Per celebrare, di striscio, l’imminente arrivo dei Bruce Springsteen
su suolo italiano per quattro tappe del suo nuovo (ennesimo) tour con la
E-Street Band, propongo un articolo del
critico britannico Simon Frith.
Non oso inoltrarmi di persona nella disamina di un personaggio così
mastodontico e complesso come il Boss in quanto non posso certo dire di
conoscerlo a fondo, avendo ascoltato, nella sua ormai sterminata discografia,
solo i due o tre titoli considerati imprescindibili.
Farò dunque solo un breve cappello introduttivo all’articolo che qui
integralmente riporto (violando, tra l’altro, svariate norme di copyright…)
Il brano di Frith, datato 1987, fu scritto mentre era in distribuzione
il mastodontico Live/1975-85.
L’autore procede in maniera quasi hegeliana: tesi, antitesi, sintesi, qui ribattezzate falso, vero, conclusioni. Tutto quanto ruota attorno a lui, al Boss
per antonomasia.
Più che giudizi tout-court, Frith si propone di offrire chiavi di
letture personali, meditate, non sempre fuori dal coro ma sicuramente ragionate
e ben ponderate. I fan di Bruce facciano attenzione, perché qua e là potrebbero
incappare in frasi piuttosto… “esplicite”: ma abbiate pazienza e vedrete che un
assoluzione di fondo non manca.
Tutto quanto il mondo della musica leggera segue regole precise, si
direbbe inderogabili.
Non si può né pretendere da un singolo che si erga ad unico paladino immacolato della Verità, né che tutte le piaghe
e le colpe di un sistema finiscano per ricadere su di lui solo perché è tra
quelli che hanno avuto maggiore successo. E attenzione: essendo la musica rock
non estranea alle dinamiche di mercato, la massima popolarità artistica (quella che tutto sommato piace ai fan, quella
che regala emozioni…) è spesso accoppiata ad un enorme successo economico.
Ma la diatriba che nasce attorno a rockstar di lunga carriera e gonfio
portafoglio è sempre la stessa: fanno sul serio? Ci vendono Arte o contratti
con le major? Lo fanno per avidità, ispirazione, routine?
Insomma… sono autentici o no?
Una questione che in realtà, a chi si propone di essere solo
ascoltatore, fruitore del flusso musicale,
nemmeno dovrebbe interessare più di tanto. Come nota giustamente Frith:
“la musica non può essere vera o falsa,
può soltanto riferirsi a convenzioni di verità e falsità”. Ma certo per il
fan, l’appassionato, oltre che di musica, del personaggio, dell’uomo tanto
pubblico quanto privato, la domanda è di quelle cruciali.
Una cosa credo si possa dire: Springsteen, Madonna, Rolling Stones,
Jackson ed Elvis (finchè erano in vita) non
sono più solo privati cittadini che si esprimono creativamente; sono vere e
proprie aziende multinazionali che
danno lavoro a centinaia di persone. E sono forzatamente aziendalisti.
Mi trovo abbastanza d’accordo con Frith quando scrive: “ciò che è significativo nell’era postmoderna
non è se Springsteen sia la cosa autentica, ma come possa surrogare la
convinzione che in qualche modo, da qualche parte, esistano cose autentiche”.
La purezza, la sincerità, la verità dell’espressione artistica non
stanno in questo mondo, ma nell’idea dell’appassionato e
dell’ascoltatore. Ed è importante che siano e restino lì, altrimenti i frantuma
tutto. Platonismo Rock? Forse, ma il ragionamento mi soddisfa
abbastanza, dopotutto.
Detto ciò, a voi l’articolo. Una sua versione in pdf è scaricabile dal
link qui sotto.
Il grassetto è mio ed ha la sola funzione di aiutare coloro che non si
dedicheranno ad una lettura integrale a soffermarsi su quelli che, a parer mio,
sono i passaggi salienti.
Buona lettura!
L’autentico - Bruce
Springsteen
di Simon Frith
Introduzione
Suppongo che verso il Natale del 1986 Bruce Springsteen guadagnasse
quotidianamente più di qualunque altra pop star - più di Madonna, più dì Phil
Collins o Mark Knopfler, persino più di Paul McCartney; la rivista «Time» ha
calcolato che abbia guadagnato sette milioni e mezzo di dollari nella prima
settimana di distribuzione del suo long playing Live. Il cofanetto di cinque
dischi raggiunse il vertice della classifica di vendita americana (si presume
che abbia raggiunto un milione di copie il primo giorno, con un introito lordo
di cinquanta milioni appena "fuori dalla porta") restandovi per
l’intero periodo natalizio. Fu il best seller nazionale per i mesi di novembre
e dicembre, quando si vendono più dischi che nel resto dell'anno. Persino in
Gran Bretagna, dove le classifiche invernali sono dominate dalle antologie
pubblicizzate in televisione, il cofanetto di Springsteen, in vendita a
venticinque sterline, raccolse più denaro dei singoli album di compilations,
che pure erano posti in vendita con stretti margini di profitto (la Cbs calcola
di realizzare il 42% delle vendite annuali nel periodo natalizio). A spasso per
Londra, da Tottenham Court per la Oxford Street verso Piccadilly ai primi di dicembre,
davanti ai tre simboli delle corporations del rock — i grandi magazzini Virgin,
Hmv e Tower — ognuno dei quali afferma di essere il più grande negozio di dischi
al mondo, non vedevo altro che cofanetti
dì Springsteen, in alte pile a fianco dei registratori di cassa, la scorta più
sicura della stagione.
Il successo di vendita a quel livello — i cofanetti erano accumulati a
Sidney come a Toronto, e nelle aree commerciali delle città svedesi, danesi,
tedesche occidentali, olandesi e giapponesi — ha un effetto devastante sulla
parte restante del ciclo produttivo del rock. Il telegiornale americano
mostrava le immagini degli autotreni che
giungevano a rifornire i negozi newyorkesi dai magazzini della Cbs — anche
quelli immediatamente circondati da file di persone, cosicché negli Stati Uniti
Springsteen veniva freneticamente
venduto dai pianali degli automezzi, come fosse una inattesa partita di Levis’
in Urss. A poche ore dalla sua uscita, il cofanetto di Springsteen
inceppava l’organizzazione della Cbs. In America la compagnia annunciò che non
avrebbe evaso gli ordini del catalogo per quattro mesi, perché l’intera capacità produttiva era destinata
a Springsteen (e anche così andò rapidamente esaurita la versione in compact
disc del cofanetto — ne erano state realizzate soltanto trecentomila, una
quantità insufficiente). In Europa la compagnia dedicò uno dei suoi tre
impianti di stampa alla produzione esclusiva del cofanetto. Springsteen
dominava il mercato essendo l'unico prodotto della Cbs disponibile ovunque.
Indipendentemente dalle cifre di vendita definitive (dopo Natale le rese
dei cofanetti dai negozi alla Cbs furono altrettanto impressionanti delle
vendite iniziali), è già evidente che Bruce
Springsteen end the E- Street Band Live è un disco sensazionale, un
risultato commerciale da porre sullo stesso piano di Saturday Night Fever o
Thriller di Michael Jackson. Va altresì tenuto presente che un disco dal vivo è
meno costoso da produrre che uno nuovo in sala d’incisione (e Springsteen è già
stato ben ricompensato per quelle canzoni dalle vendite dei dischi precedenti e
dagli incassi degli spettacoli sempre esauriti delle tournée). Per spingere le
vendite di quel disco, d’altra parte, la Cbs non aveva bisogno di costose bardature
o promo video, né di pubblicità attraverso i media; poiché il cofanetto di
Springsteen era in se stesso un avvenimento (l’unico precedente del pop cui
riesco a pensare è il White Album dei Beatles del 1968), generò la sua propria pubblicità in quanto “avvenimento” — le
stazioni radio facevano a gara per trasmettere il maggior numero di brani il
più a lungo possibile, i negozi rivaleggiavano nel dare a Bruce più spazio in vetrina,
i quotidiani si superavano l’un l’altro nelle congetture sui suoi veri
profitti. Il cofanetto di Springsteen divenne, in altri termini, il supremo oggetto del sogno capitalistico,
un bene di consumo che si doveva possedere (invece che usare per necessità).
In conclusione della vicenda Springsteen è peculiare non il segno di una
brillante campagna di vendite, ma il suo carattere invisibile. Altre superstar
pubblicano registrazioni dal vivo per Natale (ad esempio, i Queen) e i critici
scherniscono il loro opportunismo; altre star riciclano i loro vecchi successi
(ad esempio, Bryan Ferry) e i fan si preoccupano dell’attuale mancanza di
ispirazione. In quelle tristi storie di avidità e orgoglio, è Springsteen a dare spesso la misura
dell’integrità musicale, a rappresentare il modello di un artista rock che non
può essere messo in discussione in termini di calcolo economico. In breve,
il bene di consumo di maggior successo del momento, il cofanetto dì Springsteen
dal vivo, conferma il principio che la musica non dovrebbe essere un bene di
consumo; è il disdegno profondo del successo a dare tanto successo a Springsteen. Come se la sua presenza su ogni giradischi,
registratore e riproduttore dì compact aggiornato, in ogni soggiorno elegante,
siano ciò che consente a un’affluente generazione rock che sta invecchiando di
mantenere il contatto con le sue "radici". Ciò che è significativo
nell’era postmoderna non è se
Springsteen sia la cosa autentica, ma come possa surrogare la convinzione che
in qualche modo, da qualche parte, esistano cose autentiche.
Falso
Considerate le seguenti affermazioni:
Bruce Springsteen è un
miliardario vestito da operaio. Jeans sdruciti, maglietta, una fascia fra i
capelli perché non gli cadano sugli occhi — è una tenuta da lavoro, e costituisce
un aspetto significativo del fascino dì Springsteen, che va visto come un
artista che lavora per guadagnarsi da vivere. La sua popolarità è imperniata
sulle esibizioni dal vivo e, più specificamente, sulla sua spettacolare
energia: Springsteen lavora sodo, e
la sua fatica - a nostro beneficio - è evidente. Produce materialmente la musica,
come un lavoratore manuale. Il suo abbigliamento è dichiaratamente funzionale e
pratico (come gli indumenti degli sportivi) —— comodi jeans (lisi) per muoversi
agilmente, una maglietta per sudare liberamente, uno straccio da meccanico per
detergersi la fronte. Ma vi è di più, riguardo a quegli indumenti. Springsteen indossa abiti da lavoro anche
quando non lavora. La sua immagine privata, le pose delle copertine dei
dischi e delle interviste, persino le istantanee “fuori servizio" dei
paparazzi, esprimono la medesima realistica praticità (l’unica volta che si è
visto Springsteen ben vestito “in privato" è stato in occasione del suo
matrimonio). Springsteen non indossa abiti adeguati al suo effettivo status
economico e alle sue risorse (a confronto di altre pop star), ma neppure
riserva l’abito migliore per le grandi occasioni, come i veri operai — non lo
si è mai visto tirato a lucido per una serata elegante. E come se non si
potesse accettare il suo eccesso o il suo appagamento se non per noi, come un
artista per il suo pubblico. Per lui non c'è differenza fra lavoro e
divertimento, fra normalità ed eccezionalità. Poiché l'artificiale “Springsteen", la star, si presenta senza
orpelli, non potrà mai esservi sospetto che si tratti soltanto di una finzione
(come lo è stato Elvis, e come è Madonna). Non c’è un altro Springsteen, né più
vero né più artificiale, da vedere.
Springsteen è un padrone che si
presenta come un dipendente. Mi ha sempre stupito che fosse soprannominato
“The Boss", ma è sottinteso che si tratta di una definizione affettuosa,
un modo cameratesco per la E-Street Band di render merito alla sua
straordinaria energia. In realtà “boss" designa adeguatamente il loro
rapporto economico - Springsteen da lavoro al suo gruppo; lui detiene i contratti
discografici, il controllo sui long playing e sul repertorio dei concerti,
compone le canzoni e sceglie i vecchi successi da reinterpretare. A prescindere
dal contributo dei musicisti al suo successo (smaccatamente riconosciutogli), è lui che riscuote i diritti sulle
composizioni/esecuzioni, è lui che potrebbe, in linea di principio, licenziare
il personale o, come ogni buon datore di lavoro, premiare il gruppo con
generose gratifiche dopo ogni spettacolo o disco andato esaurito. E
naturalmente dà lavoro anche agli assistenti di palco, a un manager, a un
giornalista e a un segretario; ormai il suo giro d’affari è di miliardi annui. Può esprimere i sentimenti di "piccoli"
uomini e donne che combattono contro le distanti direzioni aziendali, ma è lui stesso
una corporation.
Springsteen è un adolescente di
trentasette anni. Da vent’anni prosegue una carriera di enorme successo, è
un professionista, un uomo sposato abbastanza avanti negli anni da essere a sua
volta padre dj adolescenti, ma si mostra ancora come un ragazzo, curioso di
sapere. che cosa gli riservi la vita, reso inquieto dagli scontri con
l’autorità degli adulti. Presenta le sue canzoni con ricordi personali - la sua
vita da ragazzo, le discussioni col padre (la madre è menzionata di rado) - ma
come esecutore è evidentemente partecipe di quelle emozioni. Springsteen non
rimpiange né rinnega il suo passato; da adulto, lo vive tuttora.
Springsteen è un timido
esibizionista. È in effetti uno degli artisti più sexy che il rock’n’ roll
abbia mai avuto - una parte considerevole del pubblico dei suoi concerti
semplicemente lo contempla, senza distogliere lo sguardo dal suo corpo,
pubblico che lui dal palco incanta per la sicurezza che dimostra. Nonostante
tutto ciò, il suo personaggio interpreta una gioventù coraggiosa e gauchista di
un'altra epoca.
Springsteen è una superstar per
amico. Entra nella nostra esistenza come star discografica, come suono alla
radio, come presenza sul video e, in questo periodo, come argomento di
pettegolezzi da rotocalco. Persino negli spettacoli dal vivo pare più
accessibile nei primi piani degli schermi giganti posti intorno al palco che come
“materiale" figura indistinta in lontananza. E tuttavia resta l'artista rock il cui spettacolo crea
nel modo più convincente un senso di comunità (da cui egli stesso dipende).
La “registrazione" di maggior successo di Springsteen è “daI
vivo". L’obiettivo che il cofanetto si propone è la riproduzione di un
concerto, di un avvenimento, e se per altri musicisti cinque dischi sarebbero
eccessivi, per Springsteen è una prova ulteriore del realismo dell’album — la sua
durata è all’incirca quella di uno spettacolo. Si può sollevare un'interessante
questione di fiducia al riguardo. Non dubito che quelle esibizioni si siano
svolte in diretta, che gli applausi siano scrosciati davvero, ma questo è nondimeno un avvenimento falso, un
concerto assemblato da esibizioni diverse (e altri missaggi), montati e
bilanciati per simulare un’incisione in diretta (che ha diverse convenzioni
acustiche di un vero spettacolo). I fan di Springsteen lo sanno bene,
naturalmente. Il piacere di questo
cofanetto non viene dal riportarci nel luogo dove siamo stati, ma dal
prefigurare qualcosa di ideale. Descrive ciò che noi intendiamo per “Springsteen
dal vivo", e ciò che lo rende “reale" in tale contesto non è la sua
trasparenza, l’idea che lui sia il personaggio che recita, ma è la sua arte, la
sua abilità ad articolare l’idea adeguata di realtà.
Vero
Il termine ricorrente nelle discussioni riguardo a Springsteen, utilizzato
da fan, critici e fan in funzione di critico, è "autenticità". Con ciò non si intende che Springsteen sia
autentico in modo diretto — esprime
semplicemente se stesso — ma che egli rappresenti
"l’autenticità". E questo il motivo della sua importanza: egli è
garante dei valori essenziali del rock’n’roll nonostante quei valori diventino
sempre più difficili da sostenere. In
un’epoca in cui il rock è la colonna sonora della pubblicità televisiva, in cui
le tournée dipendono da accordi di sponsorizzazione, in cui la promozione
attraverso i video ha cancellato la distinzione tra il fare musica e il vendere
musica, Springsteen afferma che la musica, nonostante tutto, fornisca ancora
alla gente un modo per definire se stessi contro la logica corporativa, un
linguaggio con cui esprimere speranze e paure quotidiane.
Se Bruce Springsteen non esistesse, i critici rock americani avrebbero
dovuto inventarlo. In certa misura è ciò che hanno fatto, in prima persona (Jon
Landau, il critico più importante di “Rolling
Stone” negli ultimi anni Sessanta, è ora
il suo manager) o indirettamente (Dave Marsh, biografo ufficiale di
Springsteen, è il più viscerale e diffusamente letto fra i critici rock degli
anni Ottanta). Sono pochi, a dire il vero, i critici rock americani che non
abbiano celebrato Springsteen, ma il loro compito è stato non tanto quello di
spiegarlo ai fan potenziali, difendendo la fase in cui passò dal culto alla
celebrità di massa, quanto quello di spiegarlo
allo stesso Springsteen. Lo hanno considerato, secondo una particolare
interpretazione della storia del rock, non
come il “nuovo Dylan" (la sua originaria etichetta commerciale), ma come
la "voce della gente". Il suo compito è di portare il testimone
che ha ricevuto da Woody Guthrie, e l’intento dei vecchi brani accuratamente
riproposti (This Land Is Your Land di
Guthrie, successi di Presley e Berry, classici del beat inglese e War di Edwin Starr) non è solo quello di
accreditarlo come fan tra altri, ma di identificarlo con uno specifico progetto
musicale. Lo stesso Springsteen dichiara dal palcoscenico di rappresentare
un’autentica tradizione popolare (come se combattesse gli spuri sentimenti
commerciali di un Irving Berlin).
Essere tanto “autentico" impone un considerevole numero di iniziative.
Innanzitutto, l’autenticità va definita
contro l’artificio; i termini acquistano significato soltanto se in
opposizione l’uno all’altro. E’ questa l’importanza dell’immagine di
Springsteen - rappresentare il “crudo" in opposizione al
"cotto". La sua presenza scenica leale, la sua frugalità, si
comprendono in riferimento agli eccessi dello show business, ai sofisticati
spettacoli del pop cabarettistico e del soul (e al convenzionale rock’n’roll da
stadio) - Springsteen è autentico per
contrasto. Anche l’espressione poetica è diretta; la sua abilità di compositore non è contraddistinta da un linguaggio
“lirico" esoterico o idiomatico, come nella tradizione del cantante/compositore
folk-rock che discende da Dylan (e dai suoi primi lavori), ma da vivide immagini e metafore che elabora dal i linguaggio corrente.
Qui la posta in gioco non è l’autenticità dell’esperienza, ma l'autenticità dei sentimenti; ciò che
importa non è se Springsteen sia passato lui stesso attraverso tali esperienze
(la noia, l’aggressività, l’estasi e la disperazione) ma che sappia come agiscono. Lo scopo dei suoi
aneddoti autobiografici non è di rivelare se stesso, bensì di radicate la sua
musica in un’esperienza empirica. Al pari di artisti in altri settori dei media
(narratori, registi) Springsteen è
attento a fornire alle emozioni (il dato imprescindibile del rock’n’roll) un assetto narrativo, situandole nello
spazio e nel tempo, e riferendole alle situazioni che pretendono di chiarire o confondere.
Non gli interessano le emozioni astratte, le sensazioni vaghe né tantomeno le valutazioni
morali. Semplicemente è un narratore,
che ricorre a tecniche classiche per rendere credibili i suoi racconti. La realtà
viene descritta secondo convenzioni fissate per la prima volta dai veristi del diciannovesimo
secolo — il rifiuto di trattare le condizioni sociali in termini
sentimentalistici, e l’impegno a descrivere in modo sentimentalistico la natura
umana. Le canzoni di Springsteen (come i racconti di Zola) si occupano quasi
esclusivamente delle classi lavoratrici, con le loro vicende di povertà e di
insicurezza, e le conseguenze della debolezza e della delinquenza; si soffermano sul lato oscuro del sogno americano; contrappongono agli impulsi utopici la
mancanza individuale di opportunità per fare molto più che tirare avanti;
trovano nel sesso l’unica opportunità di passione (e di tradimento). I
personaggi di Springsteen, vittime e carnefici, sconfitti e collerici, sono
considerati con affetto, le loro speranze con rispetto e i loro insuccessi
giustificati dalle circostanze.
E’ il suo realismo a rendere
politicamente ambiguo il populismo di Springsteen. Le sue affermazioni sono
certamente anticapitalistiche o, almeno, critiche degli effetti del capitalismo
— come individuo sociale e come artista di successo Springsteen ha rifiutato la
sottomissione alle leggi del mercato, mostrando costante e generosa solidarietà verso gli sconfitti del sistema,
per i lavoratori in sciopero iscritti al sindacato e per i disoccupati, per
mogli e figli che vengono picchiati. Contemporaneamente, però, la sua
attenzione al destino individuale, l’intrinseca potenza con cui narra dei loro
sogni irrealizzabili (ma che lui stesso conserva) offre uno spiraglio alla sua
appropriazione, che non viene sfruttata soltanto dai politici come Reagan ma,
ciò che più conta, da commercianti e inserzionisti pubblicitari, i quali lo utilizzano
per vendere i loro prodotti come una soluzione di qualche genere per i problemi
che denuncia.
Questo è il paradosso del
populismo del mercato di massa: mentre le canzoni di Springsteen suggeriscono
che qualcosa della nostra vita ci è sottratto, il suggerimento della Cbs è che
possiamo colmare il vuoto con un disco di Bruce Springsteen. Nonostante
tutto l'impegno di Springsteen nelle cause più impellenti, dalla sua musica
viene un soffio di nostalgia e un’aria di fatalismo. I suoi racconti dicono di
speranze sul punto di estinguersi, trasmettono un senso del tempo che passa
sfuggendo al nostro controllo, indicano che i nostri sogni sono destinati a
rimanere tali. Il conservatorismo
formale della musica avvalora il conservatorismo emotivo dei testi: cosi va il
mondo, canta, e nulla cambia davvero. Ma c’è un altro modo per descrivere
il realismo di Springsteen. Intende celebrare il consueto, non lo
straordinario. Ancora una volta il punto non è che Springsteen sia ordinario o
finga di esserlo, bensì che renda merito all’ordinarietà, cavando l’intensità
da esperienze abitualmente considerate banali. La funzione del pop è sempre
stata quella di trasfigurare l'ovvio, ma tale proposito fu in qualche misura
inficiato dall’espansione del rock negli anni Sessanta, con le sue pretese artistiche
e poetiche, la sua creazione di figure di culto, il suo misticismo heavy metal.
Lo stesso Springsteen esordì con un paio di efficaci long playing discorsivi,
ma da allora si è dedicato in forme significative all'espressione del senso
comune. La più notevole abilità di
Springsteen sta nella sua capacità di drammatizzazione degli avvenimenti
quotidiani - persino il suo spettacolo dal vivo è un dilatato rock show da
pub. La E-Street Band, professionisti di alta classe, suona con una sorta di
entusiasmo amatoriale, un’affezione reciproca in stridente contrasto con il
disprezzo bohémien del loro lavoro (e del loro pubblico) che è stato un
riflesso degli spettacoli rock "artistici" a partire dai Rolling
Stones e dai Doors. I musicisti di
Springsteen rappresentano tutti i gruppi amatoriali e semiprofessionistici che si
sono aggregati in nome dell'ardente speranza del successo.
Il suo senso della comunità spiega altresì il lato fisico del fascino
di Springsteen. La sua sessualità non è esibita come qualcosa di eccezionale,
come forma di potenza, ma è codificata nei suoi movimenti “natura-
li", in funzione di ciò che canta e suona. Il suo corpo diventa
“sexy" - fonte di eccitazione e ansia - nei suoi gesti consueti; il suo
fascino non è definito in termini di glamour o sogno. La prova essenziale dell’autenticità di Springsteen, in altre parole, è
il suo sudore, la sua dimostrazione di energia. Il suo corpo non assume
pose, non appare un oggetto di consumo, ma è attivo, si mostra un oggetto di
esaurimento. Quando i componenti della E-Street Band si riuniscono al termine
di uno spettacolo per l’inchino finale, con le braccia sulle spalle l’uno
dell’altro, esausti e rilassati, l’analogia
con la prestazione sportiva è evidente: è una squadra che ha vinto l'ultimo
incontro. L’importante è che ognuno di tali incontri sia percepito come
reale, che non ci siano basi preregistrate, né strumenti “finti", che i
musicisti abbiano suonato fino al limite. In ciascuno degli spettacoli di
Springsteen ai quali ho assistito vi è il momento in cui Clarence Clemons è al
centro dell’attenzione; in quel momento è lui la vera star. E’ fisicamente più
grande di Springsteen, suona più forte ed è vestito in modo più vistoso. E lui
è sassofonista, colui che rende conto ogni sera nel modo più esplicito della
relazione fra sforzo umano e musica umana.
Essere autentici e suonare in
modo autentico è la stessa cosa in un contesto rock. La musica non può
essere vera o falsa, può soltanto riferirsi a convenzioni di verità e falsità.
Considerate le seguenti affermazioni. La batteria tonante nelle canzoni di
Springsteen dà ai suoi racconti il loro senso di inarrestabile moto, disegna i
confini entro i quali le vicende accadono. Il rapporto fra spazio e tempo è il
segreto del grande rock’ n’ roll, e Springsteen impiega altri congegni classici
per realizzarlo - una combinazione di pianoforte e organo, ad esempio (come
facevano The Band e molti gruppi soul), di modo che la linea melodica descrittiva e i suoni ritmici d’atmosfera si scambino
continuamente di ruolo. La E-Street Band produce musica come gruppo, ma un
gruppo in cui distinguiamo ciascuno strumentista. La nostra attenzione è cioè
attratta non dal suono risultante ma dal processo esecutivo. Ciò è in parte il
frutto del rifiuto di considerare “solista" uno strumento rispetto agli
altri (è il motivo per cui Nils Lofgren, chitarra “solista", appariva
fuori posto nell'ultima formazione per la tournée della E-Street Band); in
parte per una specifica ragione di business musicale — il gruppo è
“coeso", ciascuno tende a realizzare il medesimo fine ritmico, ma
"elastico", ogni musicista decide autonomamente come raggiungerlo
(uno dei motivi per cui gli strumenti elettronici non funzionerebbero — sono
troppo lineari, troppo precisi). Tutti i musicisti di Springsteen, anche i
coristi e i percussionisti aggiunti, hanno una voce individuale; sarebbe
inconcepibile per lui presentarsi con un’anonima sezione d’archi.
Le strutture armoniche e, ancor più significativamente, le linee melodiche
della musica di Springsteen fanno consapevole riferimento al rock'n' roll in se
stesso, ai suoi convenzionali giri armonici, alla ripartizione dei ruoli nei
gruppi, alle comprovate forme espressive di gioia e di tristezza. Springsteen
stesso è una stella del rock'n’roll, non un cantante confidenziale o un
cantautore. La sua voce si sforza di
farsi ascoltare, deve urlare sopra gli strumenti che al tempo stesso lo
sostengono e competono con lui. Per quante volte li abbia provati, i suoi
passaggi suonano sempre come creati in quell’istante.
Molte delle canzoni più coinvolgenti di Springsteen non hanno destinatario
(nessun “tu"), ma (come numerose canzoni dei Beatles) si riferiscono a una
terza persona (un racconto narrato di qualcun altro) o riguardano un “io"
che medita a voce alta, che spiega la propria condizione in modo impersonale,
in una sorta di epica individualizzata. Ascoltare
tale epica è un'attività pubblica (piuttosto che un sogno privato), motivo per
cui i concerti di Springsteen paiono ancora momenti collettivi.
Conclusioni
In uno dei suoi monologhi Springsteen ricorda come i suoi genitori non
abbiano mai mostrato molto entusiasmo per le sue ambizioni musicali - volevano
educarlo per qualcosa di sicuro, come legge o ragioneria: “Volevano che ottenessi
qualcosa per me; non capivano che io volevo tutto!”. E’ un’affermazione che potrebbe esser fatta soltanto da un americano, e
per comprendere l’importanza e il successo di Springsteen dobbiamo tornare al
vero problema che gli è di fronte: il destino individuale dell’ l’artista nel
capitalismo. In Europa la critica artistica della commercializzazione
universale è stata generalmente condotta in termini romantici, in una posizione
di disgusto bohémien tanto per le masse quanto per i borghesi, in nome della
superiorità dell'avanguardia. Negli
Stati Uniti si ricorre all'anticapitalismo populistico, la tradizione
dell'artista come uomo (raramente donna) comune, che scaglia la verità della
natura contro la falsità sociale, i valori dei pionieri contro la routine della
burocrazia. Quella tradizione (da Mark Twain a Woody Guthrie, da Kerouac ai Credence
Clearwater Revival) è sottesa al messaggio e all’immagine di Springsteen. E
quella tradizione che gli consente di utilizzare la scontata iconografia della
strada, del fiume, dello stesso rock’n’ roll come prova di sincerità. Nessun
musicista inglese, neppure qualcuno con il profondo amore per le forme musicali
americane come Elvis Costello, potrebbe trattare quei temi senza un po’ di
senso dell’ironia.
Ancora, il populismo di Springsteen si rivolge all’esperienza del capitalismo
propria di ciascuno. Produce musica con le speranze accese e quelle frustrate,
offrendo una sensazione di valore individuale che non è determinata né dalle
leggi di mercato (e dalla ricchezza) né da criteri estetici (e dal capitale
culturale). E’ la specifica considerazione americana dell’eguaglianza che gli
consente di trascendere le differenze di classe e di status che restano
radicate nella cultura europea. Il problema è che il confine tra populismo democratico (l'affermazione che tutte le
esperienze e i sentimenti individuali hanno eguale importanza, hanno valore
drammatico e possono essere trasformati in arte) e populismo commerciale (l’affermazione che il consumatore ha sempre
ragione, che il mercato definisce il valore culturale) è assai sottile. Le pile di cofanetti dei dischi di Bruce
Springsteen nei negozi europei paiono un tributo all’autenticità rock, più che
un pedaggio pagato alle corporations.
“We are the world!” cantava il coro di Usa For Africa, e ciò che era concepito come un’affermazione
di comunità planetaria si rivelò una minaccia di dominazione internazionale.
“Born in the Usa!” cantava Springsteen nella sua ultima trionfale tournée, con
la bandiera a stelle e strisce ondeggiante sul palco, e quello che era inteso come canto di protesta contro la colonizzazione
reganiana del sogno americano fu preso da ampi settori del suo pubblico
americano per patriottismo opportunistico (in Europa la bandiera dovette
essere ammainata). Che ci piaccia o no, che gli piaccia o no, Springsteen è un
artista americano - la sua “comunità" avrà sempre le stelle e strisce che
ci sventolano sopra. Ma allora il rock’n` roll è la musica americana, e il Live 1975-1985 è un monumento: come tutti i monumenti celebra (e
compiange) una scomparsa in questo caso l'idea stessa dì autenticità.
1987
L’articolo tradotto in italiano è apparso
sul volume “Il Rock è finito” di Simon Frith, edizioni EDT, 1990
P.S.: postilla semiseria per
concludere.
Non ho potuto fare a meno,
leggendo, di notare quanti tratti in comune, dal punto di vista sociale più che
musicale, abbia il profilo del Boss tratteggiato da Frith con il nostro piccolo
eroe Vasco Rossi.
E’ solo una mia deviazione
personale? O forse, su scala ridottissima (dovuta anche ad idioma ed anagrafe),
anche il Vasco Nazionale ha attinto a quegli stessi archetipi di cui si è
nutrito per anni il Boss?
Se mai fosse così, chi adora il
Boss dovrebbe adorare anche Vasco? Qual è la differenza?
Ah, già, dimenticavo: la musica!
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Mi muovo a commentare l'articolo con il passo felpatissimo di uno Springsteniano di ferro,uno a cui possono portare via tutti i suoi seimila e passa cd, ma se provi a sfiorargli Darkness non ci pensa un secondo a diventare violento.:) L'articolo è per buona parte condivisibile,anzi per certi versi lo è completamente. Poi, come suggiungi giustamente tu alla fine,in relazione a un possibile parallelo con Vasco Rossi, la differenza la fa la musica. Se c'è un metro oggettivo per giudicare una canzone rock, e credo ci sia, Springsteen di canzoni memorabili ne ha scritte parecchie. E' arte ? Forse no,ma sicuramente è cultura.Divertirsi e divertire lanciando un messaggio è meglio di niente, aiuta a riflettere.Forse, a prescindere da ogni altra riflessione, il Boss è amato così tanto perchè rappresenta un sogno colletivo di riscatto,l'idea che con il "sudore" nessun obiettivo ci è precluso. E' percepito come un Dio buono:fa i miracoli ma tra noi e lui non percepisci alcuna distanza.E' inarrivabile ma incredibilmente vicino.Un pò come il fratello maggiore che arriva quando hai bisogno e ti risolve i problemi con la sua musica.
PS : ho scritto da fan, lo so. ma più obiettivo di così mi è davvero difficile :)
"La purezza, la sincerità, la verità dell’espressione artistica non stanno in questo mondo, ma nell’idea dell’appassionato e dell’ascoltatore. Ed è importante che siano e restino lì, altrimenti si frantuma tutto".
Ho copiato e incollato,pero' apprezzo molto quello che hai scritto.Verro' a rileggere l'articolo di Frith, perchè è un argomento che m'interessa particolarmente.Per ora ti saluto.
Interessante la sociologia di Bruce, in particolare il passaggio in cui si nota la sua assoluta mancanza di ironia.
Però non c'è una sola delle sue canzoni che mi piaccia...
@Black: Una rocksatr per amico, appunto!
A parte gli scherzi, la "questione Vasco" consideriamola più una boutade un pochino provocatoria. Non voglio certo stare qui a chiedermi se sia meglio lui o il Boss, perchè questo genere di domande non hanno mai "risposte" ma solo "preferenze". La domanda semmai è un altra e riguarda solo indirettamente i musicisti.
Può essere che i fan americani del boss (americani, non italiani, francesi o australiani) si aspettino da Bruce le stesse cose che i fan italiani (italiani) si aspettano da Vasco?
Cose tipo: "autenticità", l'essere "uno di noi", parlare direttamente alla gente; oltre ad una dose di rock diretto e senza fronzoli?
Ci sono aree sovrapponibili tra il fan americano del boss e quello italiano di Vasco? Non so, per orizzonti culturali, ideali politici-sociali, fede religiosa, reddito, stato sociale...
Io credo in parte si, credo che tutto sommato un artista come Sprengsteen e uno come Vasco Rossi siano più sovrapponibili tra loro, che so, di Cream e Beach Boys...Ma è solo per fare un esempio scemo!
Questo mica deve sminuire Srpingsteen agli occhi dei suoi fan.
Io non lo conosco a fondo, ho ascoltato gli album considerati mitici; mi sta simpatico come personaggio, ha un gran sound sul palco. Ma mai è scattata la scintilla... come per esempio mi è successo con Neil Young, che potrebbe sembrare un artista vicinissimo al boss, ma parere mio, non lo è affatto...
E' vero ho notato anch'io una parallelismo tra Bruce e Vasco, riferendomi al seguito di pubblico, alla rilevanza dei media, ed alle caratteristiche comuni ai due personaggi, tanto amate dai beniamini che li vedono a loro molto 'simili'.
Personalmente non andrei ad un concerto né dell'uno né dell'altro,neanche se mi pagassero il biglietto. Non perché mi siano antipatici, semplicemente perché la loro musica mi annoia.
Di Bruce mi sono fermato a The River, di Vasco a niente.
L'articolo è molto interessante, e sconvolge quella fila di Tir carica di dischi, come potrebbe essere oggi carica di hi-phone,o altri oggetti che sono tutti molto impegnati a farci credere abbiano una qualche utilità o aggiungano qualcosa alla nostra vita.
Prima di tutto ringrazio Black per esser arrivato prima di me, così mi ha spianato la strada e ha già fatto il lavoro sporco. Io non sapevo bene da dove iniziare a commentare questo post, non essendo mio il dono della sintesi; quindi, comincio ad accodarmi a Black dicendo che concordo con lui, che concorda con Frith.
Tuttavia voglio sottolineare (forse perchè sono fan di Springsteen?), che concordo con Frith solo dove scrive il "vero", perchè dove scrive il "falso" mente sapendo di mentire.
La sua sembra più un'arringa da tribunale dell'inquisizione e la parte che prende in esame il modo di vestire di Springsteen è a dir poco ridicola.
Non mi piaciono i santificatori alla Marsh (e per questo non ho mai letto e mai leggerò la sua bio di Bruce), ma non sopporto neanche chi cerca prove di colpevolezza là dove non ce ne sono.
Frith saprà sicuramente che Springsteen non è l'unico a non ostentare il suo status con il proprio abbigliamento: in questo senso la scuola londinese ne è un esempio chiarificatore. Si sarà dimenticato delle interviste di Freddy Mercury sostenute in canottiera o tuta da ginnastica? E anche le improbabili mise di Jagger, tanto per citarne due proprio non poveracci, che fan parte di quel pop cabarettistico di cui parla Frith stesso...
Springsteen ha più volte sostenuto che neanche il suo fan più accanito lo conosce bene, approfonditamente, per quello che è in realtà. Il creare un personaggio il più vicino possibile al pubblico, una voce e una storia con i quali potersi relazionare, e far credere ad un fan di essere un intimo conoscitore del proprio cantante preferito, per ammissione dello stesso Springsteen, fa parte del "lavoro". La persona che sta dietro la sua emanazione pubblica, è molto diversa, più stratificata, complessa, contraddittoria e deludente dell'immagine che mentalmente il pubblico si fa di essa.
Non è importante sapere se Bruce abbia realmente o meno vissuto in prima persona ciò che racconta, ma quanto una qualsiasi persona si possa relazionare ad esse nella maniera più diretta e naturale possibile. Springsteen ha vissuto sicuramente sulla sua pelle molto di ciò che canta, molto altro no, niente affatto, ma lo registra, lo documenta, lo canta, lo racconta in una maniera che gli è peculiare e con la quale il suo pubblico si possa facilmente confrontare. E questo lo fa sia quando indossa una maglietta, sia quando indossa una camicia. E a questo proposito, il vestiario di un cantante è pressochè sempre in armonia con lo stile dello stesso. Ve li vedete i Manowar vestiti come i Kraftwerk?
La musica, come la letteratura e il cinema, crea dei mondi possibili, non sempre reali. Joe Pesci è un grande in Quei Bravi Ragazzi non certo perchè nella vita reale sia un gangster. 2001 Odissea nello Spazio è un capolavoro, ma Kubrick non faceva l'astronauta, nè Christian Bale è mai stato realmente Batman.
Il rock'n'roll è prima di tutto sogno e immaginazione, come moltre altre forme d'arte, quindi anche se Springsteen ha creato delle situazioni immaginarie, ma credibili non vedo dove stia il problema. Del resto nei suoi testi non mi pare di aver mai letto niente riguardo a draghi volanti o simili...
Il fatto che i fan si crogiolino nell'illusione di un Bruce artefatto che suona in un live fittizio è assolutamente falso: moltissimi gruppi hanno pubblicato live compilati con lo stesso criterio, in modo da dare l'idea di un concerto-tipo-perfetto, ma solo Springsteen può vantare la monumentale quantità di bootleg già in circolazione negli anni '70, che testimoniavano fedelmente ciò che era un live di Springsteen e non ciò che s'immaginava, si avrebbe voluto, si sognava che fosse. In quelle registrazioni non c'è nulla d'artefatto e Dio solo sa quante persone hanno sognato su quei live, unica testimonianza di un Bruce dal vivo e "autentico", prima che il live ufficiale uscisse (e in una certa misura fu criticato da quegli stessi fan che ascoltavano i bootleg). Questo per dire che quella produzione, come poi molto di più molte sue altre produzioni successive, forse non saranno state il massimo della genuinità filologica, ma non son mai state un paravento dietro il quale nascondersi: la prova del nove la si ha ogni volta che Springsteen lo si va a vedere dal vivo, ancora oggi, a quasi trent'anni da questo articolo!
Ps: in quanto all'associazione con Vasco, beh, forse un certo Vasco di un certo periodo ha dei punti di contatto con un certo Springsteen, ma direi più una certa parte del popolo di Vasco con una certa parte del popolo di Springsteen. In quanto a tematiche e spessore, quindi non solo "musica", siamo su due sistemi solari diversi.
Ultimamente Vasco non solo non ha più punti di contatto con artisti del calibro del Boss, ma non ha proprio più alcun contatto con la realtà! è forse più simile al Mago Otelma che a Springsteen.
Sul parallelo Bruce-Vasco, credo ci sia una grossa differenza su come sono percepiti dai loro fans.
Bruce è un eroe "positivo": muscoli e sudore, il concerto come evento quasi sportivo, nessuna ironia e nessuna ambiguità.
Vasco è sempre stato una figura ambigua, dalla fama di "drogato" che si trascina dalla sua prima apparizione a Sanremo e (incredibile ma vero) figura con una certa connotazione "ribelle". Certo, solo per pre-adolescenti, e difficile da prendere sul serio per tutti gli altri, ma in ogni caso agli antipodi di Bruce.
E quindi, in un certo senso, trovo più "rock" la figura di Vasco di quella del Boss, ormai diventato un santino per famiglie benestanti...
Concordo con Allelimo. Vasco è un po' il poeta maledetto , il trasgressivo,dallo lo stile di vita esagerato, insomma la rappresentazione del 'rocker'. In realtà anche lui è stato impacchettato, omologato e venduto: non puo' piu' far paura (ammesso che ne abbia mai fatta).
@Vik io, come ho scritto nell'intro, continuo a pensare che in fondo questo articolo, se non buonista, alla fine sia comunque "assolutorio". Credo che la progressione "vero" - "falso" sia una questione retorica più che un elenco di fatti o di giudizi, si calca un po' la mano, consapevolmente.
Poi è vero che se ci tolgono i "sogni" e gli "Eroi" a noi (a voi) fan resta troppo poco in mano.
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