lunedì 2 aprile 2012

The New Original Seattle Sound - The Sonics - Pt.3





I primi singoli e il primo LP avevano fatto dei Sonics uno dei gruppi di punta dello stato: per capitalizzare il successo i 5 tornarono presto in studio per registrare Boom. Il suono non è più così saturo nei bassi ma resta a mala pena ascoltabile da un orecchio medio; chitarra e piano acquistano una lucente affilatura metallica e la voce di Roslie è più cattiva e meno scanzonata. Se l’album in generale è un po’ più disunito dell’esordio (un tentativo di ampliare la varietà della proposta?), la copertina è ancora al top e anzi stabilisce quasi uno standard nella foto “posterizzata” fino a ridurla al bicromatismo bianco – nero: assai efficace, visto che anche la musica del gruppo non conosce i mezzi-toni. Apre un’altra favola moderna per adolescenti: Cinderella, suonata, assieme a Louie Louie e He’s waiting, con la chitarra di Parypa riaccordata: una corda in RE invece che in MI, per rendere gli accordi ancora più rozzi: ammirevole questa ricerca programmatica del rumore, addirittura della stonatura. Non a caso i tre brani sono i più violenti dell’album: una violenza reale e percepibilissima, dalla voce alla batteria, dal sax alla chitarra. Don't Be Afraid of the Dark è, dalle parole di Roslie stesso, una specie di omaggio (o presa in giro) di P.J Proby cantante texano trapiantato in Inghilterra, a cui il gruppo si ispira nel pomposo “recitativo d’apertura”: When you walk through the dark / hold your head up high / and don't be afraid of the dark; la canzone si avvale della presenza dei membri dei Wailers alle backing vocals. Wailers che, con Ron Gardner al sax, sono ospiti anche nella bella riedizione del classico di Little Richard Jenny Jenny, segno dell’unione e dell’amicizia dei due gruppi e forse di tutto il movimento del Nord-Ovest.  Skinny Minnie risplende del bramito trogloditico del sax di Lind in “growl” perenne. Unica eccezione al monolitico catalogo dei Sonics è Since I Fell for You, vecchia hit Rn’B di Buddy Johnson, classico lento sdolcinato da ballo di fine anno al college, con tanto di pacato assolo all’organo di Roslie; il brano ha la spropositata durata di 4’. Al contrario Hs’s Waiting e The Hustler si collocano a pieno diritto nella galleria dei classici più hard del gruppo, caratterizzati da accordi prepotenti e granitici, assoli di chitarra elementari e distorti. A proposito del primo ricorda Roslie: “Riguarda la VENDETTA. Come quando qualcuno ti tratta così da schifo (so rotten) che speri se ne vada all’inferno”: non si fa fatica a credergli. The Hustler, dal canto suo, propone una base ritmica per niente banale di Bennet alla batteria. Shot Down è propulso da un “beat” incessante, accompagnato anche dal battito delle mani. Forse il pezzo più significativo è proprio Louie Louie, cover del celeberrimo classico dei Kingsman, futile inno da  “Animalhouse” e canzone di per sé già piuttosto banale, che i Sonics svuotano ulteriormente di ogni residuo di armonia e musicalità, come riducendola a minimi termini puramente sonori. Il pezzo è recitato e urlato più che cantato, gli strumenti incessantemente percuotono le stesse due note all’unisono: come gli Entombed di Wolverine Blues impegnati in una cover dei Franz Ferdinand; un brano che meglio di molti altri dimostra la reale dimensione di questo gruppo che avrebbe potuto (e forse anche voluto) essere di reale e insanabile rottura. La mancanza di qualunque blando intellettualismo, di qualunque ideologia giovanile, di un pur minimo barlume culturale, fu il tallone d’Achille di una band, e per esteso di tutto un movimento, che faceva musica con il solo fine di fare casino, divertirsi e suonare al massimo volume. Cioè il desiderio di ogni quindicenne che per la prima volta strimpella uno strumento elettrico. Ciò che sarà il punto di forza di gruppi come Ramones, AC-DC, Motorhead era, nel 1966, un tremendo handicap. L’America era già scossa dall’elettricità della contestazione, del disaccordo perenne, dai sobbalzi razziali, dalla svolta psichedelica e addirittura rivoluzionaria dei moti studenteschi: non si poteva cantare fuori dal coro, occorreva una posizione chiara e schierata. Se non fai parte della soluzione, allora fai parte del problema … Ai Sonics di tutto ciò non fregava assolutamente NULLA. Ed è curioso il fatto che molti gruppi americani della “nuova musica” acida, progressiva, psichedelica, nascano musicalmente come gruppi garage (13th Floor Elevator, The Seeds fino ai Velvet Underground); gruppi garage, però, con una “ideologia”, banale, infantile ma pur sempre un’ideologia: vuoi la rivolta giovanile, vuoi la libertà individuale, vuoi la liberalizzazione delle droghe più varie… Cosa sono i gruppi della psichedelia texana se non i Sonics dediti all’astrologia e fumati di marijuana? Cosa sono i Seeds o gli Electric Prunes se non (ottimi) gruppi di garage, stupefatti come bambini nell’utilizzo di Echo, Fuzzbox e distorsori?

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