Wow, la colonna sonora del Breakfast
Club! Non vedo l’ora di essere abbastanza vecchio per apprezzare questa roba!
(Futurama - Il quadrifoglio)
Captain
Beefheart. Partiamo da lui.
Mi
piace; alcune cose di più (Mirror Man, Safe as Milk), altre di meno (Strictly
Personal, Shiny Beast) ma ormai sono ben convinto che la sua musica mi piaccia.
Non è una posa snob né radical chic. Non potrei dare lo stesso giudizio, per
esempio, a tanta parte della scena di Canterbury, al Jazz Rock dei Weather
Report o a mostruosità come Metal Machine Music. Nè a tante altre nicchie super
trendy ed alternative.
Captain
Beefheart è uno degli artisti che mi piace, sono sincero.
E
qui cominciano i dubbi. Se faccio rapidamente mente locale mi rendo conto che
brani come Dachau Blues o Flash Gordon's Ape li ho in realtà ascoltati
raramente rispetto a canzoni assai differenti, magari anche di altri artisti,
come No Fun, Gris-Gris Gumbo Ya Ya o la stessa Electricity. Tutto quanto Trout
Mask Replica l'avrò sentito per intero un terzo delle volte che ho ascoltato
altri album come Granicus, Paranoid o Elephant.
Ma
non ne faccio una questione riguardante solo il Van Vliet.
Posso
fare lo stesso discorso per i Fushitsusha di Keiji Haino. Un primo Live
annichilente, mostruoso. Comprai il CD su E-bay a Hong Kong… Un album da usare
con cautela. Stessa cosa con Caspar Brötzmann e Chrome. Grandi album, scarsi
ascolti.
Se
penso poi a quali dischi abbia consumato di più...i risultati sono quantomeno
"imbarazzanti".
Il
primo che mi viene in mente è Heartbreak Station dei Cinderella. E nemmeno
posso dire che è un ricordo di gioventù, avendolo acquistato 5 o 6 anni fa al
massimo. Let There Be Rock è un altro must,
assieme ad Happy Trails. Dall'altra parte stanno numerosi LP, tante
canzoni che sono sinceramente convinto siano capolavori, che sono sinceramente
convinto di amare e di trarne piacere nell'ascolto... ma che raramente
finiscono sul piatto.
Allora...è bello ciò che piace o piace ciò che più si
ascolta?
Ovvero:
quanto vale il giudizio che diamo di un’opera e quanto vale l’uso (l’ascolto,
nel nostro caso) che ne facciamo? Le due cose non sempre vanno di pari passo.
C’è una gerarchia? Forse se parlassimo d’abbigliamento sarebbe più facile:
scarpe bellissime, eleganti ma tremendamente scomode, le adoro ma non le metto
mai… Le donne sono certo, capiranno bene!
Ma
in arte, o per lo meno in “musica leggera” l’utilità è una categoria esistente, utile o perfino discriminante?
Lo
confesso: le occasioni in cui ho ascoltato tutta
quanta Sister Ray le conto sulle dita di due mani. Ok, di una. Dei 20
minuti live di Whipping Post sono arrivato alla fine al primo ascolto, poi una
volta in treno per Firenze e ancora forse in un paio di occasioni. Facile
direte: sono pezzi eterni, mica è facile gestirli! Non è del tutto vero. Halleluhwah,
19 minuti, non smetterei mai di sentirla. Ma non basta.
Ritengo
i Ramones un gruppo di reale rottura, nella musica, nel look,
nell'atteggiamento. Mi stanno pure simpatici e molti dei loro pezzi
letteralmente mi elettrizzano. Bè, poche volte sono riuscito ad ascoltare per
intero, senza pause, Leave Home o Rocket to Russia. Con Highway To Hell o Fire Of Love nessun problema. Stesse
difficoltà coi Nirvana, con i Pearl Jam. Con Henry Rollins sto ampiamente rimediando.
Quindi?
Dove sta l'errore?
Passa
il tempo e mi rendo conto di apprezzare
alla follia artisti che in realtà non ascolto; e di non provare sentimenti
o considerazione particolari per altri che sono sempre nello stereo.
A
volte è pigrizia, spesso indolenza e mancanza di curiosità; ma non solo.
E'
una falsa convinzione che certa musica mi piaccia? Forse piace alla mia testa e non al mio corpo. Ascoltiamo solo con le
orecchie, o anche con i piedi? Con la pancia, magari.
Poi
l'illuminazione: la birra.
Una
bella birra bionda alla spina, chiara, fredda. Perfetta. Chi tiene il conto di
quante birre così si bevono in una vita? Centinaia, anzi, spero migliaia! E
dire che sono sempre uguali; tolgono la sete, alleviano un poco i problemi.
Ho
certo bevuto molte più birre di quanto non abbia bevuto calici di Morellino di
Scansano o Sirah, che pure adoro.
Perchè?
Perchè rispondono a bisogni diversi.
Risolvono
differenti esigenze della psiche, della fantasia, del palato e del corpo.
Agiscono su differenti recettori del piacere, con intensità diverse, tempi
diversi.
Sarà
mica così anche per la musica?
Una
canzone può rispondere ad un immediato bisogno di ritmo, di evasione, di sesso
o di rabbia (Back in Black, Simpaty For The Devil, American Woman in ordine
strettamente casuale) un'altra può risolvere esigenze di introversione, autoanalisi,
solitudine (River Man, Lorca, Void…).
E'bello ciò che piace o ciò che risolve
un bisogno?
Io
so che possiamo acquistare, collezionare, ascoltare centinaia, migliaia di
dischi e canzoni; non so quanti di essi possiamo
veramente dire di amare. Quanti di essi risolvano un “bisogno”. Credo un
numero limitato; i sentimenti intensi sono selettivi.
Ricordo
quello che diceva un vecchio Guru Psichedelico che smerciava vinili di seconda
mano a qualche fiera, anni fa:
“Puoi ascoltare tutto quello vuoi, dischi
rari, introvabili, capolavori nascosti; eroi dei critici ed eroi del popolo. Ma
alla fine non saranno mai più di dieci quelli che potrai dire di amare davvero,
incondizionatamente; da ascoltare in ogni momento, sia esso triste o felice.
Alla fine si torna sempre lì. Sono sempre
quei dieci dischi.”
E’
un pensiero un po’generico, che non condivido del tutto pur avendo la
convinzione che ci sia qualcosa di vero.
8 commenti:
una perla di sincerità.ti apprezzo molto evil, molto.ciao
Ancora un'interessantissima riflessione sul rapporto che abbiamo con questa nostra passione.
Trovo che siano sagge le parole del guru, ma non le condivido fino in fondo. Mi sento invece più vicino al ragionamento che fai tu: è importante quello che ci chiede il nostro corpo, il bisogno che sentiamo debba esser appagato, anzi, è fondamentale.
Non c'è niente di peggio di una canzone che amiamo ascoltata al momento sbagliato. Diventa una pietra al collo, un sudario di fastidio e sofferenza che non riusciamo a scrollarci di dosso. Molto meglio quando casualmente, girando tra le stazioni della radio o magari usando lo shuffle del lettore, ci imbattiamo in quel pezzo che non è esattamente il nostro preferito, ma in quel momento suona dannatamente bene, come un panino crauti e salsiccia quando hai fame che, essendo astemio posso solo immaginare, si sposa perfettamente con un birrozzo.
Personalmente, fatta eccezione per Springsteen, ascolto pochissimo i miei gruppi preferiti, perchè poche sono le occasioni in cui valga la pena di ascoltarli, mentre per tutto il resto è solo una questione di scelta, poco importa il momento. Questo non significa che però trascuri ciò che amo, anzi, perchè so che quando ne ho bisogno (e qui si torna al discorso di prima, fisiologico) quei pezzi mi faran godere come gli altri non san fare e non agiranno come cerotti sulle sofferenze quotidiane, ma saranno piuttosto il sacro nettare bevuto direttamente dal Santo Graal, l'acqua dell'oblio del fiume Lete.
...anche questo è un tema intrigante, che mi ha dato parecchio da pensare.
Per cui provo a dire:
è bello cio' che suscita il tuo desiderio..
E' una grossolana semplificazione?
Eh, già il momento diventa determinante.
Quanto cambia l'esperienza d'ascolto al cambiare del "contesto"?
Potrebbe essere un nuovo argomento!
da non maniaca della musica e tantopiù da non collezionista, oltre che da assoluta non conoscitrice di quasi tutti i gruppi che citi nei tuoi post (vivevo in un'altra galassia!), credo che si vada istintivamente verso un genere e una voce a seconda dello stato dell'anima in cui ci si trovi e che quindi si abbiano sì delle inclinazioni che sono tuttavia surclassabili alla bisogna!
Riflessione interessante.
Il bello esiste di per sè, o è piuttosto pesantemente influenzato dall'abitudine?
E, nel caso, magari anche in maniera inversamente relativa?
Voglio dire.
Certamente quando eravamo giovini, avevamo meno dischi da ascoltare, perchè costavano troppo e per mille altri motivi.
Quindi, anche quel disco che di primo acchito ti lasciava un po' interdetto lo riascoltavi comunque, che tanto per un bel pezzo non avevi altri soldi per comprarne un altro.
E così alcune cose ti "entravano" sotto pelle, piano piano.
Magari più per tua abitudine che per il loro reale valore?
Ma anche, al contrario.
Ricordo di aver spesso cercato di NON ascoltare troppo un disco che mi piaceva moltissimo, proprio per non correre iòl rischio dell'abitudine.
Perchè c'erano anche i dischi che, a furia di ascoltarli, alla fine ti uscivano dalle orecchie: belli, ma non ne potevi più.
@alle: quello di non ascoltare "troppo" certi dischi è un'abitudine che conosco bene e che anzi ha in parte ispirato questa mia riflessione.
E' curioso... dischi che amiamo, che ci piacciono...e che teniamo come sotto una teca di cristallo!
E' interessante questa riflessione come lo sono le risposte che mi precedono.
Mi sono ritrovato spesso ad "autoanalizzarmi" sul perché mi piace questo o quello, sia chiaro, non con sedute psicoterapeutiche ma per il solo gusto di capirne il significato.
Vari sono i motivi e le situazioni ma tutti devono avere lo stesso comun denominatore: scuotere, stimolare, accapponare la pelle, altrimenti è "roba" generica. Un mio limite è quello di essere premeditato su "generi" o su "commerciabilità" musicale, diventando un ostacolo e creandomi "pre-giudizi" molte volte infondati. E allora quanto conta la mia testa e quanto conta la mia pancia? Quanto "mi piace" razionalmente, e quindi con motivazioni social-storic-geo-economic-bla-bla-bla... e quanto "mi piace" illogicamente perché mi agita, mi scrolla, mi commuove?
Ci sono spazi e motivi per entrambi, è solo il contesto che cambia e ha importanza, il resto non conta.
E, arrivo al motivo di questa mia. Alla fine: "La somma di quante volte un cd suona nel tuo lettore musicale è uguale alla somma di quanto il disco ti piace" è quello che conta.
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