sabato 17 agosto 2013

Gli album e i segni



Di tutti i cambiamenti di lingua che deve affrontare il viaggiatore in terre lontane, nessuno uguaglia quello che lo attende nella città di lpazia, perché non riguarda le parole ma le cose. Entrai a Ipazia un mattino, un giardino di magnolie si specchiava su lagune azzurre, io andavo tra le siepi sicuro di scoprire belle e giovani dame fare il bagno: ma in fondo all’ acqua i granchi mordevano gli occhi delle suicide con la pietra legata al collo e i capelli verdi d'alghe. Mi sentii defraudato e volli chiedere giustizia al sultano. Salii le scale di porfido del palazzo dalle cupole più alte, attraversai sei cortili di maiolica con zampilli. La sala nel mezzo era sbarrata da inferriate: i forzati con nere catene al piede issavano rocce di basalto da una cava che s’apre sottoterra. Non mi restava che interrogare i filosofi. Entrai nella grande biblioteca, mi persi tra scaffali che crollavano sotto le rilegature in pergamena, seguii l'ordine alfabetico d'alfabeti scomparsi, su e giù per corridoi, scalette e ponti. Nel più remoto gabinetto dei papiri, in una nuvola di fumo, mi apparvero gli occhi inebetiti d’un adolescente sdraiato su una stuoia, che non staccava le labbra da una pipa d'oppio.
— Dov’è il sapiente? — Il fumatore indicò fuori della finestra. Era un giardino con giochi infantili: i birilli, l’altalena, la trottola. Il filosofo sedeva   prato. Disse: — l segni formano una lingua, ma non è quella che credi di conoscere —.
Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m'avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito a intendere il linguaggio di lpazia. Ora basta che senta nitrire i cavalli e schioccare le fruste e già mi prende una trepidazione amorosa: a lpazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le cosce nude e i gambali sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli. E quando il mio animo non chiede altro alimento e stimolo che la musica, so che va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra si rispondono trilli di flauti, accordi d'arpe.
Certo anche a lpazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scendere al porto ma salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno.

Italo Calvino – Le Città Invisibili – Le città e i segni, 4



Album e segni.
Ci sono album segnati; da un assolo, da una parte vocale, da una linea di testo.
Ma sopratutto ci sono album che lasciano il segno. Nella memoria, nel tempo, nelle persone; anche nei luoghi.
Sono quelli che piacciono ai critici; gli album seminali. Spesso sono riesumazioni apocrife, a volte  veri capolavori originali ed indiscutibili.
Tracciate una riga a collegare tutti questi segni e avrete la vostra minima e necessaria storia della musica popolare in formato tascabile.
Il problema è che ognuno vede i segni che vuole vedere, quelli che preferisce e riconosce come tali. E il tracciato sarà inevitabilmente diverso per tutti. Un reticolo non facilmente districabile; pochi capisaldi condivisi, tante nuove piste di curiose individualità da scoprire.
Come si lasciano questi segni?
Innovando, perfezionando, commercializzando in maniera ossessiva; centrando il “medio” del gusto collettivo.
Ma sopratutto tradendo, sviando, spiazzando. Contestando la tradizione. Traducendo o tradendo la tradizione stessa, giochi di parole a parte…
Così, dove pensi di trovare una psichedelia di maniera trovi delle scure paranoie urbane. Dove pensi di trovare un pop ben confezionato, trovi danze di alienazione, dove immagini il solito hard rock di routine, ti imbatti in apocalissi sonore nel deserto.
Ingannando il linguaggio comune e i facili preconcetti si smarrisce irrimediabilmente il viaggiatore musicale mal accorto, spesso anche quello più esperto.
Segni. Più sono inattesi, più diventano profondi.


2 commenti:

mr.Hyde ha detto...

Che bello il brano di Calvino..
Il post è un pretesto per profonde riflessioni sul linguaggio e la sua traduzione in segni, sui significati presunti e quelli reali, sui significati pilotati.Non è facile farsi capire.

Unknown ha detto...

Tra tutte le città invisibili, Ipazia è quella che meglio mi rappresenta l'idea del viaggio, per questo mi piace. Incontrare luoghi fatti sì di strade, case, palazzi, persone ma regolati da convenzioni/consuetudini differenti.
E' il bello di visitare terre distanti, scoprirne le differenze.
In musica...non so, mi piace scoprire in un album qualcosa di inaspettato. Esserne spiazzato, sorpreso (magari non sempre in maniera super positiva)soprattutto adesso che via web c'è la teorica possibilità di sapere ogni cosa "in anticipo" riguardo alle ultime (e non solo) uscite. Non accade spesso.

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