I primi singoli e il primo LP
avevano fatto dei Sonics uno dei gruppi di punta dello stato: per capitalizzare
il successo i 5 tornarono presto in studio per registrare Boom. Il suono non è più così saturo nei bassi ma resta a mala pena
ascoltabile da un orecchio medio; chitarra e piano acquistano una lucente
affilatura metallica e la voce di Roslie è più cattiva e meno scanzonata. Se
l’album in generale è un po’ più disunito dell’esordio (un tentativo di
ampliare la varietà della proposta?), la copertina è ancora al top e anzi
stabilisce quasi uno standard nella foto “posterizzata” fino a ridurla al
bicromatismo bianco – nero: assai efficace, visto che anche la musica del
gruppo non conosce i mezzi-toni. Apre un’altra favola moderna per adolescenti: Cinderella,
suonata, assieme a Louie Louie e He’s waiting, con la chitarra di
Parypa riaccordata: una corda in RE invece che in MI, per rendere gli accordi
ancora più rozzi: ammirevole questa ricerca programmatica del rumore,
addirittura della stonatura. Non a caso i tre brani sono i più violenti
dell’album: una violenza reale e percepibilissima, dalla voce alla batteria,
dal sax alla chitarra. Don't Be Afraid of the Dark è, dalle
parole di Roslie stesso, una specie di omaggio (o presa in giro) di P.J Proby
cantante texano trapiantato in Inghilterra, a cui il gruppo si ispira nel
pomposo “recitativo d’apertura”: When you
walk through the dark / hold your head up high / and don't be afraid of the
dark; la canzone si avvale della presenza dei membri dei Wailers alle backing vocals. Wailers che, con Ron
Gardner al sax, sono ospiti anche nella bella riedizione del classico di Little
Richard Jenny Jenny, segno dell’unione e dell’amicizia dei due gruppi e
forse di tutto il movimento del Nord-Ovest. Skinny Minnie risplende del bramito
trogloditico del sax di Lind in “growl” perenne. Unica eccezione al monolitico
catalogo dei Sonics è Since I Fell for You, vecchia hit Rn’B di Buddy Johnson,
classico lento sdolcinato da ballo di fine anno al college, con tanto di pacato
assolo all’organo di Roslie; il brano ha la spropositata durata di 4’. Al
contrario Hs’s Waiting e The Hustler si collocano a pieno
diritto nella galleria dei classici più hard del gruppo, caratterizzati da
accordi prepotenti e granitici, assoli di chitarra elementari e distorti. A
proposito del primo ricorda Roslie: “Riguarda la VENDETTA. Come quando qualcuno
ti tratta così da schifo (so rotten)
che speri se ne vada all’inferno”: non si fa fatica a credergli. The
Hustler, dal canto suo, propone una base ritmica per niente banale di
Bennet alla batteria. Shot Down è propulso da un “beat”
incessante, accompagnato anche dal battito delle mani. Forse il pezzo più
significativo è proprio Louie Louie, cover del celeberrimo
classico dei Kingsman, futile inno da “Animalhouse”
e canzone di per sé già piuttosto banale, che i Sonics svuotano ulteriormente
di ogni residuo di armonia e musicalità, come riducendola a minimi termini
puramente sonori. Il pezzo è recitato e urlato più che cantato, gli strumenti
incessantemente percuotono le stesse due note all’unisono: come gli Entombed di
Wolverine Blues impegnati in una
cover dei Franz Ferdinand; un brano che meglio di molti altri dimostra la reale
dimensione di questo gruppo che avrebbe potuto (e forse anche voluto) essere di
reale e insanabile rottura. La mancanza
di qualunque blando intellettualismo, di qualunque ideologia giovanile, di
un pur minimo barlume culturale, fu il tallone d’Achille di una band, e per
esteso di tutto un movimento, che faceva musica con il solo fine di fare
casino, divertirsi e suonare al massimo volume. Cioè il desiderio di ogni
quindicenne che per la prima volta strimpella uno strumento elettrico. Ciò che
sarà il punto di forza di gruppi come Ramones, AC-DC, Motorhead era, nel 1966,
un tremendo handicap. L’America era già scossa dall’elettricità della contestazione,
del disaccordo perenne, dai sobbalzi razziali, dalla svolta psichedelica e
addirittura rivoluzionaria dei moti studenteschi: non si poteva cantare fuori
dal coro, occorreva una posizione chiara e schierata. Se non fai parte della
soluzione, allora fai parte del problema … Ai
Sonics di tutto ciò non fregava assolutamente NULLA. Ed è curioso il fatto
che molti gruppi americani della “nuova musica” acida, progressiva,
psichedelica, nascano musicalmente come gruppi garage (13th Floor Elevator, The
Seeds fino ai Velvet Underground);
gruppi garage, però, con una “ideologia”, banale, infantile ma pur sempre
un’ideologia: vuoi la rivolta giovanile, vuoi la libertà individuale, vuoi la
liberalizzazione delle droghe più varie… Cosa
sono i gruppi della psichedelia texana se non i Sonics dediti all’astrologia e fumati
di marijuana? Cosa sono i Seeds o gli Electric Prunes se non (ottimi) gruppi
di garage, stupefatti come bambini nell’utilizzo di Echo, Fuzzbox e distorsori?
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