Inizia con un montaggio estemporaneo di grida,
rumori, sbarre e catene, sirene antiaeree, squassi di trombe abbandonate nei
golfi mistici deserti dei teatri di città. In alto, i gerarchi, i massimi
ufficiali, i dignitari e i ministri allungano il collo spennacchiato scrutando
di sotto. Loro non sono soldati, ma burocrati; non sono statisti ma contabili;
non intellettuali ma ideologi Non hanno la divisa, vestono in giacca grigia.
Non hanno nemmeno la pistola al fianco. Si difendono con l’ignoranza altrui.
Dave Anderson carica un riff incalzante di basso e
i chitarristi gli si lanciano appresso inscenando una blues-jam tra Wheels Of
Fire e il Bloomfield di East-West, forti di una percussività ancora sconosciuta
e di uno sfondo nero ripescato da Stooges o Doors o Velvet o Stones; o da
tutti, contemporaneamente. Mentre il rock britannico, con le cerebrali
improvvisazioni di Clapton, aveva
scoperto un insospettabile tasso di autoreferenzialità, tanto grande da farlo
presto sprofondare, nella bassa Baviera, ma anche a Colonia, a Dusseldorf, ad
Amburgo i pionieri tedeschi ricostruivano da capo le regole del gioco. L’organo
di Rogner indulge sulla stessa nota per minuti interi, profondo nel mix, per
poi emergere, di tanto in tanto, sfiatando arabeschi come Manzarek in When The
Music's Over o Doug Ingle da qualche parte in In-A-Gadda-Da-Vida, mentre Erik
Braunn imita il barrito dell’elefante sulla Gibson. E’ un quadro di Bosch che
prende vita, sono i Grandi Capi del Nazismo prigionieri della loro stessa
torre, rinchiusi su, in cima. Il rito ha inizio. Si risveglino le creature del
passato: i Titani, i Giganti, le Gorgoni, il Minotauro, spiriti celesti
zoroastriani, Jinn arabi. Tutti diano l’assalto finale al monolite del pensiero
assolutista e negazionista. Il pensiero che nega l’altro, chiunque esso sia;
che nega la diversità, la multiformità. La difformità e la malattia. La musica
rinforza, una nuova pellicola sulla cinepresa. Il regista non manca un attimo
della performance: il gruppo spinge sull’acceleratore, un rave-up cosmico quasi
illumina tutta la cantina di pietra. Dopo dici minuti di improvvisazione
furente, Karrer si rimpossessa del violino: secondi di silenzio, una melodia
gentile appena accennata. I Fauni di tutti i boschi danno l’assalto definitivo
alle sfiancate SS. Combattano con frasche di salice e rami di quercia, al ritmo
di tabla, tamburelli e batterie: un arsenale pacifico che introduce il tema
definitivo in un girotondo enorme e vorticoso. Si schiudono le porte di ogni
rifugio: turchi, africani, arabi, polacchi, ebrei, storpi, deformi, disabili,
omosessuali, matti e profeti si riprendano pure la terra che gli appartiene.
Dopo alcuni minuti di percussioni tanto insistite da creare una tensione
insopportabile, Weinzierl e Karrer legano chitarra e violino a filo doppio in
una danza antica e silvana. Poi il ritmo rallenta e genera il riff più
mostruoso e meraviglioso dell’epoca: l’esorcismo ha inizio.
AKABARA NOW!!!
Seraphine cries how
Minotaurus ran
They broke the magic stick
Is creeping 'round the mill
AKABARA
NOW
Il Minotauro mena fendenti di clava alle fondamenta
della ziggurat che collassa come un castello di carte portandosi dietro
generali, teorici della razza, dittatori e propagandisti. Il girotondo continua
e potrebbe durare in eterno. Il riff che si nutre di sé stesso avanza come la
Ruota dei Tarocchi, scendendo dalle colline verdi e gialle del tramonto verso
le conurbazioni di Monaco, Augusta, e
Ratisbona. Giorni e giorni ha continuato. L’Arte, che fonde in sé le
bellezze più diverse, aveva sconfitto il Mostro.
Il Principe Viaggiatore non aveva mai assistito ad
un rituale di quella portata.
Un sole umido sorgeva dietro le colline del Simsee
quando la chitarra di Weinzierl, stremata, si assestava su un riff rallentato,
rubato ai Kinks di Come on Now. Le truppe alleate avevano sfondato ogni
resistenza, Patton avanzava sicuro sull’ Austria, mentre lo sterminato esercito
dalla Stella Rossa aveva in mano la capitale. I Fauni, le Gorgoni, il
Minotauro e i Titani tornarono ad
assopirsi tra le felci del sottobosco.
La cinepresa ancora riprendeva immobile il gruppo
avviato al termine di una maratona sonora che allora aveva pochi rivali nel pur
debordante panorama musicale del suo tempo. La luce era entrata gioiosa dal portone finalmente spalancato,
illuminando una stanza ormai vuota. Tutte le diversità erano libere nel Mondo,
percorrendolo senza più nascondersi, arricchendolo con le loro storie, le mille
lingue diverse, i vestiti dalle fogge sgargianti.
I ragazzi del gruppo avevano già riposto gli
strumenti: non serviva un veggente per predire loro un futuro di luminosa e
misconosciuta Arte.
Il regista impilava meticolosamente le scatole di
pellicola; la cinepresa era ancora ritta sul treppiede, pronta a divenire il simbolo
supremo di una nuova e subdola dittatura. Ora, spenta, non emetteva nessun
rumore; nessun ronzio di insetto metallico. Faceva meno paura.
Il principe Viaggiatore ripose nel suo zaino una
copia di Phallus Dei, ammirando a lungo quella copertina bluastra che sembrava
uscita dalla tela di Friedrich.
Poi, girato il cavallo, lo spronò verso un tempo
lontano, attraversando i filari scuri di querce su cui si infrangono le onde
della Musica Perfetta.
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