Negli
anni ’30 John e Alan Lomax potevano vagabondare per 12.000 miglia attraverso
gli stati del sud con un registratore a bobine e un microfono per incidere a
presa diretta le canzoni di Leadbelly, Son House o Mississippi Fred MacDowell.
La loro fu una delle più pure esperienze musicali del secolo passato: nessun
intermediario, nessuna sovrastruttura, un’avventura più antropologia che “pop”,
dall’esecutore al consumatore tutto attraverso un singolo “medium” per
immagazzinare i dati. Un medium, quest’ultimo, utilizzato sul campo in un modo
del tutto insolito ma redditizio, sfruttato per immagazzinare cultura peronta
per essere redistribuita. Il tutto nonostante le inevitabili difficoltà
tecniche.
"The
recordings by Leadbelly made by the Lomaxes had historical significance beyond
the fact that they were the first ones of a man who would become a major figure
in American music. The whole idea of
using a phonograph to preserve authentic folk music was still fairly new. […]
The
whole concept of field recording was, in 1933 and still today, radically
different front the popular notion of recording. Field recordings are not intended as commercial products, but as
attempts at cultural preservation. There is no profit motive, nor any desire to
make the singer a ‘star.’
[…]
(Lomax) had to overcome the technical problems involved in recording outside a
studio; one always hoped for quiet, with no doors slamming or alarms going off,
but it was always a risk. His new state-of-the-art recording machine sported a
new microphone designed by NBC, but there were no wind baffles to help reduce
the noise when recording outside. Lomax
learned how to balance sound, where to place microphones, how to work echoes
and walls, and soon was a skilled recordist"
Le registrazioni di Leadbelly fatte
dai Lomax ebbero un significato storico oltre al fatto che furono le preime di
un artista che sarebbe diventato una delle maggiori figure della musica
americana. L’idea stessa di utilizzare
un fonografo per preservare l’autentica musica popolare era di fatto una novità
[...].
L'intero concetto di “registrazione
sul campo” era, nel 1933 e ancora oggi, radicalmente differente dalla comune nozione di registrazione. Le registrazioni sul campo non erano intese
come prodotti commerciali, ma come tentativi di tutela del patrimonio culturale.
Non vi è alcuno scopo di lucro, né alcun desiderio di fare il cantante una
'star'.
[...] (Lomax) ha dovuto superare i
problemi tecnici della registrazione fuori da uno studio: si spera sempre nel
silenzio, senza porte che sbattono o allarmi che suonino, ma c’era sempre un
rischio. Il suo nuovo registratore all’avanguardia sfoggiava un nuovo microfono
progettato dalla NBC, ma non c'erano deflettori contro il vento per contribuire
a ridurre il rumore durante la registrazione all’esterno. Lomax imparò a bilanciare il suono, a posizionare i microfoni, a
lavorare con gli echi e le pareti, e presto divenne un esperto produttore”
Charles Wolfe, Kip Lornell – The Life and Legend of
Leadbelly
Nel
frattempo, Robert Johnson faceva provini via telefono e le sale di incisione
erano poco più che stanzini con un microfono al centro, parzialmente
insonorizzati dal traffico delle strade circostanti.
Ma
dagli anni 40’ in avanti, anche grazie alla spinta tecnologica favorita dal
conflitto mondiale, l’impennata nelle tecnologie del suono portò ad un radicale
cambiamento del mercato musicale stesso. Si diffondono sempre maggiormente gli strumenti
“elettrici” con i relativi amplificatori e diffusori: dalle chitarre
Rickenbacker, Les Paul e Fender (commercializzate dalla metà degli anni ’30, le
prime, fino ad un vero boom negli anni ’40) all’oragno Hammond (brevettato nel
’34 ma portato alla ribalta da Jimmy Smith nei primi ani ‘50: il volume della musica popolare deve potere
tenere testa al crescente frastuono della città post-industriale che va
tramutandosi in metropoli. Si aprono studi di registrazione ampi e
sofisticati e si sperimentano molteplici attrezzature per manipolare o
addirittura cerare il suono: già nel 1956 la colonna sonora del film
fantascientifico The Forbidden Planet (Il Pianeta Proibito) è un prodotto di
sola musica elettronica che gli autori, Louis e Bebe Barron composero grazie ad
una sorta di proto-sintetizzatore di loro costruzione.
A
mediare tra il produttore e l’artista, un
bravo tecnico del suono era divenuta una figura imprescindibile e che
poteva fare la differenza:
Mentre le orchestre e le big band dell’era
pop precedente avevano bisogno di ampi spazi per ricreare le loro sonorità, adesso
negli studi si creava un’atmosfera di grande intimità con la supervisione di un
tecnico del suono che, con infinita pazienza, da dietro i vetri che separavano
le sue apparecchiature di registrazione dal resto, trattava spesso con
musicisti dilettanti e particolarmente eccentrici. L’uso giudizioso dell’eco, il sapiente montaggio di un master da vari
pezzi di registrazioni diverse, potevano rendere qualsiasi banalità un
gioiello.
Charlie Gillet – Sound of the City
Con
il progressivo miglioramento delle tecniche di incisione e l’adozione del
nastro magnetico e della registrazione multi traccia, a metà degli anni ’60 la parabola della sala d’incisione toccò l’apice
dell’era analogica. Essa non è più la stanza insonorizzata alla bell’e
meglio, ma una vera e propria “fabbrica del suono” ad alta tecnologia. La fase
di lavoro in studio che segue l’incisione diventa addirittura determinante,
tanto da trasformare la pubblicazione di un album in qualcosa di più simile al
montaggio e alla post-produzione cinematografica che ad una semplice
registrazione audio.
Ma l’importanza del nastro magnetico
non consisteva soltanto nella riduzione dei costi. Il nastro rappresentava una mediazione nelle fasi del processo dì
registrazione: l’esecuzione veniva registrata sul nastro, e questo era
utilizzato per produrre il master disc. A mutare il processo produttivo della
musica pop fu proprio ciò che il nastro stesso consentiva di fare in questa
fase intermedia. I produttori non erano più costretti ad accettare
integralmente un’esecuzione. Potevano
tagliare, giuntare e compilare i frammenti più riusciti delle esecuzioni,
eliminare gli errori e produrre registrazioni di eventi ideali, anziché reali.
Inoltre i suoni sul nastro potevano essere aggiunti artificialmente e gli
strumenti potevano essere registrati separatamente, Un cantante poteva incidere
la propria voce e cantare sulla registrazione mentre veniva nuovamente
registrato. Tali tecniche diedero nuova elasticità ai produttori, consentendo
loro di registrare esecuzioni (come una doppia incisione vocale), impossibili
in diretta (sebbene musicisti e produttori di apparecchiature musicali
cercassero ben presto di ottenere il medesimo effetto sul palcoscenico). Lo sviluppo della registrazione
multitraccia negli anni Sessanta permise di preservare separatamente i suoni
incisi sullo stesso nastro e di manipolarli l’uno in funzione degli altri
durante il mixaggio finale, anziché attraverso il procedimento della
sovrapposizione successiva. I produttori potevano ora lavorare sullo stesso
nastro per “registrare" un’esibizione costituita in effetti da eventi
diversi, separati nel tempo e, sempre più spesso, avvenuti in studi di
incisione diversi. I giudizi, le scelte
e l'abilità di produttori e ingegneri divennero importanti quanto quelli dei
musicisti, ed effettivamente la distinzione fra ingegneri del suono e
musicisti si svuotò di significato. La musica realizzata in studio non
manteneva più alcuna relazione con ciò che si faceva dal vivo; i dischi
utilizzano suoni (gli effetti delle manipolazioni e delle apparecchiature
elettroniche), che nessuno ha mai potuto prima sentire impiegati in un contesto
musicale.
Simon
Frith – Il Rock è finito
L’entusiasmo
per questo nuovo mondo tecnologico che si era rapidamente schiuso ai grandi
artisti dell’epoca produsse alcuni dei massimi capolavori di meticolosità
sonora, di montaggio e costruzione “a posteriori” dell’ album. Primo fra tutti quel
Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band
sovente citato come uno tra i migliori dischi
di sempre e che ha finito per diventare una pietra di paragone ingombrante per
generazioni non solo di musicisti, ma anche, soprattutto, di produttori e
tecnici di studio. Ci vollero oltre 4 mesi,
700 ore di registrazione e circa 25.000 sterline ma alla fine il gruppo
produsse un capolavoro che partiva dalla copertina e NON terminava nemmeno all’ultimo
solco del lato B: una disco destinato a rimanere, sempre.
Il
capolavoro dei Fab Four fu la massima espressione di quanto un moderno studio
di incisione potesse produrre se unito alla fantasia melodica ed alla facilità
di scrittura di un gruppo all’apice della carriera.
L’idea
del “pop-concept” che fluisce senza soluzione di continuità, proposta in
origine da George Martin (il vero factotum del gruppo, figura chiave per il
successo planetario dei Beatles) e condivisa da Lennon, non era però un unicum:
oltreoceano Frank Zappa aveva appena pubblicato Freak-Out! Ma sparatutto l’album dei Beatles era in qualche modo la
risposta al primo grande lavoro “pop” di “produzione” o meglio il primo album
in cui l’orchestrazione e il “montaggio” musicale avevano superato di gran
lunga per importanza le session d’incisione e il musicisti stessi. Questo album
è Pet Sounds, capolavoro dei Beach
Boys, in effetti gli unici veri “rivali” dei Beatles nei primi anni ’60: per i
giornali era essere facile imbastire una banale dualità tra Fab-Four e Stones
senza considerare che i due complessi britannici erano concettualmente agli
antipodi e le loro strade stavano ampiamente divergendo. Lasciando per un
attimo da parte Zappa (di fatto portavoce di una musica “altra” rispetto a
Beatles e Beach Boys), Pet Sounds fu la rivelazione di come la musica pop
commerciale per i giovani potesse pure avvalersi di arrangiamenti classici,
scritti in partiture anche complesse, arrangiate con strumenti insospettabili
(archi, ottoni…), armonizzati in un modo, si direbbe “colto”. Questo album costituisce,
assieme Sgt. Pepper, una sorta di “colonne
d’Ercole” per l’esattezza in musica. Al di là di queste colonne sta un
oceano di infinite soluzioni e possibilità costruttive in cui produttori e
ingegneri hanno il compito di guidare gli artisti per facilitarne le scelte
indirizzandoli verso il risultato finale più adatto alle specificità della
musica e al carattere (nonché alle intenzioni) dei suoi autori. In questo “mare
magnum” svetta, tra gli altri, il terzo grande album di studio dell’epoca
(nonché uno dei massimi di sempre) Electric
Ladyland. Il doppio LP di Jimi Hendrix, prodotto della smisurata ambizione
del chitarrista, è una fantasmagorica trovata di effetti, sovrastrutture e
post-produzioni: forse la prima e unica opera post-psichedelica.
Sono,
questi, album ingombranti, partoriti in seguito a gestazioni lunghe e laboriose,
diversi per il solo fatto che se quello dei Beatles fu il frutto di un lavoro
di squadra, il capolavoro dei Beach Boys fu in pratica voluto, pensato e
realizzato dal solo Brian Wilson, prototipo della rara categoria del musicista
totale moderno: esecutore, autore, produttore e arrangiatore allo stesso tempo.
Una pressione tale che finì per
schiacciare il povero bassista di fatto ritiratosi dalle scene dopo il
capolavoro, alle prese con una grave forma di depressione. A suo tempo, l’unico
altro vero musicista totale era Frank Zappa, il poliedrico e dissacrante
fenomeno della California del Sud, musicista autodidatta eppure di formazione
serissima, conoscitore profondo di armonia e composizione nonché di musica “colta”.
La sua direzione però fu diametralmente opposta a quella di Beatles e Beach Boys:
tanto questi cercavano l’esattezza per un prodotto mirato ad un pubblico
giovane, generalista, piuttosto acritico e tendenzialmente “allineato”, tanto Zappa
scelse la difficile strada dell’emarginazione e dell’originalità sovversiva e
satirica. L’esattezza e la testardaggine di rifuggire sempre dalla scelta più comune e dalla melodia più facile.
Non
per niente fu proprio Zappa il produttore di quell’enorme concentrato di musica
(post)moderna che è Trout Mask Replica,
apice della discontinua carriera di Captain Beefheart e di fatto una sorta di Sgt.
Pepper di un Mondo musicale (e artistico) di una differente galassia. Un Mondo
che si muove parallelamente a quello della musica di consumo generalista, senza
però incrociarla mai, senza possibilità di permeazione, se non per satire
irriverenti e crude (Beatle Bone 'n' Smokin' Stones). Fu la dimostrazione che se
un buon controllo su tutte le fasi della produzione era spesso sinonimo di un
eccelso prodotto musicale (Sgt. Pepper, Pet Sounds e Trout Mask Replica lo
sono, in maniere differenti) non
necessariamente questo risultato artistico si trasforma anche in un grande
successo commerciale. Inutile disquisire su quale dei due “mondi” sia
artisticamente migliore: a oltre 50 anni di distanza e migliaia di nuovi
prodotti discografici sarebbe ormai come pretendere di stabilire una gerarchia
tra Picasso e Caravaggio …
Certo,
considerata la cruda oggettività del mercato e delle vendite, i due Alienati Californiani,
ma soprattutto Van Vliet, sperimentarono sulla propria pelle l’ustione del
fallimento: Trout Mask Replica sarà certo un’opera di elevatissima caratura
artistica ma in quanto a successo, almeno in America, fu un flop allucinante e,
a posteriori, ampiamente prevedibile: troppo spiazzante, troppo radicale, troppo
privo di compromessi per arrivare al centro del gusto comune che garantiva e
garantisce i guadagni. E se in Inghilterra l’album non andò male (n° 24 nel
novembre 1969), fu per un pubblico attratto più dal gusto del bizzarro e
dell’estremo che dalla sincera curiosità verso una musica nuova. L’effimero
successo inoltre costò a Beefheart quasi la carriera quando, dopo la violenta
rottura con Zappa, fu deportato in Inghilterra come una rara mostruosità di
terre equatoriali.
Il
doppio LP della Magic Band emerse dalla periferia di L.A. da una gestazione travagliata
(come Sgt. Pepper) in cui il gruppo rimase isolato per mesi dal resto del mondo.
I 28 brani che compongono l’album sono, a loro modo, una continua sfida
all’esattezza e forse alla Musica stessa, tanto che Van Vliet incideva la parte
vocale senza sentire il suono del suo gruppo, ma solamente guardando i
musicisti attraverso il vetro della sala d’incisione: una traslazione
sensoriale che apre nel complesso processo di produzione voragini di aleatorietà
in una musica che è sì “casuale” eppure mai improvvisata. Quando, in
conclusione di She's Too Much For My
Mirror si sente la voce di Zappa bofonchiare oltre il vetro “shit, i don't know how did that harmony get
in there?” appare evidente quanto sia, e fosse, complesso sfuggire a regole
musicali codificate e condivise: l’esattezza
al contrario, di un mondo ben al di là dello specchio. Resta inconfutabile
comunque che, tra le straordinarie invenzioni nelle quattro facciate dell’album,
China Pig è il più perfetto esempio
di Blues Rurale mai inciso, addirittura migliore e più calzante delle stesse versioni
originali degli anni ’20. Non è una
canzone, non è un blues: è l’idea stessa di blues che sta nella testa e nella
memoria dell’ascoltatore ancor prima che nella chitarra e nelle dita dell’esecutore.
Blues platonico. Si potrebbe stare a lungo a parlare di questo capolavoro
che certamente non mancherà di offrire spunti in altre “riletture”.
Tornando
in tema, è facile concludere che il processo di produzione e vendita della
musica commerciale ha scelto il doppio modello Pet Sounds - Sgt. Pepper come
paradigma di una esattezza formale che investe il prodotto in tutte le sue
parti, dall’incisione alla copertina. Electric Ladyland fu di fatto il prodotto
di un inimitabile virtuoso, quindi difficilmente replicabile. Una nuova vittoria di Apollo, forse; ma
anche il riconoscimento al lavoro di professionisti silenziosi e rigorosi,
capaci di trasformare il un grezzo motivetto imbastito dalla rockstar in una
canzone fatta e finita.
IMMAGINI
Blue
Oyster Cult – Agents of Fortune (1976)
Leadbelly
- The Remaining ARC And Library Of Congress Recordings, Volume 1 (2008)
Fifth
Avenue teems with pre-Christmas holiday traffic near 34th street in November
1948
The
Beatles - Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (1967)
Giorgio de Chirico - Colonne e Foresta
nella Stanza (1928)
Captain
Beefheart & His Magic Band - Trout
Mask Replica (1969)
Don
Van Vliet - China Pig (1986-‘87)
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