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VAI A PAGANESIMI ELETTRICI
Al quinto giorno ininterrotto di festa, Il Principe chiese finalmente a Roger e Glenn di suonare qualcosa per gli ospiti. Il palco fu approntato al centro del giardino, tra le stalle e l’emiciclo, circondato da fiaccole che rinforzavano gli ultimi raggi della sera. Mentre il gruppo accordava le chitarre e i tabla, le ragazze candide giocavano ancora nella fontana e correvano tra i tavoli e le poltrone damascate, bagnando i notabili con i vestiti svolazzanti che attiravano gli sguardi degli ospiti.
Ad un cenno del
Principe, scese il silenzio tra la folla e il ronzio della viola di Colin alla
ricerca del “la” riempì le campagne.
First
Utterance è un evo
oscuro intagliato nel legno di Ent da spiriti silvani; ma è anche un prodotto
colto, di raffinati arrangiamenti. Un lied da camera per orchestra ridotta. Da
solo illuminò le stanze della villa come una lampada ad olio giallastra che ondeggia.
Circondati da mimi mascherati e inquietanti, i musicisti raccontavano la storia
di ragazze perse nel bosco, in fuga da semidei impertinenti, torturate,
sedotte, tentate dalla carnalità più esplicita; raccontarono dei cristiani
perseguitati, ricacciati nelle tenebre e della metà oscura del mondo. I
riferimenti di quella musica erano sfuggenti: qualcuno ci vide un’ombra di
Genesis malvagissimi, oppure dei Pentangle in versione esoterica e decadente.
In realtà il timbro strumentale con viola, oboe, tabla e chitarre acustiche era
alquanto bizzarro e originale, così come la ritmica continuamente caracollante,
come prestata da balli desueti. Ma ciò che spaventò maggiormente quel pubblico
ormai stordito dalla baldoria fu l’impasto vocale: un impreciso unisono di voci
bianche e falsetti androgini, come un gruppo di sirene naufraghe che, aggrappate
ad uno scoglio, hanno perduto l’armonia e la soavità in favore di una
teatralità macabra e oltraggiosa. Raccontando di Diana, la vergine catturata dalle divinità silvane, le parti vocali
si intrecciavano con turpe compiacenza per le sorti della giovane. Inseguita,
trovata, sfuggita ma inesorabilmente violentata: sembrava un Erwartung al contrario, in cui la
protagonista è anche la vittima. Drip
Drip, che pareva un seguito ideale al primo brano, nonché una trama
costruita su una stessa idea del loro poeta accompagnatore, era addirittura
raccapricciante, ai limiti del sadismo, ma appoggiata ad un accompagnamento
serrato e vorticoso.
Dopo un inizio simile,
nel grande giardino del principe anche il ronzio degli insetti notturni
sembrava affievolirsi. La grande colonna di fumo che ancora saliva dal centro
di Londra si scontrava con correnti umide e rifletteva strani bagliori lunari
su tutto un emisfero. Sembrava che un caldo opprimente stesse scendendo sulle
campagne e sulle menti inebriate degli ospiti.
Glenn e Roger pensarono
che quello fosse il momento giusto. Attaccarono una melodia sottile
recitando sottovoce ciò che si vedevano attorno: “Bright the sunlight summer day Comus wakes he starts to play Virgin
fair smiles so sweet Comus' heart begins to beat”. L’eco delle parole correva veloce svanendo tra il pubblico, mentre il flauto di
Michael sembrava incantare serpenti invisibili. Poi la musica
si impennò in un barrage di heavy-folk terrificante, con chitarre a tutto
spiano; la voce sommessa dell’inizio divenne un’evocazione perentoria: “Chastity chaser virile for the virgin's
virtue Excite her exciter you better go before you bleed and he hurts you He
chased the chaste you better leave if you value your virtue All right now”.
Quando un vapore violaceo
si levò dal centro del palco anche il Principe Viaggiatore portò la mano
sull’elsa. Dalla nuvola emerse un’enorme maschera rotonda intagliata nell’ebano
che cominciò a dimenarsi come in preda alle convulsioni. Il viso circolare,
enorme, la bocca rossa da cui penzolava una lunga lingua canina, occhi vuoti e
catatonici: Komus, il semidio di cui pareva essersi persa la memoria, emerse
nel bel mezzo del banchetto. Il coppiere stesso che accompagnò il Dio del Vino
nel suo pellegrinaggio attorno al Mediterraneo, che lo affiancò nelle battaglie
in Tracia, a Tebe e Orcomeno, stava ora ritto nel mezzo del palco e del
giardino. Portava in mano il Calice di Dioniso, Graal pagano e massima reliquia
Olimpica, dorata e risplendente. Con essa annaffiò tutti i presenti e fecondò
con il vino di Bacco la Britannia sguarnita e spaventata. Mentre la musica
ancora rinforzava come vento marino, la Maschera della Divinità Danzante
inseguiva vergini e si faceva beffe dei profughi del grande incendio,
illuminando la notte di grida terrificanti a metà fra spavento e piacere
carnale. Una pressione fortissima precipitò sulle tempie di chi ascoltava, un
sonno comatoso si impossessò delle loro menti. I musicisti, stremati,
arrivarono alla fine di “Song to Comus”
a fatica; l’epifania inaspettata del Semidio gettò un panico attonito attorno a
sé. Poi, allo scadere degli ultimi accordi, Komus scomparve così come si era
presentato, un profondo inchino e una risata distorta. Fu di nuovo il silenzio
nel giardino; una brezza pungente diluì l’atmosfera afosa e carica di
fuliggine.
Ci si guardava come
risvegliandosi da un sogno incerto, sollevati nel ritrovare l’erba fresca sotto
i piedi.
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