mercoledì 19 dicembre 2012

Effetto Chicago


Allora dissero “Non possiamo seppellirla nella terra nera” e fecero fare una bara di cristallo, perché‚ la si potesse vedere da ogni lato, ve la deposero, vi misero sopra il suo nome, a caratteri d'oro, e scrissero che era figlia di re. Poi esposero la bara sul monte, e uno di loro vi rimase sempre a guardia.


Biancaneve nella sua bara di cristallo esposta sulla cima del monte è la bellezza senza tempo, senza movimento, senza scopo e senza… uso. Talmente perfetta che il Principe mica voleva svegliarla: gli bastava portarsela a casa per ammirarla in salotto.
Cosa questo centri con la musica rock ce lo spiega Lester Bangs in un vecchio pezzo su un disco dei Chicago.

"Ma, anche se adoro così tanto Chicago at Canergie Hall, non lo ascolto molto spesso. A dire la verità, l’ho ascoltato solo una volta da  quando l’ho comprato e non ho intenzione di ascoltarlo mai più. D`altra  parte, non serve: è autosufficiente, è un’entità a sé stante, e ascoltarlo   troppo non farebbe che aggiungere ditate e strisci sulla sua superficie integra."


Effetto Chicago.
Ci sono veramente dischi talmente perfetti da bastare a loro stessi? Talmente potenti da incutere timore? Talmente intoccabili da allontanare anche il nostro ascolto?
Personalmente rispondo si.
E’ un paradosso? Assolutamente, ma ciò non di meno è reale.
Il troppo bello spaventa; anzi, il troppo spaventa.

Ci sono album che quasi mi sembrano impossibili da ascoltare tutto d’un fiato: per dimensioni, per volumi sonori, per quantità di citazioni, riferimenti, scopiazzature, falsi propositi, rumori bianchi o disperazioni represse. Andrebbero fruiti in un contesto e in un tempo ad essi dedicati, in un ambiente preposto, specifico: mica a casa o mentre corri con l’i-pod in cintura, né in macchina o in treno. E allora finisce che non si ascoltano: so in partenza che non arriverò alla fine, che non scoprirò chi è l’assassino, non saprò se l’eroe si salva. Eccoli nella loro bara di cristallo, bellissimi e intoccabili, in un oblio perenne. End of Silence (Rollins Band), Live 1 (Fushitsusha), il secondo disco di Tago Mago, Weld (Neil Young), Half Machine Lip Moves (Chrome); e altri, di cui addirittura dimentico il titolo.


Poi ci sono i pezzi unici. Quelli di cui non si trovano eguali, prodotti dall’alchimia instabile di band precarie dall’esistenza effimera che, tristemente, mai più sono riuscite a replicare il capolavoro. Allora ascoltarli diventa come violare una reliquia che deve rimanere avvolta da un velo di mistero, deve essere in grado di spargere ancora un po’ del suo potere e non può essere consumata e vilipesa da ascolti insistiti. E’ veramente possibile ascoltare Faust? Io ci sono riuscito pochissime volte. Eppure mi è rimasto veramente vivo nella memoria. Vivo dentro, morto fuori.

Sotto la teca stanno spesso le cacofonie, quelle vere, spigolose, quelle che fanno realmente paura. Strumenti stuprati e voci agonizzanti. Un selva da romanticismo a buon mercato che fa sempre grande impressione ma che, sotto sotto, lascia sempre il dubbio che, chissà… magari è solo un’enorme facciata senza nulla dietro. Magari è tutta una fregatura. Il Re è nudo… e guardarlo da un po’ fastidio. Come ascoltare For Alto di Anthony Braxton, Trout Mask Replica o il Jon Spencer di Extra Width e i Red Crayola di The Parable of Arable Land, che è uno dei sound più stupefacenti dell’epoca psichedelica… ma è veramente faticoso da sostenere.

Teche di cristallo.
Se ne stanno attorno ai nostri dischi preferiti e a volte nemmeno ce ne accorgiamo.
Del resto, anche quella di Biancaneve si ruppe per sbaglio. Un servitore del Principe inciampò, la fece cadere, la bara si frantumò e la ragazza sputò il boccone avvelenato che ancora le stava in gola…
Poi vai a dire il potere del bacio di vero amore…

6 commenti:

Antonio ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
SHRC ha detto...

Verissimo.
Oltre alle sensazioni che la musica ti da quando l'ascolti, ce ne sono altre che la musica ti da quando ci pensi su... tipo l'effetto Chicago.
Quest'effetto, però, me lo fanno gli album di cui ho una buona impressione ma che sotto sotto non mi piacciono.
I miei "dischi d'oro", invece, magari posso smettere di ascoltarli per un po' perchè ne ho abusato, ma a cicli più o meno regolari tornano e sono sempre più forti di prima.

Nella Crosiglia ha detto...

Un post meraviglioso...
Quello che dici è frutto di una sensibilità estremamente raffinata...
Spesso capita anche a me di non voler sentire troppo spesso un album, o un cd o qualsiasi altra cosa per paura di violarlo..
Per non cadere nella paranoia adotto la copia della copia della copia della copia....

Blackswan ha detto...

Caro Evil,te lo dico con estrema sincerità: come scrivi tu di musica ce n'è pochi al mondo.
Andando nello specifico: mi hai ricordato End Of Silence, un disco per cui ho perso il sonno.Notti passate ad ascoltarlo e un furore giovanile a cui ora ripenso con malinconia.
Di dischi nella teca ne ho parecchi, alcuni li ascolto quasi con timore reverenziale. Unknown Pleasure dei JD,The Lamb dei Genesis, Ok computer dei Radiohead,On the beach di zio Neil, Darkness del Boss,per citarne alcuni.Ogni volta che mi approcio a questi album è un rito,quasi recitassi l'omelia della mia vita.Un piacere stordente,meglio di qualsiasi altra cosa a cui riesca a pensare.Vanno gestiti con parsimonia.

Unknown ha detto...

Troppo gentile Black!
Ognuno ha le sue croci... e le sue "teche".
Quando sarò riuscito a frantumarle tutte mi potrò dire un ascoltatore maturo!... o magari un ascoltatore "finito"?

Auguri a tutti!

Blackswan ha detto...

Le teche ci rendono meravigliosamente umani, Evil. Forse è meglio tenercele strette, come un amore o un ricordo lontano che ancora ci emoziona.La nostra maturità di ascoltatori probabilmente vive solo nella consapevolezza.:)

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