ esercito sono giorni tremendi. Si accavallano le consegne al silenzio
e alla riservatezza. Ci fanno corsi di ore sugli interventi di primo soccorso,
ci riempiono le teste con cazzate di genetica e farmacologia; pare imminente
che un contingente di truppe speciali parta alla volta di Shenyang, Cina
settentrionale. Non se ne fa nulla. Immobilismo.
2 commenti:
... futuribile!
...chissà...
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