A Maurilia, il viaggiatore è
invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline
illustrate che la rappresentano com'era prima: la stessa identica piazza con
una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al
posto del cavalcavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica
di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la
città nelle cartoline e la preferisca a quella
presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti
entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza e prosperità di Maurilia
diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non
ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta
soltanto adesso nelle vecchie cartoline, mentre prima, con la Maurilia
provinciale sotto gli occhi, di grazioso non ci si vedeva proprio nulla, e men
che meno ce lo si vedrebbe oggi, se Maurilia fosse rimasta tale e quale, e che
comunque la metropoli ha questa attrattiva in più, che attraverso ciò che è diventata si può ripensare con nostalgia a quella
che era.
Guardatevi dal dir loro che
talvolta città diverse si succedono sopra lo stesso suolo e sotto lo stesso nome,
nascono e muoiono senza essersi conosciute, incomunicabili tra loro. Alle volte
anche i nomi degli abitanti restano uguali, e l'accento delle voci, e perfino i
lineamenti delle facce; ma gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se
ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei. E’ vano chiedersi se essi sono migliori o
peggiori degli antichi, dato che non esiste tra loro alcun rapporto, così
come le vecchie cartoline non rappresentano Maurilia com’era, ma un’altra città
che per caso si chiamava Maurilia come questa.
Italo Calvino – Le Città Invisibili – Le Città e la memoria,
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Proust e la scienza ci insegnano che l'olfatto è il senso che più facilmente
fa scattare le sinapsi della memoria.
L'esperienza ci dice che in molti hanno una "propria canzone" a
sancire un ricordo importante. La proposta di matrimonio, il primo bacio, un
ultimo addio…
Musica e memoria funzionano certo alla perfezione considerando una
prospettiva generazionale. Ecco che Use Your Illusion II ci ricorda la gita
alla fine della terza media, così quel disco dei Cramberries lo si ascoltava a
Parigi, un paio d'anni dopo. E via dicendo.
Al di fuori di questa cornice ampia e condivisa, nel mio piccolo, i
dischi che più si associano a momenti precisi della vita passata sono in realtà
quelli che ho ascoltato di meno. O
meglio: sentiti intensamente solo per qualche settimana, poi dimenticati sugli
scaffali. Spesso sono stati delusioni, tradimenti o semplicemente esperienze
musicali fraintese che ho cercato forzatamente di farmi piacere, senza
riuscirvi. Ma ecco che quegli ascolti autoimposti, intensi, obbligati li hanno
legati a doppio filo ad un istante preciso.
Un legame ormai indissolubile, tanto forte che mi basta guardare una
copertina per ripercorrere quei giorni lontani.
Ma quel legame intimo ed un po'
indiscreto tra le canzoni e la memoria degli ascoltatori è un universo
vasto, personalissimo e, alla fine, anche un po' noioso...
Qui è un'altra la memoria che interessa: quella che la musica ha per altre musiche. O, in un’ottica più
totalitaria, che la musica ha per sé
stessa; come accade nelle vecchie foto della città di Maurilia.
Quei collegamenti non visibili
ad occhio nudo che si possono stabilire tra i solchi di dischi diversi, di
regioni diverse ed epoche diverse. E non parlo solo di riferimenti, citazioni,
plagi nè tantomeno cover.
Dischi che contengono memorie
di altri dischi, come in un sistema complesso di ragnatele e scatole
cinesi.
Come la chitarra di Lee Underwood che percorre tutto il lato A di Schwingungen
degli Ash Ra Tempel, o l’eco di Fred Neil nelle prime voci di Tim Buckley; il
fantasma di Frank Sinatra in Moonlight
Drive o Light My Fire. La slide
di Son House nel plettro di John Campbell, la reverenza di Jack White per Brian
Jones e Keith Richards; le chitarre strambe della Magic Band nei 45 giri di
Sonny Boy Williamson, poi riemerse nei gruppi elettrici di Ornette Coleman. E
ancora la mania di Takashi Mizutani per le minimalistiche distorsione dei
Velvet Underground e lo spettro di Stagger Lee nei dischi di Sly Stone.
Sono apparizioni subliminali, celate; si ascoltano solo in controluce.
Non c’è quasi mai nulla di esplicito o palesemente dichiarato. A volte sono
perfino echi casuali o involontari. Ricordi
automatici che si fissano nelle dita più che nella testa dei musicisti.
Sono difficili da indagare, esose in tempo e risorse discografiche.
Così è più facile inventarle di sana pianta, inserendole in un
capitolo, o meglio in una serie, delle recensioni
fantastiche del Falso Dimitri. I dischi della memoria.
2 commenti:
...si ascoltano solo in controluce.beh questa te la rubo evil.
tutta tua!!)))
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