MONOGRAFIE: Third World War
I Predicatori della Violenza Perduta
Terry Stamp & Jim Avery, guerriglieri proletari contro il Sistema
Con due album all’inizio degli anni ’70, i Third World War si dimostrarono i più violenti agitatori politici del rock e la prima conscia incarnazione degli ideali radicali di punk e hardcore. Fondendo la cruda satira sociale dei Fugs, la carica elettrica e sovversiva degli Stones e suonando un ruvidissimo garage, coniarono una poetica affascinate ma profonda, troppo presto sommersa dall'ottusità del mainstream.
Questa monografia in più capitoli verrà pubblicata a puntate sul blog e sumusiche parallele
THIRD WORLD WAR
Too many people are hanging around with their heads to the ground, wasting themselves. We'll be hearing more of the Third World war. We'll hear, and then see.
Geoffrey Cannon, Guardian 16th October 1970
La Sinergia tra Avery e Stamp, ora passato alla chitarra ritmica, è eccezionale. I due riescono a scrivere musica, condensare idee e stendere testi con una facilità strabiliante. Il primo demo è un pezzo dal titolo Holy Roller. Tanto basta a Fenton per produrre le sessions del nuovo gruppo, battezzato dallo stesso produttore Third World War: nessun riferimento profetico, la terza guerra mondiale si sta già combattendo: è quella tra ricchi e poveri, tra le classi dell’alta-borghesia e le masse proletarie. Con queste premesse la band entra in studio per incidere il primo LP: Terry Stamp è leader, cantante e chitarrista, Jim Avery la sua spalla al basso; poi Mick Liber alla chitarra solista e il batterista Fred Smith; Tony Ashton, già titolare del trio pop-rock Ashton, Gardner & Dyke, aggiunge il suo piano honky-tonk, mentre Bobby Keyes, sassofonista dei Rolling Stones, suona in Shepherds Bush Cowboy e Working Class Man. Produce John Fenton agli Island Studios, e in effetti il mixing ricorda vagamente quanto stava facendo Guy Hamilton coi primi Free e Mott the Hoople, anch’essi artisti Island. Una produzione abbastanza curata che punta tutto sulla sfrontatezza e sulla abrasività del sound; i musicisti stanno al gioco: Stamp conduce le danze con una “chopper guitar” (così nelle note di copertina) percussiva e metallica, fatta di carta vetrata al pari della sua voce sabbiosa e impastata, qualcosa tra i Pink Fairies di What a Bunch of Sweeties, il primo Lemmy e Joe Strummer. Dal canto suo, il basso di Avery è sempre in primo piano e propelle riff su riff, profondi ed elementari come il miglior Mel Shaker coi Grand Funk. Mick Liber, colora, rifinisce e divaga in meraviglioso isolamento. E’ una musica che perde tutte le bizzarrie freak di Deviants e Hawkwind in favore di una linearità essenziale, addirittura spartana, tutta al servizio del Messaggio Sociale di Stamp. Perché sono i testi il vero motore dell’azione, ben più che la musica. Declamati con pensosa ribellione e una punta di pragmatica disillusione, riannodano il filo con l’agitazione urbana degli MC5. Stamp è però di gran lunga il più diretto movimentatore politico del rock, libero dai moralismi da Greenwich Village dei primi ’60, “politycally scorrect” e a suo modo fazioso ma appassionato. Nessuna utopia, solo la consapevolezza della lotta necessaria. Forse solo Roky Erickson avrebbe potuto essere così esplicito se la marijuana e i 13th Floor Elevators non gli avessero fritto il cervello.
Ascension Day, combattiva opener dell’album, garage rock di prima qualità, mette in chiaro le cose:
Waiting on the roof tops
Looking for a sign
Pull your hand-grenade pin
And i'll pull mine
And don't you know i feel proud
Just to shake your hand
Don't you know i feel proud
Just to make a stand when the old man dies
On ascension day when we rise
Now when we rise
Power to the people
When we rise
Power to the poor
When we rise
Power to the workers
When we rise
Power to us all
Aspettando sui tetti
In attesa del segnale
Togli la sicura alla tua granata
E io la toglierò alla mia
E sai che mi sento orgoglioso
Solo di stringerti la mano
E sai che mi sento orgoglioso
Solo per aver fatto resistenza alla morte del vecchio uomo
Nel giorno dell'Ascensione, quando ci alzeremo
Ora, quando ci alziamo
potere al popolo
Quando ci alziamo
Potere ai poveri
Quando ci alziamo
Potere per i lavoratori
Quando ci alziamo
Potere a tutti noi
In una miscela di Marxismo periferico, Lotta Continua e Democrazia Proletaria, Stamp lancia la sua intransigente proposta di epurazione sociale. La sua scrittura sarà l’equivalente in musica dei volantini di reclutamento delle Brigate Rosse, quindi a tratti fin troppo estrema per essere presa veramente sul serio dal pubblico. Discutibile, ma sempre sincera e appassionata al contrario di tante inutili crociate propagandistiche da superstar in Limousine.
L’inno del lato A sono gli otto minuti di M.I.5's Alive, pervasi da un riff alla Keith Richards e dai tormentati wha-wha di Liber; Stamp la butta direttamente in politica:
"Let's free the working class
We're tired of licking the government's arse
We're tired of kissing the Monarch's arse”
Lasciate libera la classe operaia
Siamo stanchi di leccare il culo del governo
Siamo stanchi di baciare il culo della monarchia
Il pezzo poi degenera in una jam blues scalcagnata, troppo in 4/4 per essere Captain Beefheart ma con lo stesso piglio anarchico.
Working class man, volente o no, strappa la maschera di dosso al baronetto John Lennon, il quale proprio nel 1970 se ne venne fuori con l’astratta e subdola Working Class Hero (senza darla a bere a nessuno, peraltro); è anche il momento più autobiografico del cantante, fortunatamente attento a non sfociare nell’autocommiserazione:
..the foreman’s big mouth
Said stop, you've been shirking
Get out of that truck
And the company clothes
I nut him in the face
And I broke his long nose
Got sacked for fighting, cards and money on the spot
You’d think five years’ service is something
But it's not
Quel gran chiacchierone del capo
Dice: Stop, hai fatto lo scansafatiche
Esci dal camion e togliti la divisa”
Io l’ho colpito in faccia
E gli ho rotto quel lungo naso
Sono stato licenziato per la rissa, ho mollato soldi e documenti
Potresti pensare che cinque anni di servizio sono qualcosa
Ma non è così
“If you want to be a hero well just follow me”, no grazie John, non c’è celebrità tra la povera gente.
Stardom Road Part 1 è l’unico momento semiacustico e quasi elegiaco dell’album, con tanto di arrangiamento di archi che nulla toglie alla ruvidezza dell’insieme, mettendo anzi in risalto la voce drammatica di Stamp.
'Well, I kicked on my mule, and he obeyed me,
Everyone else snuffed and delayed me.
They said you ain't got the voice,
And you ain’t got the chords,
And yer living in Bayswater, on floorboards.
And you won’t,
No you won’t, no you won’t,
Take that load
Up Stardom Road.'
Assieme alle avventure nel sottobosco di Shepherd's Bush Cowboy, con bell’arrangiamento per ottoni, potrebbe essere uscita dai taccuini di Tom Waits, o Bon Scott, alla ricerca della più varia umanità notturna.
I turned to a skinhead drinking pint race
He said 'Man, that queen's got a nice face'
Up came my fist, other queen got kissed
That adds one more to my list
The boozer closed its shutter
The barman said ‘Don’t leave him there
Roll him in the gutter
La Part 2 di Stardom Road si risolve al contrario in un attacco punk stile Detroint 1968.
Get out of Bed You Dirty Red si fa notare per un bel contrappunto di rutti; ma l’anthem definitivo è Preaching Violence, regolato dalla schitarrata più disturbante che si possa immaginare; il pezzo batte di nuovo sugli stessi temi “La rivoluzione è dietro l’angolo” canta Stamp; il comandamento è solo uno: “preaching violence”. Una violenza a tratti figurata a tratti anche molto concreta, a cui l’autore porta tutte quelle giustificazioni che una società tanto disparitaria non manca mai di presentargli. Finalmente una violenza in musica che non è rivolta solo ad innocue suite del George V di Parigi o del Chelsea Hotel a New York. Finalmente una violenza in musica che si pone degli obiettivi (giustizia, equità sociale) che, per quanto velleitaria e caricaturale, non è solo una posa, come quella contrabbandata da certo Metal e molto Punk.
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