They said it was blue When the boold was red
That's is how you got a bullet blasted through your head!
Il quadro che comporta le “inevitabili perdite”, i “necessari
sacrifici”. Dalle guerre in Pakistan e in Afghanistan siamo assuefatti alle
parole, nessuno più presta attenzione al loro vero significato; uccidiamo,
bombardiamo, lanciamo missili teleguidati dai cortili di casa senza accelerare
i battiti né accorciare il fiato.
I give a shout out to the living dead Who stood
and watched at the feds cold centralized So serene on the screen You was
mesmerized
Lo vedo nel piccolo schermo televisivo; grasso, unto, la spilla blu
sul risvolto della giacca, si asciuga la fronte con un fazzoletto bianco; legge
qualche parola da un foglio che tiene in mano con finta disinvoltura. A vederlo
da questa parte del mondo appare un ridicolo figurante che recita malamente uno
scarso copione.
No escape from the mass mind rape Play it again
jack and then rewind the tape!
Ho bisogno di una sigaretta, subito. Chiedo al ragazzo che mi sta
davanti; lui si volta come un vegetale, rotea gli occhi, mi fa cenno di no,
impercettibile. Poi scopare dentro un armadietto sudicio accanto al letto.
Dormirà lì dentro, senza riemergerne per giorni, mentre io, per tutta la notte,
mi rigirerò tra coperte pungenti in preda ai crampi e ai dolori ala testa.
Nella camerata siamo 54, tutti tengono gli occhi bassi: 108 occhi fissano un pavimento grigio, sporco di pioggia
e sangue. Sopra la porta c’è un orrendo crocefisso intagliato nel legno ricurvo
tra spasimi agonizzanti. With God On Our
Side! Qualcuno respira affannosamente all’angolo dello stanzone; altri
cercano una sigaretta, molti una dose di Pristiq. Siamo esausti dopo una
giornata passata in viaggio tra Fukuoka e Satsumasendai. Domani mattina
arriverà qualche tenete con la fronte alta e rughe represse nascoste sotto il basco
rosso. Ci assegnerà alle nostre postazioni; qualcuno sarà di stanza a Camp
Carrol o Camp Sears, Sud Corea; altri terranno le posizioni nella prefettura di
Kagoshima, forse qualcuno verrà anche imbarcato per Taiwan, la testa di ponte
per la fantomatica invasione che aspetta solo un ordine da Washington.
Trascorro la notte fissando la trama reticolare della branda sopra la mia. Non stacco lo sguardo.
Nell’ultimo letto della fila, due ragazzi si iniettano una siringa marrone in
vena; cocaina o antidepressivo, forse. L’esercito è diventato molto più
permissivo con le droghe, soprattutto con gli eccitanti, o gli steroidi anabolizzanti; preferiscono un mucchio di
schizzati ipercinetici e adrenalinici, che non distinguono il bene dal male,
piuttosto che masse di giovani depressi che si masturbano pensando alla
fidanzata che non vedranno per mesi, che accumulano dubbi adolescenziali su ciò
che stanno facendo. Sono vent’anni che il sistema sanitario pubblico è al
collasso per mantenere masse di reduci mutilati e paranoici: così si va
all’attacco all’arma bianca, come nella prima guerra mondiale; un sergente
mette il fischietto in bocca e noi ordinatamente avanziamo. Sarebbe contro ogni
regola d’ingaggio degli ultimi sessant’anni..ma questa volta non abbiamo contro
qualche straccione talebano col kalashnikov.
Questa volta mica sono umani.
Con la scusa del pericolo globale il Congresso ha fatto passare nuove
direttive per l’approccio alla battaglia; regole d’ingaggio ridotte all’osso,
talmente interpretabili che praticamente si può fare di tutto. Ai posti di
blocco non si chiama più l’alt; c’è un cartello duecento metri prima dello
sbarramento; non lo hai visto? Beh, non certo è un problema di quel ragazzino
messicano che è alla Browning M2, non credi?. Non si possono lasciare prigionieri, ma il vero obbiettivo è di
riportare a casa il minor numero “accettabile” di noi. “Accettabile?”
“Si, un numero che la retorica melliflua dei media riesca a camuffare
da necessità inderogabile delle operazioni, che la gente possa percepire come
inevitabile, o addirittura giusto.”
O sani o morti; non a carico. Una roba del genere vent’anni fa avrebbe
riempito le piazze di manifestazioni, dissidenti, vecchi hippy ottuagenari,
Occupy Wall Street, Indignados del New Mexico, residuati No Global con berretti
peruviani e Black Block paramilitari nord - europei. Oggi tutti hanno troppa
paura: accettano il macello senza muovere un dito. E fanno bene. Perché hanno
paura. Quella paura che ti prende allo stomaco e che ti fa apprezzare la tua
casetta in affitto a Flint, l’utilitaria italiana che paghi a rate, il lavoro
del cazzo a Walmart. Allora è più facile accettare queste porcate. Ma se veramente
arriveremo allo scontro frontale, non basteranno i sacchi di plastica neri a
nascondere tutto il casino.
Ho la gola secca, e mi farei anch’io una siringa ma non riesco a muovermi
dalla branda; non vedo più nulla attorno; è troppo buio. Ho gli auricolari così
in profondità nelle orecchie che mi fanno male. Ascolto You and Me and Pooneil:
mi piace quel saltare nervoso della chitarra, mi piace soprattutto il basso di Jack
Casady, quando rallenta per poi fare ripartire tutto il gruppo; mi piace Jack
Casady, con la fascia fiorita tra i capelli e gli occhialetti viola rotondi; faccio
finta di essere un ragazzino del Kansas spedito in Vietnam come premio per la
maturità, non vedo l’ora di ammazzare qualche vietcong , non vedo l’ora di
servire un po’ la Nazione, non vedo l’ora che il sergente Elias mi faccia
fumare dalla canna di un M14. Sono eccitato, sono contento di essere un soldato,
sono contento di questa guerra.
Non dura molto.
Ho passato momenti in cui riuscivo ad isolarmi per molto più tempo dalla
realtà, in cui potevo costruire mondi alternativi, credibili e duraturi. Te lo
insegnano in accademia, per sopravvivere in prigionia. Ti insegnano a crearti
una realtà alternativa, nella tua testa, piena di persone e particolari. Ci
puoi mettere dentro conoscenti, luoghi che hai visitato, in cui hai trascorso
le vacanze; ma non amici stretti o famigliari, sarebbe uno shock emotivo
difficile da controllare. Più questa realtà alternativa sarà particolareggiata
e funzionante, più riuscirai a tenere duro in prigionia. Più sarà verosimile
quest’impalcatura, più sarai resistente ad interrogatori e torture. La mia prima
identità di copertura fu venditore di auto usate a Fresno; poi albergatore a Portland.
Ma erano cazzate che non si reggevano in piedi. Allora ho deciso: soldato
semplice in Vietnam. Su e giù dagli Huey, le sigarette nella retina
dell’elmetto, mazza da baseball al posto del coltello. Mi immagino di
fracassare il cranio dei vietcong; anzi immagino una vera e propria partita in
cui ribatto così forte che la testa di Charlie si stacca dal collo e vola fuori
campo. Tutti si mettono a ridere. “Home run, ragazzi, è home run!; cosa avete
da ridere? “ Non ha funzionato neanche quella. Pensavo: guerra per guerra,
tanto vale inventarsene una in cui rimango vivo.
Ora ho ripiegato sulla musica. Ho un vecchio lettore mp3 che mi porto
sempre dietro. Apparteneva a mio padre. E’ quasi un pezzo d’antiquariato. C’è
chi li colleziona e sborsa bei soldoni per un rottame così. Ripiego sulla
musica e me la sparo dentro come una dose. Mi scende per le orecchio dritta al
cervello. Una pallottola. Faccio finta di essere un DJ degli anni ’60, di
quelli misteriosi, che trasmettevano da navi ancorate in acque internazionali.
Nessuno mi vede, nessuno mi conosce. Me ne sto dentro la stanza a vetri, con la
luce rossa “on air” dietro di me e pile di 45 giri davanti. Li metto su uno
dopo l’altro, raccontando storielle sconce nel mezzo. Ogni tanto metto su un LP
intero, lo faccio andare tutto quanto senza dire una parola in mezzo. Dum dum dum duuum; mi piace il basso.
Suonerei il basso se fossi in un gruppo. Una volta l’ho anche fatto ma non
beccavo mai la corda giusta. Così per un po’ feci il cantante degli SD4, Screaming
Dement Four, una band da liceali orrendi. Il disco continua a girare; lo fisso
nella mente. Gira e quasi mi ipnotizza. Mi sveglio.
Continuo a fissare la rete sopra la mia testa. Sopra di me dorme un
certo Mike Nesmith, un ragazzino bianco di Huston. Io credo che sia un
infiltrato degli Affari Interni. Ce ne sono ovunque, li scelgono giovani e
inoffensivi per non destare sospetti. Devono guardarsi attorno, ascoltare i
discorsi degli altri soldati, buttare lì domande del cazzo tipo “Allora, cosa
ne pensi di questa missione?” “Pensi sia
una buona decisione?” Hai sentito del colonnello? Lo hanno beccato mentre si
faceva Snuffy Johns nei bagni del 4°! Forte eh?” Conversazione banale tra chi
non vuole conoscersi per non dovere perdere un amico. Poi li vedi prendersi
appunti sui risvolti della camicia o sugli scontrini della lavanderia a
gettoni, i bastardi. Devono controllare la fedeltà delle truppe, il loro
rispetto delle autorità, il loro decoro.
Lasciano che ci droghiamo al limite della dipendenza ma non tollerano
che diciamo “cazzo” e “America” nella stessa frase.
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