venerdì 21 giugno 2013

L'occhio colorato del Rock



Con enorme ritardo, un ricordo di un personaggio che, pur non essendo musicista, ha segnato come pochi la storia del Rock, Storm Thorgerson, scomparso appena due mesi fa.
L'articolo integrale potete trovarlo sulla rivista elettronica The Circle Review, scaricabile al seguente indirizzo:


Qui solo una brevissima carrellate di tre opere (...già viste e riviste su questo blog...) di un vero gigante del Rock Design!


Led Zeppelin – Houses of the Holy (1973)
Hipgnosis – Copertina esterna e interna (fronte e retro)



Il quinto album del gruppo di Page e Plant segnò un distacco profondissimo dal blues-rock degli esordi, colorandosi di suggestioni progressive, folk, e orientaleggianti.
La doppia cover apribile elaborata dalla Hipgnosis è certo una delle immagini più provocatorie del periodo,  eppure manca del tutto di quella sottile volgarità che permeava – per esempio -  la copertina dell’album dei Blind Faith e che in seguito avrebbe ammorbato molte uscite heavy metal (celebri un paio di censure agli Scorpions).
La scena, il cui set fu allestito nelle foreste pietrificate di Giants Causeway in Irlanda, trasuda di un paganesimo e di un misticismo potenti. Fanciulli nudi, candidi che si inerpicano verso quello che pare un enorme altare di pietra su cui una divinità gigante si appresta a celebrare il suo rito. Ma è l’artificiosità di una scala cromatica iper-satura e fiammeggiante (colori caldi sul fronte, freddi sul retro) a restituire quel senso di straniamento e paradosso capace di descrivere tutta la vicenda più come un parabola onirica che una rappresentazione di una concreta realtà. Per questo non c’è scandalo. E’ una finestra su un mondo “altro”.


Pink Floyd – Dak side of the Moon (1973)
Hipgnosis  -  Copertina


Il rapporto di Storm Thorgerson con i Pink Floyd fu uno dei binomi artistici più duraturi e fruttuosi del rock classico, continuato ininterrottamente per oltre vent’anni e decine di album.
Il prisma bianco in campo nero è divenuto simbolo talmente celebre da essere immediatamente riconoscibile, come un vessillo araldico per uno dei gruppi più amati della musica degli anni ’70. Una rappresentazione ultra sintetica, quasi minimale, studiata passo passo con il gruppo che scelse il disegno fra le varie proposte fatte dallla Hipgnosis. Il fascio continuo della luce è il flusso continuo della musica nelle due facciate; la forma del prisma è ripresa anche nel poster abbinato al disco e raffigurante le piramidi di Giza. 
Una moderna simbologia di rapida assimilazione e semplice come lo sono tutti i capolavori.

Quatermass – Quatermass (1971)
Hipgnosis – Copertina (fronte+retro)


Gruppo minore della scena progressiva britannica, i Quatermass diedero alle stampe nel ‘71 un eccellente album che fornì all’Hipgnosis l’occasione di creare uno dei suoi più celebri e spettacolari art work. 
Il dato fotografico di base rappresenta alcuni palazzi governativi di Victoria Street, poi duplicati secondo una rigidissima simmetria e disposti a formare due piani cartesiani opposti, caratterizzate da fortissime deformazioni ottiche. Potrebbero essere due pareti a specchio perfettamente verticali, quanto il cielo e la superficie di un pianeta robotico. 
Nel mezzo di queste geometrie rigorose si spalanca un frammento chiaroscuro di cielo da cui letteralmente precipita uno stormo di arcaici pterosauri dall’aria minacciosa. 
Monster in Paradise, come recita il titolo di una canzone spesso interpretata dai Quatermass. Mostri che precipitano da un altro tempo, un’altra era, che sparigliano la rigorosa e ortogonale tecnologia dell’epoca moderna e generano un “warping” temporale acutissimo e straniante.
E anche una fosca “premonizione” degli orrori del 11/09 in cui la preistoricità del pensiero integralista piombò nell’elegante simmetria delle Torri Gemelle.


9 commenti:

allelimo ha detto...

Storia del rock in che senso?
Cioè, di quanto sarebbe stata diversa la storia della musica rock se quelle copertine le avesse realizzate qualcun altro?
La mia ipotesi è "zeropercento".

Voglio dire: belle e tutto, funzionali alla commercializzazione del prodotto (come tutte le confezioni) ma pur sempre confezioni, realizzate al limite a partire dalla musica contenuta nel disco, ma senza nessuna influenza sulla musica stessa.

Direi importante per la storia della commercializzazione della musica rock, piuttosto.
Nulla di male, i dischi bisogna(va) pur venderli, ma la storia della musica forse è un'altra cosa.

Blackswan ha detto...

La copertina del disco dei Quatermass l'ho appesa in camera. Un'intuizione davvero geniale, oggi di cover così se ne vedono davvero poche.

Se è vero che la storia del rock è fatta anche di icone, e se la musica è anche letteratura e non solo ascolto,bè, direi che alcune copertine hanno contribuito non solo alla leggenda ma anche al consolidarsi di una memoria collettiva.Inscindibili dal disco che contengono.

Unknown ha detto...

Si, è giusto, storia della commercializzazione del rock; io fatico sempre a distinguere le due cose dato che è una musica prodotta per fare utile.

Ma in questo caso intendo rock in senso più "ampio" della sola sequenza di riff o accordi. Credo che le immagini di copertina di alcuni album siano molto più "Rock" di tanta musica. Ripeto, in senso ampio.

allelimo ha detto...

ma non intendevo "commerciale" in senso spregiativo (tipo la "musica commerciale" contro la "musica seria") ma proprio in senso etimologico, la commercializzazione nel senso del mettere un prodotto in commercio, a disposizione di chi volesse comprarlo.
e visto che una copertina fa parte della confezione, diciamo che appartiene più alla storia del contenitore che a quella del contenuto?

se è vero che la musica è anche letteratura (e per me non è vero, ma posso sbagliarmi) direi che le copertine dei dischi hanno la stessa importanza delle copertine dei libri, cioè (grosso modo) zero.
a meno che non si voglia sostenere che l'ascolto della musica non è sufficiente se non supportato e integrato da altri media, ma qui il discorso diventa lungo, complesso e potenzialmente offensivo, quindi mi fermo.
chiudo piuttosto dicendo che tra un disco bello con copertina brutta e uno brutto con copertina stpendamente magnifica, scelgo il primo senza pensarci due volte.
:)

Blackswan ha detto...

Però la copertina di un libro cambia a seconda dell'edizione e non è mai frutto di un'elaborazione artistica, ma di un mero calcolo commerciale o del gusto dello scrittore. la cover di dark Side o di In The court, per fare due esempi, sono quelle ovunque e lo saranno per sempre. E' chiaro che la copertina di un disco non ha nulla a che vedere con la musica contenuta.E scelgo anche io, come Allelimo, un disco ben suonato con una copertina di merda.Ma a mio avviso la cover non sempre è un semplice involucro.Il primo dei velvet è un disco pazzesco,la copertina di Warhol l'ha reso immortale e "multimediale".

allelimo ha detto...

L'esempio del disco dei Velvet mi fa ogni volta impazzire.
Nella prima edizione la banana gialla era uno sticker removibile, sotto c'era una banana color rosa che richiamava un cazzo.
In tutte le altre edizioni lo sticker non c'era, esattamente come la banana-cazzo rosa: la prima volta che ho visto il disco dei Velvet era il 1980, e fino alla edizione in cofanetto ("peel slowly and see", 1995 circa) non ho mai visto la copertina con l'effetto originale.
Fino ad allora, la copertina del primo disco dei velvet che tutti conoscono era una normale banana gialla: carina, ma tutt'altro che immortale.

Unknown ha detto...

Ritengo che nei Seventies e nella prima metà degli Eighties, l'artwork fosse importante tanto quanto la musica contenuta in esso. Si dava importanza ad ogni minimo dettaglio, gli ascoltatori prestavano grande attenzione ad ogni minimo dettaglio sonoro/visivo. Difatti le produzioni costavano vagonate di dollari e non a caso il sound risulta ancora vivido. Oggigiorno i ragazzi sono abituati ad ascoltare distrattamente la musica sul pc, dunque, la parte artistica di un lavoro ed il contenuto musicale passano in secondo piano (leggasi produzioni spesso orripilanti). 'It's the sign of the times'.

allelimo ha detto...

esatto, e negli anni '60 era ancora meglio, negli anni '50 non parliamone, e più andiamo indietro nel tempo e più le cose migliorano!
negli anni 20 ad esempio si creava prima la copertina e solo dopo veniva realizzata la musica, che serviva a fornire un sottofondo sonoro all'osservazione dell'artwork.
mentre il sound ancora vivido dipende, oltre che dalle vagonate di dollari, dalle tecniche di registrazione allora in uso: anche qui, più andiamo indietro nel tempo e più cresce la qualità delle registrazioni audio.
il media ancora insuperato è il cilindro di cera di edison. ascoltato con le giuste apparecchiature fornisce un'esperienza ineguagliabile.
;)

Unknown ha detto...

Comunque, cover o no, il mio e' solo un ricordo di un designer importante, che ha dato - da non musicista - un contributo credo importante... per quanto possa esserlo quello di uno che non suona!


...detto questo corro ad ascoltarmi un bel cilindro con Edison che recita l' alfabeto
...e dovreste vedere che copertina!)))




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