mercoledì 21 marzo 2012

The New Original Seattle Sound - The Sonics - Pt.1




Siamo soliti conoscere Seattle come la capitale del Grunge, una delle novità musicali dei primi anni ’90; eppure questa città, e per esteso lo Stato di Washinghton, è sempre stata musicalmente viva e variegata, già a partire dagli anni ’50.


They were really loud, and aggressive, and pretty much ahead of their time
Erano veramente pesantied aggressive, e molto Avanti rispetto al loro tempo
(Mark Lindsey – Paul Revere and the Riders)

We didn’t have any idea of what going on
Non avevamo alcuna idea di cosa stesse succedendo
(Bob Bennett)
I would scream my brains out trying to be as loud and strong as I could
Avrei volute urlare fuori il mio cervello, cercando di essere più forte e rumoroso possibile
(Gerry Roslie)
  
You’re loud and noisy and we get complaints about you guys all the time!
Siete rumorosi e fastidiosi ragazzi, abbiamo reclami continuamente!
(Gestore di motel)


  
Siamo soliti conoscere il punk come un fenomeno musicale e sociale esploso in Inghilterra nel 1977 e subito fagocitato dal mercato che ne ha identificate immediatamente le potenzialità commerciali. Eppure, musicalmente, questo genere sarebbe potuto nascere anche a Detroit nel 1969, in Germania nel 1966, oppure proprio a Seattle nel 1965. Attenzione, solo musicalmente: perché nelle due città americane mancava un substrato sociale ed economico (nonché produttori, discografici e pubblicitari in stile Malcom MacLaren) tale da rendere il punk un genere non solo legato alla musica ma anche alla moda, alla cultura giovanile, alla letteratura. La Germania dei Monks, dal canto suo, evolverà in modo del tutto personale ed imprevedibile. E’ ormai opinione comune però, che realtà come MC5, Stooges e sopratutto Sonics abbiano sfoderato, magari involontariamente, un sound e specialmente un atteggiamento che anni dopo sarebbe stato ripreso in toto dai principali gruppi punk anglosassoni della prima ora.

L’America musicale della fine degli anni ’50 è in profonda fase di restaurazione dopo il boom eversivo del Rock n’ Roll e sta sperimentando una serie di cambiamenti ai vertici delle classifiche: la prima generazione (Berry, Jerry Lee Lewis, Richards), Elvis a parte, sta lentamente segnando il passo; nuove realtà musicali si affacciano alla ribalta: soul, Rn’B, nuovi gruppi vocali la fanno da padroni; Ray Charles, Little Stevie Wonder, Chubby Checker, Four Season si alternano nella top ten. Metteranno tutti d’accordo all’inizio del 1964 i Beatles di She Loves You e I Want to Hold Your Hand primi singoli n°1 in America: era di fatto l’inizio della “Beatlesmania” e della “British Invasion”, anni in cui gli USA saranno terreno di conquista per ogni gruppo o gruppetto d’oltreoceano; solo le Supremes di Diana Ross e i surfisti Beach Boys, veri rivali artistici del gruppo di Liverpool, reggeranno l’urto. Musica, quella del gruppo di Brian Wilson, che sfrutta la popolarità di un genere strumentale,  poi noto al grande pubblico come “surf”, di cui erano tra i maggiori esponenti, se non i massimi, i Ventures dei chitarristi Bob Bogle e Nokie Edwards. Il gruppo originario di Tacoma (Washinghton) nel 1960 piazzò Walk – Don’t run, un singolo mozzafiato dagli abrasivi intrecci chitarristici, al numero 2 della pop list di Billboard, dopo che lo stesso brano era stato una hit locale nelle radio del Nord-Ovest. Alla musica dei Ventures guardavano anche alcuni colleghi conterranei di Seattle, in particolare The Wailers, un combo che passerà alla storia come il primo vero e consapevole gruppo di garage. Questo complesso è titolare di un paio di LP incisi per la locale etichetta Etiquette, che non riceveranno mai risonanza nazionale ma che, anche grazie al successo imprevedibile di Louie Louie dei Kingsman (da Portland, sempre nord ovest) definiranno questo “North-West Sound” fatto di accordi grezzi, suono ruvido, canzoni semplici, ripetitive e grande carica fisica. Il tutto racchiuso da un guscio dall’apparenza educata, in giacca e cravatta, ben contenti di suonare a party studenteschi o feste di paese. 
In realtà il termine garage, così usato anche in anni recenti (fino ad una vera nuova esplosione nei primi anni 2000), spiega non tanto qualcosa di strettamente musicale (di fatto è il vecchio rock n’ roll con qualche lifting), quanto piuttosto un tipo di “produzione” in studio, sia del suono, sia della canzone e quindi dell’album; una sorta di malacopia su cui restano le cancellature, gli errori, i dubbi come testimonianza del processo creativo oltre che del prodotto finito. Una lavorazione fatta con scarsi mezzi e apparecchiature low-fi, che in anni recenti è ormai arrivata a coincidere con “indie” e “alternative”. I Wailers aggiungono alla canzone leggera tradizionale la loro carica, il loro volume e la loro (apparente?) imperizia tecnica. Questo tipo di musica può essere a ragione considerata la sponda opposta non solo del “Progressive” ma anche dell’ Hard Rock e del futuro Metal dei virtuosi (Blackmore, Clapton, Emerson, Van Halen…) evidenziando così la continuità almeno concettuale con il futuro punk.


I primi fans dei Wailers sono cinque diciottenni di Tacoma che dividono il loro tempo tra scuola e musica, ambito in cui, ai “college party” e nelle “dance hall” sono noti come The Sonics. I cinque sono organizzati attorno alla chitarra e al basso dei fratelli Andy e Larry Parypa, alla batteria di Bob Bennet, al sax tenore di Rob Lind e soprattutto alla voce (e secondariamente al piano elettrico) di Gerry Roslie che era un po’ frontman, un po’ leader, un po’ compositore. Fu Buck Ormsby, bassista dei Wailers, a scoprire il gruppo e a dargli la possibilità di incidere qualche pezzo per la Etiquette Records; il primo singolo mozzafiato fu The Witch / Keep A-Knockin, che divenne una hit locale alla fine del 1964. Visto il successo dell’esordio, il gruppo tornò al lavoro all’inizio del 1965 e ai Keaney's studio incise il primo intero 33 giri. Del resto questi ragazzi erano e rimangono essenzialmente una “live band”, non nel senso che suonassero meglio dal vivo che in studio, quanto nel fatto che suonavano in studio esattamente come sul palco. Cioè meravigliosamente e ben consapevolmente male. La produzione (se di produzione si può parlare) fu una delle più minimali e disastrate della allora giovane storia del rock e resterà comunque ai vertici della classifica almeno fino ai Royal Trux: le canzoni furono incise con un registratore a 2 tracce, utilizzando un solo microfono per tutto il drum-kit. Anche il secondo LP dell’anno successivo, dal perfetto titolo Boom, non sfuggì a tale irreparabile povertà tecnica: fu prodotto ai Wiley/Griffith Studio, una sala d’incisione per musica country, che, come ricorda Larry Parypa: “non era più che uno stanzino, foderato di scatole di uova”; naturalmente i Sonics si premurarono di eliminare questa rudimentale insonorizzazione per dare alle tracce un appeal più live. Da ciò è chiaro come il sound sia ruvido, pieno di ronzii, rumori di fondo, saturazioni nelle frequenze basse, tanto da apparire più come uno scarso bootleg dei Ramones che come un’incisione ufficiale: la loro povertà di mezzi, la loro indifferenza alla qualità finale del prodotto, finirono per gettare involontariamente le basi per certo pop “low-fi” e certo Indie di anni molto recenti. La batteria suona come una cassa di legno percossa con una clava; chitarra e basso dirompono sempre in effetti “hard” e distorti più per il livello estremo del volume che per il consapevole e ortodosso utilizzo di Power Chord o Fuzz-tone; il sax tenore di Lind barrisce in modo osceno e Gary Roslie, almeno nei pezzi più scatenati, letteralmente urla, senza preoccuparsi del tempo giusto né tantomeno dell’intonazione. Le canzoni inoltre non hanno un vero arrangiamento: il gruppo preferisce suonare con tutti gli strumenti all’unisono una stesso motivo musicale, sicchè alla batteria si aggiunge il basso, che si aggiunge alla chitarra, che si aggiunge al sax, che si aggiunge al piano elettrico, creando un muro sonoro senza sfumature e totalmente monocromo. Il mixing è inesistente, pratica per altro comune nelle produzioni del “Nord-Ovest” visto che Louie Louie dei Kingsman deve parte del suo successo ad un errore nell’incisione della parte vocale. Ottimo! 



1 commento:

La firma cangiante ha detto...

Bel pezzo, ben contestualizzato nell'epoca. Tornerò a trovarti per le prossime puntate :)

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