Una cover di bel gusto pop, un nome che evocherebbe scenari estivi da
Harlem sotto la canicola, traditi da quella che doveva essere un’attitudine al
jazz bianco da campus.
“Allievi della lezione di Brubeck” dovettero pensare alla Verve quando
crederono di mettere sotto contratto un educato ed edulcorato quartetto di
jazzisti borghesi che suonavano in giacca senza stillare una goccia di sudore e
che sembravano avere messo a memoria dischi come Time Out o Jazz Goes to
College.
Ma magari fu l’improvvida - o la benedetta, dipende da che parte state
della barricata - decisione di spedirli a farsi le ossa al mitico Red Dog
Saloon di Virginia City, di spalla a novizi quali Charlatans o Wildflower a
tramutare la natura stessa di questo gruppo. Che evidentemente già radicato al
suo interno possedeva il germe della genuina trasgressività sottaciuta a
genitori inconsapevoli.
Succede allora che quello che doveva essere un revival della canzone
leggera anni ’50 (Old Man River)
diviene una “mess” psicotica con un flauto impazzito che va subito alla deriva
su una ritmica impassibile e tribale allo stesso tempo. Che la chitarrina in
punta di dita di Ted Winston, a volume manipolato, demolisca ciò che rimane di Basin Street Blues facendone una trance
acida degna di coloro che aspettano “l’ uomo” appoggiati al lampione spento sul
marciapiede. E quando quello arriva, si scatena la sarabanda settecentesca di Joint Blues Time con tanto di
clavicembalo elettrico, deriva a 12 battute d’obbligo e voci dal falsetto
irritante che nulla ne sanno di armonia ma che si divertono un mondo a
sbattersi tamburelli sulla testa come dovessero inaugurare l’ultima parata
dell’ Art Ensemble Of Chicago. Tra tanto frastuono mirabilmente elettrificato,
spicca come il solitario fiore nel campo già arato la favola alla Donovan di Lucinda con campanellini fatati e addirittura
traumi di corno tibetano in chiusura. Un barrito che conduce direttamente al classicone
di Gershwin, veicolo per quattro scalcagnati assoli in cui i musicisti si
scambiano, letteralmente, gli strumenti, immettendo vibrazioni di beefheartiana
aleatorietà su una performance che alla fine deraglia verso il pazzoide più
convinto. Fugs e Godz avrebbero applaudito eccitati…
Una bella fantasia. Quello che sulla carta fu l’educato ed edulcorato
prodotto della meglio gioventù bianca è diventato un happening avanti sui tempi
di quel paio d’anni che bastano a farne la prima perla dispersa e subito
dimenticata della corona psichedelica.
Affascinante, ma tremendamente fuorviante.
Fireplug – Fireplug 1966 Verve (10-514), USA
Old Man River 5:23
Basin Street Blues
4:13
4 Pieces 3:25
Joint Blues Time 6:47
Lucinda 3:21
Summertime 7:53
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