Ovvero:
posso trarre da un album che ritengo brutto
una buona recensione? La qualità
dell'oggetto recensito influisce sulla qualità del testo?
In linea
teorica non dovrebbe: la lingua è talmente elastica e ricca di soluzioni da
consentire la stesura di un buon testo partendo da un oggetto d'analisi che
appare mediocre o addirittura scadente.
In pratica
non è sempre così. Però occorre sgombrare il campo da un facile equivoco: il brutto, in realtà, è una categoria preziosa. Spesso travisata
e ancor più spesso trattata in modo superficiale, generico e discriminante.
Umberto Eco, nell’introduzione all’antologia “Storia della Bruttezza”, ci
dimostra come questo carattere sia una risorsa importante per arte e morale, così
come lo è il bello.
In ogni secolo, filosofi e artisti hanno fornito
definizioni del bello; grazie alle loro testimonianze è così possibile
ricostruire una storia delle idee estetiche attraverso i tempi. Diversamente è
accaduto col brutto. Il più delle volte si
è definito il brutto in opposizione al bello ma a esso non sono state quasi
mai dedicate trattazioni distese, bensì accenni parentetici e marginali.
Pertanto, se una storia della bellezza può avvalersi di un'ampia serie di
testimonianze teoriche (dalle quali si può dedurre il gusto di una data epoca),
una storia della bruttezza dovrà per lo più andare a cercare i propri documenti
nelle rappresentazioni visive o verbali di cose o persone in qualche modo
intese come "brutte".
Tuttavia, una
storia della bruttezza ha alcuni caratteri in comune con una storia della
bellezza. Anzitutto, noi possiamo soltanto supporre che i gusti delle
persone comuni corrispondessero in qualche modo ai gusti degli artisti del loro
tempo. Se un visitatore venuto dallo spazio entrasse in una galleria d'arte
contemporanea, vedesse volti femminili dipinti da Picasso, e sentisse che i
visitatori li giudicano "belli", potrebbe farsi l'idea errata che
nella realtà quotidiana del nostro tempo si ritengono belle e desiderabili
creature femminili dal volto simile a quello rappresentato dal pittore.
Tuttavia, questo visitatore spaziale potrebbe
correggere la sua opinione visitando una sfilata di moda o un concorso di Miss
Universo, in cui vedrebbe celebrati altri modelli di bellezza. A noi, invece,
questo non è possibile; nel visitare epoche ormai lontane, non possiamo fare
verifiche, né in relazione al bello né in relazione al brutto, perché di quelle
epoche ci sono rimaste soltanto testimonianze artistiche.
E' dunque un
campo d'indagine trascurato e per questo ancora in parte vergine, tanto da
offrire spunti culturali interessanti, spesso originali pur se non sempre
agevoli da indagare. Non è certo il
brutto il nostro nemico. Tanto meno lo è il brutto ricercato, voluto e
sperimentato attraverso la cacofonia,
il rumore, la dissonanza, la caricatura o l’esagerazione.
Su di un album come Metal Machine Music, che accorpa alcuni di questi caratteri,
saremo sempre in grado di scrivere cose apprezzabili.
Chi è allora il nemico? Quali sono i “difetti” che
percepiamo nella musica che più facilmente possono trasmettersi al nostro
testo?
Personalmente
credo appartengano alla famiglia della derivazione
e della ripetizione.
Banalità, intesa come mancanza di idee personali. Insistenza, intesa come replicazione
isterica degli stessi stilemi fatta non per progettuale minimalismo o per dichiarato
anti-intelettualismo nè per consapevole “elogio dell’ignoranza” (altrimenti i
Ramones sarebbero tutti da buttare…) ma per incapacità cronica di proporre e
gestire il nuovo.
Derivazione di caratteri altrui, intesa come tentativo di imitare
il successo degli altri decontestualizzandolo e trascrivendolo con materiali,
tecniche e capacità inadatti.
Laddove la
musica popolare è totalmente priva di spunti originali, personalità e anche
tecnica e perizia formali, è difficile dare corpo ad un buon discorso su di
essa.
Difficile,
mai impossibile.
E’ un buon
esercizio forzarsi a scrivere di dischi che abbiamo odiato, ma è ancora più
formativo scrivere di ciò che ci ha lasciato del tutto indifferenti.
L’indifferenza si porta dietro silenzio e frasi imbarazzate di circostanza; si
porta dietro frasi stereotipate e prive di sostanza; parole senza peso e senza
nerbo che vagano prive di meta e finalità. Riuscendo a trarre buoni testi anche
da ascolti di questo tipo, risulterà più facile muoverci laddove la musica
trabocca di ispirazione suggestioni. E’ una palestra in cui sbizzarrirci in
esercizi anche arditi, che forniranno una buona preparazione atletica per il
giorno della partita.
Quindi,
compiti per casa: sceglietevi un album che vi ha lasciato indifferenti, un
album inutile, vuoto; magari di un artista che non vi piace e che magari
nemmeno conoscete tanto bene. E scriveteci su.
NOTA: con questo siamo arrivati alla fine della parte “distruttiva”
delle “Brutte recensioni”. Dalla prossima volta mi propongo di portare esempi e
pratiche costruttive per costruire testi, se non migliori, almeno diversi.
12 commenti:
Ma soprattutto, a qualcuno importa se la recensione è bella o brutta?
La recensione non è una forma d'arte solo perchè parla di un'altra forma d'arte, anzi.
Dovrebbe essere l'opposto, ed essere casomai valutata per la sua utilità o inutilità: mi ha permesso di farmi un'idea più o meno accurata dell'album in questione?
Il vero problema dello scrivere degli album "brutti" (ovvero, di quelli che non ci sono piaciuti) non è lo stile, è che trovi sempre qualcuno cui invece proprio quell'album lì è piaciuto un sacco che ti da del mentecatto a prescindere, perchè hai osato parlare male dei suoi eroi.
Mi viene da aggiungere "Led Zeppelin", non so bene perchè...
:)
Si dai, un Led Zeppelin ci sta sempre bene!
Una bella sfida riuscire a rendere interessante la recensione di un album vuoto, anonimo.Un'altra bella sfida è parlare bene di un album che non ti piace affatto..
Sono convinto anch'io che la recensione puo' essere ben fatta ed interessante anche quando l'oggetto è artisticamente scarso (ho identificato il 'brutto' con questo termine).
le recensioni migliori possono essere proprio quelle di dischi (o anche altro) brutti. o, se non altro, spesso sono le più divertenti...
Da lettore (pigro) di recensioni direi che il vero nemico all'inizio é se mi interessa o meno l'album di cui si parla.
Una volta passato questo scoglio più che badare allo stile mi concentro sulle informazioni e sul messaggio che una recensione vuole dare: si soffermano solo sul fatto che il disco gli é piaciuto o no (magari ripetendo a pappagallo il "pensiero dominante")? Cassate immediatamente. Raccontano storie ed aneddoti magari poco conosciuti? Già andiamo meglio. Fanno un'analisi con i controcavoli e cercano di far vedere l'album sotto un'ottica personale? Sempre meglio...
Trovo invece molto interessante la riflessione di Eco sulla bruttezza (che é ben diverso dal "non mi piace"). Non riesco ancora a rassegnarmi di vivere in un periodo in cui l'estetica é solo relativa e penso che sia ora di tornare a parlare un po' di bello e di brutto come categorie generiche e non solo nei termini "a me me piace!" e "a me invece me fa schifo!"
Saluzzi'SHRC, ma l'estetica non può che essere soggettiva, e lo è sempre stata.
Possiamo forse parlare di estetica predominante, come somma della maggioranza dei gusti delle singole persone.
Ma, grazie a dio, rimane una questione squisitamente soggettiva: se la maggioranza di cui sopra dovesse assumere una valenza oggettiva (e limitiamoci pure a parlare di musica) dovremmo tutti ascoltare solo quello che sta nei primi dieci posti delle classifiche di vendita.
Situazione che, per quanto mi riguarda, non ha nulla di desiderabile.
A meno che tu non riesca, una volta per tutte, a definire oggettivamente "bello" e "brutto", a prescindere dai gusti dei singoli...
Torno sulla mia prima domanda: è importante che una recensione abbia valore di per sè, "letterariamente"?
E faccio due esempi.
Rockerilla, anni '80.
Due giornalisti: Claudio Sorge e Alessandro Calovolo (che è morto, pace all'anima sua)
Sorge scriveva in modo piuttosto banale ma estremamente chiaro, dicendoti che tipo di musica avresti potuto ascoltare in quel disco, senza nessuna particolare forma letteraria.
Erano recensioni di servizio: lo scopo era fornire al lettore delle informazioni sul disco preso in esame, non di mettere in evidenza la bravura letteraria dell'autore.
Giudizio estetico: tra il cinque e il sei
Giudizio mio: utile.
Alessandro Calovolo: scriveva in modo imaginifico, usando la terminologia più complicata e/o desueta possibile, evitando nel modo più accurato di parlare direttamente del disco, ma piuttosto delle sue sensazioni provate nell'ascoltarlo e di qualsiasi altra cosa gli passasse per la mente, nel modo più poetico possibile (approccio diametralmente opposto al gonzo, che parla dei cazzi suoi con un linguaggio crduo e colloquiale).
Alla fine della recensione (tra l'altro il testo era normalmente intercambiabile tra una recensione e l'altra, con la sola accortezza del cambio del titolo) non avevi capito un cazzo di quale musica c'era nel disco in oggetto.
Giudizio estetico: non meno di nove.
Giudizio mio: inutile.
@alle primo commento. Questa tua visione soggettiva dell'estetica che hai già espresso diverse volte sul tuo blog a me sotto sotto non va giù.
Non dico che sia sbagliata (purtroppo!) ma che é figlia dei nostri tempi e che é distruttiva per la musica stessa.
In realtà non é sempre stato così, mi rifaccio alla pittura perché é più semplice: nel 500 il fatto che un Leonardo o un Raffaello erano infinitamente superiori a tutti gli altri era lampante e universalmente riconosciuto eppure gli altri facevano "fisicamente" la stessa cosa, ovvero imbrattare delle tavole con polveri sciolte nell'acqua aiutandosi con un pennello.
E' un po' che voglio fare un post sull'argomento che so già che ti farà incazzare come una bestia, perciò preparati :)
@alle secondo commento.
Su questo mi trovi d'accordo. Il lavoro che sta facendo Evil Monkey sulla palestra dello scrittore, oltre ad essere divertente é anche utile per chi ha un blog e, oltre a leggere, si trova anche a scrivere.
Però siamo in un momento dove ci sono già abbastanza divergenze sui gusti e sulle idee musicali, se ora iniziamo a scannarci anche sulle parole usate per esprimere le idee allora non ne usciamo più. Ciao.
@ alle: io sono molto d'accordo sul discorso dell'utilità: una recensione che fa il suo "dovere" è una buona recensione. Poi mi sto chiedendo se all'utilità si può aggiungere anche qualcosa dal punto di vista "letterario" (che comunque è un aggettivo esagerato, diciamo linguistico allora).
Il senso di questo post è: è più facile scrivere di ciò che ci piace/ci ha coinvolto/ci ha lasciato qualcosa o di ciò che nulla ci ha detto/non ci è piaciuto/ci ha annoiato?
Io credo sia più facile il primo caso, ma non mi "rassegno" al fatto che si possa fare un buon testo (non necessariamente un'opera letteraria x carità) anche da "materiale di partenza" che ritengo "scarso".
Un saluto a tutti!
Saluzzi'SHRC, anvedi: ma le informazioni su come Leonardo e Raffaello fossero "universalmente riconosciuti come infinitamente superiori a tutti gli altri" dove le hai trovate?
Tenderei a escludere che tu le abbia avute di prima mano...
Affermazioni come queste, scusami, sono un po' buttate lì, senza nessuna base ogettiva.
E' un po' come se, tra cinquecento anni, qualcuno desse un'occhiata alle classifiche di vendita dei dischi della seconda metà del 1900 e concludesse che sicuramente i Pink Floyd erano universalmente riconosciuti come infinitamente superiori a tutti gli altri".
E invece no, a me questi Pooh inglesi non mi sono mai piaciuti, e non sono certo il solo.
Aspetto il post, ma non è che mi incazzo: mi limito a non essere d'accordo, forte di quasi tremila anni di storia della filosofia che non hanno ancora portato alla soluzione del problema dell'"estetica oggettiva".
:)
Evil: come ho già detto, penso che far letteratura non sia compito del recensore.
O, più in generale: fare arte non è compito del critico.
La tua nuova domanda mi sembra un po' fuori fuoco: cosa c'entra la facilità di scrivere qualcosa con il valore del testo?
Posso far fatica a scrivere una cosa bellissima e scrivere con facilità una marea di cazzate, o il contrario, ma non ci vedo nessuna relazione.
Mentre trovo molto più facile, questo sì, scrivere di qualcosa che non mi è piaciuto: ci sono più spunti, più cose da dire, ed è possibile usare toni diversi.
Quando una cosa ti piace invece, più o meno siamo sempre lì.
E' un po' la differenza tra le "canzoni tristi" e le "canzoni allegre": più facile scrivere una canzone quando sei triste, quando sei allegro mica perdi tempo a piangerti adosso con la chitarra in mano, cercando di sublimare i tuoi problemi...
Me l'ha detto un amico mio, il Vasari :)
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