Rich Bale.
Un’ ombra che ha battuto incessantemente i confini della Landa della
Fama, sfuggendo alla grande popolarità con il tempismo di un terrorista
incappucciato. Ha nascosto le sue tracce; lasciando che il suo ricordo si
perdesse dopo l’ultima marea del punk.
Emerso tra le onde del surf a metà anni ’60, quando era titolare di un
complessino da spiaggia che rivaleggiava con le prime incarnazioni dei
Misunderstood, rivelò subito il lato oscuro, piagato e dolente di quell’ultra
chitarrismo alla Ventures che sembrava immune agli sconforti e alle malinconie.
Dopo anni difficili, passati tra comuni sulfuree al confine col Messico
e liaison mai concretizzate con giovani gruppi di irridente revisionismo come
Magic Band e Little Feat, ritorna alla piccola, piccolissima, ribalta nel 1973
con questo Roundabout, di fatto l’unico long playng esistente a tutt’oggi a suo
nome e dunque già assurto a vertici di bramosia collezionistica.
Dentro il sontuoso calendario precolombiano abbozzato in copertina, ci
sta tutto il repertorio di un chitarrista realmente personale, tanto
particolare da stare ai limiti dell’isolazionismo sonoro.
Un Link Wray senza occhiali e giacca di pelle, che guarda distante
l’esasperato twangy di Duane Eddy passato attraverso la lezione di tutti i vari
Hendrix, Clapton, Page che ne oscurarono la fama e ne intristirono lo sguardo.
Il primordiale degli ultimi guitar hero, passatista assoluto,
collezionista di memorie inutili, che ancora fa dello staccato e dei
virtuosismi mediterranei e spagnoleggianti di Misirlou il verbo imprescindibile per ogni pezzo. Lo accompagna una
sezione ritmica che scimmiotta qualunque power trio tra L.A. e Detroit (Grand
Funk, Frank Marino, BB&A, fate voi…), rinforzata da due sax tenori con
precisi compiti di incessanti bordoni armonici, come in una riedizione dei gruppi
preferiti da Elmore James. E proprio come nei 45 giri della Flair Records di James,
è la Gibson di Rich che occupa tutto quanto lo spazio possibile ed altro ancora,
riempiendo qualunque stanza in cui ascolterete l’album. Un mix di riverbero,
delay e frequenze basse che sta a colonna sonora di un malinconico e
sanguinolento sabba sull’assolata spiaggia di Venice.
Don't Touch Me potrebbe
essere il capriccio ombroso di qualche Glenn “Ross” Campbell ritornato
frastornato dall’Inghilterra, mentre Uranus
è l’omaggio al maestro Nokie Edwards di Ventures In Space, con quella
trafila di sirene spaziali che fanno da fondale dipinto ai vagheggiamenti
solistici di Rich; disperso, isolato, in preda a quella gioia furtiva e precoce
di chi sa che prestissimo perderà tutto. Un Sun Ra ragazzino, con calzoni
corti, alla colonia estiva di cui conserva ancora qualche foto ingiallita.
Ed attenzione ai 10 minuti di He'e
nalu perché poteste perdervi tra i più consunti clichè da virtuoso senza
però annoiarvi mai, senza storcere il naso, perché quelle dita sono tanto
fluide da farci dimenticare, che dopo tutto, è una canzonetta da Beach Boys
camuffata da jam dei Cream.
La sorpresa arriva alla fine. Perché con Brand New Rollercoaster la spiaggia chiude; il maestrale che annuncia
l’inverno si porta via ombrelloni, bikini e canotti gonfiabili. E’ un
mastodontico luna park d’un altro secolo, coi sigilli ai cancelli. Nella
pulsione cardiaca del basso e nell’invisibile batteria in levare di Tommy Bold,
nel perenne barrito morbidamente appoggiato dai sax; c’è una melodia
chiaroscura e sghemba che sarebbe piaciuta tanto a Van Vliet quanto ai
Morphine, che non travalica mai i confini del Volume, ma si porta appresso un
senso di sventura imminente, di presagio oscuro degni dei primi Killing Joke e
degli ultimi Doors.
La lunghissima dissolvenza finale è la stessa dissolvenza in cui
andarono ad infilarsi la vita e la carriera di Bale.
Fu un relitto del decennio precedente finito per caso negli scaffali
impolverati del Classic Rock e del Metal; un album fuori posto, fuori tempo.
Fuori.
Quindi da ascoltare, assolutamente.
Kama Sutra – 570 053 – USA - 1973
A1 - Don't Touch Me
4:35
A2 - Surf this blues!
5:18
A3 – Uranus 5:54
B1 - He'e nalu 10:35
B2 - Brand New Rollercoaster 8:11
2 commenti:
Come sempre un racconto affabulante.Resuscitando questi dischi dai un senso compiuto alla parola "memoria" :)
Perfetto: memoria.
Qui non c'è altro che memoria. ...nemmeno la musica in effetti...
Ma questo "album" è stato costruito per entrare nella serie "album della memoria", parallela a quella degli "album del desiderio"
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