Galleria minima di “rock design”
Introduzione

Esistono rari e fortunati casi in cui alcuni album risultano perfetti:
dalla produzione, all’affiatamento tra i musicisti, dall’anno o addirittura dal
mese dell’uscita, alla puntualità nell’intersecare i movimenti sociali e
culturali di un certo spazio e di un certo tempo. Non ultimo elemento di questa
virtuosa sciarada: il design e la copertina del disco. Perché ci fu un tempo in
cui, a differenza di oggi, le copertine esistevano in carne ed ossa (o colla e
cartone) ed erano anzi il primo elemento che il pubblico coglieva del nuovo
lavoro dell’artista preferito. Le foto in chiaroscuro dei Rolling Stones, dei
Beatles, sulle buste dei 45 o dei 33 giri, erano testimonianza tangibile della
presenza dei musicisti tra i solchi neri del vinile. I glifi astratti sugli
album di San Francisco di fine anni ’60, fino alle tavole “fumettistiche” e
colorate che illustravano la New Wave of British Heavy Metal: perfette per
sintetizzare e veicolare, nell’istante di uno sguardo, le coordinate di un
intero movimento. La copertina, anzi, forse inconsciamente, è sempre stata per
l’acquirente, un elemento fortemente distintivo
e discriminante per riconoscere e apprezzare un album. Alcune, dagli
anni ’60 ad oggi, hanno attivamente contribuito alla storia e al mito stesso del
rock: la banana dei Velvet Underground, la mucca dei Pink Floyd, la chitarra
fracassata dei Clash.
Alcuni artisti, designer, illustratori, fotografi, si sono distinti in
questo campo per un lavoro personale e fortemente “autoriale”, che pure è stato
perfettamente complementare alla musica dei gruppi che si appoggiavano a quel
design. Perché anche un logo può fare la differenza: è possibile pensare agli
Stones senza “linguaccia” o agli AC-DC senza lampo, o agli Iron Maiden senza
“Eddie”?
Del resto il tempo fa il suo corso, e l’arte di illustrare la musica è
messa a dura prova sia dall’ormai incontrastato dominio del video, sia,
soprattutto, dal fatto che la musica sempre di più si venderà senza un supporto
fisico, riducendo magari le vecchie copertine 31 X 31 cm in qualche piccolo
avatar sullo schermo di un iPod. Ed è giusto così, perchè la novità tecnologica
apre sempre la strada alla novità artistica e culturale. O almeno ce lo
auguriamo…
Oltre ai lavori di alcuni geni isolati, metal, progressive e
psichedelia sono i generi che più hanno beneficiato di artisti e designer
illuminati, che ci hanno lasciato i migliori esempi di un’arte minore ma
estremamente affascinante. Ripercorrere queste esperienze, in una “galleria
minima” e inevitabilmente incompleta, potrà stuzzicare la fantasia o rinverdire
la memoria dei tanti per cui la musica non sono solo 7 note, ma interi panorami
iridescenti e orizzonti colorati del pensiero.
Sommario
1. Roger Dean: Progressive landscape negli
oceani topografici
2. Rick Griffin e Stanley Mouse: Il rosso, il nero e lo scarabeo spaziale alla
conquista di ‘Frisco
3.
Rodney Matthews e Derek Riggs: British Heavy Metal
a colori
4. Don Van Vliet: Un pittore dietro l’armonica
5. Hipgnosis: la fotografia
dell’impossibile
6. Neon Park: una via acida al surrealismo
7. Rock Design: opere in cerca d’autore
8. The Musical Box: lo spazio della musica
Per ognuna di queste sezioni verranno pubblicati sul blog un post
introduttivo sull’autore e 2-3 post di galleria specifica, con indicazioni più
approfondite sull’album e sulla copertina.