Lessico
Il lessico è
una miniera inesauribile di soluzioni nuove; esplorate un dizionario per
scoprire nuovi tesori che mai avreste pensato di potere utilizzare in una
recensione rock!
Per esempio
l’uso di un lessico settoriale
diverso da quello musicale è un buon modo per evitare frasi fatte ed
aggettivazioni abusate. E’ una pratica che funziona bene in abbinamento al
precedente (la concettualizzazione), restituendo omogeneità e progettualità
alla recensione. Per esempio se estrapolo concetti di design, posso puntare su
attributi tratti da questo settore; con generi assai caratterizzati come lo Space
Rock o la Cosmische Music l’accostamento al settore fisico-astronomico è quasi
d’obbligo; la rumorosità del noise è ben affiancabile a terminologie meccaniche
o industriali.
La scrittura
scientifica, per dirne un’altra, offre molteplici possibilità di aggettivazione
interessante: pachidermico, ferino, rettiliano, invertebrato, larvale…
solo restando nel campo “biologico”. Archeozoico,
neandertaliano, megalitico, australopitecino… in campo geologico. Per
esempio, al posto di riff primitivo, riff mesozoico è, se non più efficace,
almeno più originale e ricercato. Attenzione, più i termini sono difficili e
specifici, più vanno utilizzati con parsimonia, altrimenti al lettore occorre
un dizionario!
Altro campo
semantico utile è quello relativo alla tecnologia e ai motori: cromato, smaltato, rotante, monofase,
assemblato… ; piccole miniere di parole spesso trascurate.
Altra
soluzione alquanto divertente: neologismi.
Risolvono situazioni complicate nello spazio di poche battute. Alcuni sono
ormai quasi d’uso comune (zeppeliniano,
hendrixiano...) altri, come insegna Julian Cope non hanno confini: tonyiommismo, jeffbeckeggiante, johnnywinterismi,
chuckberrista ce ne sono per ogni gusto. Attenzione però a non abusarne:
con più di uno o due a recensione si diventa ridicoli. Occorre sfruttarli con
moderazione.
Una via
ancora più semplice al neologismo è l’utilizzo dei numerosi prefissi che le
lingue classiche mettono a disposizione dell’italiano. Archeo-, proto-, ultra-, arci-, para- e compagnia bella ci possono
risparmiare un’aggettivazione. Piuttosto che “molto progressivo” possiamo dire “ultraprogressivo”; piuttosto che
“quasi psichedelico”, “parapsichedelico”. Queste parole risultano assai
meno leziose di quelle presentate in precedenza e possono essere utilizzate con
meno parsimonia.
Ultimo
spunto, un po’ di sano futurismo. E’
sempre un’approssimazione riprodurre a parole il timbro di uno strumento, ma
l’onomatopea aiuta: bam, bam, du du duum,
clag, whaaaa; a ciascuno il suo. Ci si può sbizzarrire senza rinunciare
all’ironia e ad una buona comunicazione. Da usare con moderazione anche
maggiore dei precedenti, i futuristi non sempre sono ben visti.
Qualche altro accenno di violini, un
momento di esitazione e...
wahhhhhhhhhhhh, l’orchestra
inizia ad ascendere fendendo l’atmosfera. Poi un arresto improvviso, e l’ormai
familiare Zzzzzzzzzzzzzz dei sintetizzatori di Klaus prende il
controllo.
Julian Cope
- Krautrocksampler
Sintesi
Non sono
tanti gli album che necessitano di più di una “cartella” di recensione; ahimè
di Blonde on Blonde o Astral Week ce ne sono solo due; ma la vera ragione è più
che altro di ordine pratico: soprattutto sul web, la sintesi facilita il lettore.
E’ d’altro
canto un vincolo per l’autore che deve selezionare con attenzione il materiale
in suo possesso, costringendolo ad una valutazione più attenta del prodotto.
Una regola generale: dare il massimo peso
alle parole per potere scaricare le frasi rendendole più brevi. Sotto
questo aspetto i punti precedenti aiutano: il riferimento ad una canzone simile
può risparmiarci lunghe descrizioni; un singolo aggettivo scelto con cura risparmia
fastidiose endiadi e pleonasmi (chilometrici
e logorroici assoli …quante lettere sprecate); un neologismo o
un’onomatopea sostituiscono bene alcune perifrasi.
Rinunciare
alle lunghe digressioni; non ce n’è bisogno e spesso sono segno di saccenza e
supponenza oltre che essere causa di “fuori tema” clamorosi. Non bisogna mai
perdere di vista che il primo referente del nostro testo è l’album in
questione, non un periodo storico, un genere o la vita intera di un artista.
To help bestow a modicum of spiritual contentment on those born too late
to have seen their original incarnation, the New York Dolls released two
perfect albums in August 1973 and May 1974. The second ranks second because the
greatest David Johansen originals are on the debut--only the climactic
"Human Being" achieves the philosophical weight of "Personality
Crisis" or "Trash." But if any band today shopped hooks as sure
and lyrics as smart as those of "Who Are the Mystery Girls?"
"Puss 'n' Boots" or guitarist Johnny Thunders'
"Chatterbox," the Strokes would buy a boutique and retire. And the
covers are magnificent: a Sonny Boy Williamson song that turns the Chicago
blues master into a campy scold, and two R&B novelties whose theatrical
potential was barely noticed until the Dolls penetrated their holy essence.
Robert Christagu sbriga la recensione di Too Much Too
Soon dei New York Dolls in 820 battute, di cui la metà sono titoli di canzoni e
nomi propri.
Tempo
Un testo, ancorché
breve, richiede un tempo minimo di stesura. Non voglio stare a fare la solita
raccomandazione da liceo “rileggete prima
di consegnare” anche perché rileggere nello stesso contesto e consequenzialmente
al momento della scrittura risolve, forse, solo gli errori di ortografia (ok,
non è poco…). Per la mia esperienza personale un testo andrebbe lasciato
decantare per almeno ventiquattro ore, tempo che il cervello si scarichi dal
traffico di connessioni generate dalla prima stesura. Una o più riletture
dilazionate nel tempo contribuiscono molto a sistemare frasi intricate,
identificare i termini più giusti, bilanciare i giudizi e migliorare omogeneità
e integrità del brano.
Esattezza
Non tanto
una proposta quanto una condizione di
fondo sempre indispensabile.
Lasciando da
parte la pur importante esattezza intesa come correttezza linguistica
(ortografica, sintattica…), ciò che più interessa è come si inserisce questa
qualità in un contesto così soggiogato alla soggettività come la “critica
musicale”.
Ad un
livello più elementare è l’esattezza nelle citazioni cronologiche, spaziali e
personali.
Posso dire “The
Village Green Preservation Society è un concept album” mentre dire “The Village Green Preservation Society è il
primo esempio di concept album” non è esatto, va da sé…
Apparentemente
semplice, ma non fidiamoci mai troppo
della nostra memoria: l’errore è sempre dietro l’angolo e Google aiuta a
risolvere certi dubbi in maniera quasi istantanea.
C’è poi un
altro tipo di esattezza, che coincide maggiormente con il concetto di accuratezza (intesa come cura per la precisione), tanto nei
riferimenti diretti quanto nelle contestualizzazioni più ampie. Si è già
sottolineato come un riferimento che risulti condiviso sarà migliore; migliore
in quanto, evidentemente, più accurato.
In questo campo certo non esiste un metro di giudizio univoco; ma così come
esistono equazioni con più risultati possibili, esistono anche molteplici
esattezze o, meglio, vari gradi di
accuratezza.
Dire che “il
riff di pianoforte in All Summer long
di Kid Rock ricorda assai quello di Werewolves
of London di Warren Zevon” è lecito e condivisibile, in quanto l’affermazione
deriva da un riscontro sensoriale preciso; un po’ come dire che Counter Composition di Theo van Doesburg
ricorda molto certe opere di Mondrian (o viceversa).
Dire che “un assolo di Eddie Hazel ricorda una
smitragliata di Shaft” è certo meno esatto, ma non manca l’accuratezza in questo riferimento che mantiene stabili
alcune coordinate importanti (cronologiche, sociali, razziali…), pur non
derivate direttamente da equivalenze sonore.
[I fratelli Ayler] rappresentarono il
lato musicale del cambiamento nella coscienza nera, nel momento in cui la
gratitudine verso i difensori bianchi dei diritti civili, negli ultimi anni del
decennio, si evolveva nella Furia della Pantere Nere.
Joe Boyd –
Le biciclette bianche
In
conclusione mi approprio di una pagina dalle Lezioni Americane di Italo Calvino
dedicata proprio all’esattezza, ma che funzione perfettamente anche considerando un
quadro ben più ampio.
Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:
1) un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato;
2) l’evocazione d'immagini visuali nitide, incisive,
memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese,
“icastico” dal greco “eikastikoV”
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico
e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a
molti potranno sembrare ovvii?
Credo che la mia prima spinta venga da una mia
ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in
modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile.
Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il
prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo
cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo
posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non
dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni
d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura — dico la
letteratura che risponde a queste esigenze — è la Terra Promessa in cui il
linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.
3 commenti:
Io direi che anche “pseudo-innovativo” è un neologismo utile, mentre per gli altri sono arrivata alla tua stessa conclusione, ma prima di te, nel senso che già il primo termine del tipo "jeffbeckeggiante" mi suonerebbe ridicolo, ma ho notato che nelle recensioni si usano molto; in realtà nella critica letteraria sono abbastanza acclimatati nel lessico specialistico, forse mi suona strano solo trovarlo in ambito musicale.
(Intanto ho imparato una nuova parola: “lezioso”)
Sui titoli e nomi, trovo che il testo si appesantisca un po’ troppo quando ce ne sono tanti, mi danno sempre un senso di fastidio, perché non conosco mai nessuno dei citati; poi ho letto il post precedente sulla contestualizzazione, e in effetti un minimo ci vuole, però senza esagerare (ah, ma è quello che dici anche tu?).
Insomma, questo post mi ha attirato per il titolo, e mi è piaciuto, perché non avevo mai pensato che certe regole sulla scrittura potessero applicarsi anche alle recensioni di musica (eppure ora che l’ho scritto mi sembra abbastanza logico).
@elle grazie per il "doppio-commento".
Che dire... credo sia difficile parlare di "regole", mi accontento di qualche spunto di riflessione o linea guida!
Sono convinto che scrivere di musica sia molto più "approssimativo" che scrivere di letteratura (e anche di cinema); però c'è approssimazione e approssimazione. Queste proposte mi sono utili per mettere assieme una "bella Approssimazione".
Riguardo alla questione contestualizzazione-citazioni: se sono fatti bene servono proprio a spiegare una "certa musica" a chi non me mastica tanto: funzionano però solo in una direzione. Se dico "i Big Three suonano come i Beatles degli esordi" sono (probabilmente) stato utile; se dico il contrario (I beatles suonanao come i Big Three...), allora forse non ho raggiunto il mio scopo.
Poi ci sta che uno non abbia mai ascoltato i Beatles, per carità!))
I Beatles li conosco, ma non saprei dire quali siano quelli degli esordi.. Una "bella approssimazione" va più che bene, lascia spazio alla creatività di chi scrive, dando un motivo in più per preferire un recensore ad un altro.
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