Dio benedica gli anni ’60!
Vi ricordate? Quelli dell’amore universale; in cui le persone
scendevano in strada dandosi la mano, e dandosi quella mano formavano grandi
girotondi vorticosi con cui proclamavano la pace nel mondo e l’inizio di una
nuova era di fraternità e propizie congiunture cosmiche.
Quelli del solo-unico-vero-rock-che-conta.
Morrison, Hendrix, Lennon…
Bè, magari poi le cose non stanno proprio così…
Però all’epoca ti poteva pure capitare di trovare un bellimbusto arabo,
con baffoni e scarpe a punta da sultano, fronteggiare una complessino beat nel
giro del Village.
E il bello dei bassifondi del rock è che ti riservano sempre qualche
sorpresa, qualche colpo di coda che ti costringe a rivedere continuamente la
tua personale classifica di bizzarrie musicali. Pensi di averle sperimentate
tutte con qualche Big
Boy Pete, con i Randy
Holden, con il prog giapponese, con la JPT
Scare Band.
Poi spuntano fuori questi Devil’s Anvil.
Fioriti tra quei girotondi di pacificazione cosmica, vagabondavano per
le stesse coffe house di Dave Van Ronk con nomi che oggi sarebbero sulla lista
nera di qualsiasi controspionaggio: Kareem Issaq, Mike Mohel, Eliezer Adoram. Strumenti
che sanno di deserto, bouzouki, oud, tamboura, timbri salmastri di Mediterraneo,
costa meridionale: un happening scalzo alla prima moschea a destra.
Ma pur immerso fino al collo nello stordimento di quegli anni alla marijuana.
Se fossero fioriti sulla costa ovest avrebbero strappato ai Caleidoscope lo
scettro di Contaminatori Definitivi.
Ma a New York fecero la conoscenza di tale Felix Pappalardi, uno
sdolcinato produttore/bassista che smerciava sogni colorati a tutto volume per
le masse indistinte che avrebbero presto osannato Cream e addirittura Mountain.
Ma era pure un personaggio con gli agganci giusti, tanto da riuscire ad
accasare quell’accozzaglia di oriundi medio orientali con la Columbia.
Dio benedica gli anni ’60!
Così anche i nostri prodi clandestini mettono assieme 11 pezzi per un
lp: Hard Rock From The Middle East.
Piuttosto chiaro, no?
Roba da fare andare di traverso fior di biscottini al mitico George W.
Bush. Ma ve lo immaginate l’americano medio a comperare un lp con in copertina
un truce volto scuro avvolto in un turbante candido con tanto di deshdasheh a
righe alla Ahmad al-Shuqayri?
Inacquistabile!
Quei pochi che lo acquistarono saranno forse rimasti interdetti. O
forse no, tanto all’epoca qualunque orientaleggiamento di maniera era fin troppo
ben accetto. Pappalardi, ahimè, riduce la carica arabica del gruppo ad un sound
indecisissimo tra bordoni psichedelici e pruriti garage, tra unplugged folk da
menestrelli della Grande Depressione, canzonette da juke-box, ed abbozzati
tentativi di world music che più imperialista non si può.
Neocolonialismo rock, ma dagli Amerikani ci si poteva aspettare
qualcosa di meglio? Electric Prunes del Sahara.
Per fortuna la totale follia di testi cantati in arabo, turco, greco e
ovunque incomprensibili pur quando in inglese rende divertente tutto quanto il
disco. Con l’aggiunta di un paio di pezzi di bello spessore e trance
assicurata: Wala Dai, Besaha e Selim Alai in particolare.
Ma la ciliegina sulla torta fu che nel giorno esatto in cui il disco
comparve nei negozi, il conflitto israelo-palestinese deragliò nella Guerra dei
6 giorni. Era il giugno 1967.
Chi si sarebbe azzardato, per le strade di New York, a girare con
sottobraccio un lp 30x30 dominato da un sinistro simil-kamikaze e la parola “diavolo” a caratteri cubitali nel titolo?
Inacquistabile…
Allora, ma forse anche adesso.
PS: non ne sono assolutamente
sicuro… ma metà del ’67 credo ci siano ottime possibilità che questo sia il
disco in cui per la prima volta compare esplicitamente l’espressione “Hard
Rock”…
The Devil's Anvil - Hard
Rock From The Middle East – Columbia - CS 9464 – US 1967
Wala Dai 2:40
Nahna Ou Diab 2:57
Karkadon 2:23
Selim Alai 2:25
Isme 5:58
Besaha 1:53
Shisheler 2:47
Kley 4:38
Hala Laya 2:47
Treea Pethya 2:22
Misirlou 3:00
5 commenti:
Racconto come sempre emozionante. Io, comunque, lo acquisterei :)
Incredibile…in un primo momento pensavo si trattasse di un fake. :)
Bentornato.
Dio benedica gli anni '60. Dove tutto e il contrario potevano tenersi teneramente per mano.Così come Oriente ed Occidente. E questo disco ne è la riprova.E' una gustosa e ricca macedonia.La matrice è la musica popolare greca,magrebina, mediterranea in genere che poi viene felicemente contaminata da rock.Così,senza batter ciglio,con ingenua noncuranza. Per quegli anni è veramente un'operazione ardita e sicuramente originale.Ma è questo fottersene dei canoni,degli stilemi delle culture delle tradizioni che certe volte mi piace tanto.
Dio e Allah benedicano questo post!
Gia' sarebbe il caso che Dio, Jahve' , Allah facessero pace... magari non sotto l' egida americana. Ma in questo caso, tutto sommato...il rock l' hanno inventato loro...concediamoglielo.
Buon ferragosto a tutti ragazzi!
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