The House Of The Rising Sun
"House Of The Rising Sun", that old
story of New Orleans’ joint and its world of misery and depravity, had always
been a delicacy. Many had sung it, bending from time to time to their musical
needs. Nina Simone ("At The
Village Gate", 1962) had made it a nightly jazzy atmosphere, and listening
to it, seems to see the spread of smoke in the room. Woody Guthrie did not betray the storytelling’s popular spirit: an
all narrative cut, like a crime news in the fifth page. The old bluesman Josh White, from a first recording even
in 1942, had built a twilight and dilated epic, like a Chandler’s page, using a
vocal line suspended on long vowels and an arrangement with piano and trumpet
of grim charm.
Is with this version in
the head, says bassist Chas Chandler, that The
Animals entered in the studio, in February of 1964, to record the song. The
RnB band from Newcastle had already released an adaptation of a folk number, Baby,
Let Me Take You Home (derived from "Baby, Let Me Follow You Down,"
already on Dylan's debut), but this time the things would have been different.
Alan Price, keyboardist and musical leader, had set up a fighting and rampant arrangement,
all played on the warm tone of his organ, the dark voice of Eric Burdon and the
undeniable working –class style of all the combo. Difficult, however, to think
that the group did not know the version just recorded by Dylan (again on his debut LP, in 1962), whose descending guitar
line is full taken by Price’s keyboard.
The song is opened by
a western arpeggio by Vestine, before being led, in the first two stanzas, by
the crescendo controlled but dramatic of the singer, who comes to a climax with
real pathos ("And the only time he's satisfied Is When He's on a
drunk"); Price then, in the song’s barycentre, unleashes the best organ solo of the era:
symmetrical, concise: perfect. The music start again, but the crescendo is
repeated in the last two stanzas, in which even Vestine's guitar becomes more
insistent to support the last declamation of a truly visceral Burdon. At the
end it turned out a song of more than 4 minutes, an eternity for that era. So
much that in EMI they were doubtful of a song they thought long and perhaps
boring; incredibly Mickie Most, producer of the band and a true artist of the
fade-outs at 2'30'', believed in the song that was well distributed both in
England and America, albeit with some "cut".
"House
of the Rising Sun" jumped on “top of the pop” on July 7, and remained
there for a week before giving way to the Stones’new release. In America was
again No. 1. It was undeniably a rock song, rampant, rhythmic, yet serious,
even dramatic, steeped in realism, different from the standards of the era who
sent fifteen into raptures. It was the first rock hit to take whole home from
the popular heritage of the old white American, to which were devoted folk
giants as Guthry or Pete Seeger, who had nothing to do with the '60s British
charts, far more inspired by the blues. And of this Blues were disciples the
Animals: twisting with their electric charge a piece of an old folk singer, had
found success, but the song will remain unique in their catalog, much more
generous with references to the black music.
All this
was the prelude of what would have happened exactly one year after in Los
Angeles January 1965, when a group of novice twentys, who called themselves the
Byrds, entered in the studio to cut a traditional, "Mr.Tambourine Man”... (to be continued...)
The House Of The Rising Sun
“House Of The Rising Sun”, quella vecchia storia del bordello di New
Orleans e del suo mondo di miseria e depravazione, era sempre stata un boccone
prelibato. L’avevano cantata in tanti, piegandola di volta in volta alle
proprie esigenze musicali. Nina Simone
(“At The Village Gate”, 1962) ne aveva fatto un jazz d’atmosfera notturna e, ad
ascoltarla, sembra di vedere le volute di fumo spandersi nella sala. Woody Guthrie non aveva tradito lo
spirito popolare del cantastorie: un’esecuzione tutta narrativa, da colonna di
cronaca in quinta pagina. Il vecchio bluesman Josh White, a partire da una prima incisione addirittura nel 1942,
ci aveva costruito dentro un’epica crepuscolare e dilatata come una pagina di
Chandler, utilizzando una linea di canto sospesa su vocali lunghissime e un
arrangiamento con pianoforte e tromba dal fascino sinistro.
E’ con questa
versione in testa, sostiene il bassista Chas Chandler, che gli Animals entrarono in studio nel
febbraio del 1964 per incidere il pezzo. Il gruppo Rn’B di Newcastle aveva già pubblicato
l’adattamento di un pezzo folk, Baby, Let Me Take You Home (derivato da “Baby,
Let Me Follow You Down”, già sul debutto di Dylan), ma questa volta le cose
sarebbero andate diversamente. Alan Price, tastierista e leader musicale, aveva
allestito un arrangiamento combattivo e rampante, tutto giocato sul tono caldo
del suo organo, la grinta vocale di Eric Burdon e l’innegabile classe di tutto
il combo. Difficile però pensare che il gruppo non conoscesse la versione
appena incisa da Dylan (sempre sul suo LP d’esordio, nel 1962), il cui giro
discendente di chitarra è ripreso in toto dalla tastiera di Price.
Il brano è aperto da
un arpeggio western di Vestine, per poi essere condotto nelle prime due strofe
dal crescendo controllato ma drammatico del cantante, che arriva al climax con
vero phatos (“And the only time he's satisfied Is when he's on a drunk”); poi è
Price, nel baricentro della canzone, a sfoderare il migliore assolo d’organo del periodo: simmetrico, conciso; perfetto.
Il brano riparte ma il crescendo si ripete nelle ultime due strofe, in cui
anche la chitarra di Vestine si fa più insistente per sostenere l’ultima
declamazione di un Burdon realmente viscerale. Alla fine risultò un pezzo di
oltre 4 minuti, un’eternità per l’epoca. Tanto che alla EMI erano dubbiosi su
un brano che ritenevano lungo e forse noioso; incredibilmente Mickie Most,
produttore del gruppo e vero artista del fade-out ai 2’30’’, credeva nella
canzone che venne così distribuita sia Inghilterra che in America, pur con
qualche “taglio”. “House of the Rising Sun” balzò in testa alla top ten dei
singoli il 7 luglio e vi rimase per una settimana prima di lasciare spazio alla
nuova uscita degli Stones. In America replicò il successo e fu di nuovo n°1. Era un brano innegabilmente rock, rampante,
ritmato; eppure serio, addirittura drammatico, intriso di realismo; diverso
dagli standard dell’epoca che mandavano in visibilio le quindicenni. Fu il
primo successo del rock a trarre interamente origine dal patrimonio popolare
dei bianchi d’America, a cui erano devoti giganti del folk come Guthry o Pete
Seeger, che nulla avevano a che fare con le charts inglesi degli anni ’60, ben
più ispirate al blues. E proprio del blues erano discepoli anche gli Animals;
stravolgendo con la loro carica elettrica un pezzo da vecchio folk singer,
avevano trovato il successo; ma il brano rimarrà un unicum nel loro catalogo,
ben più prodigo di riferimenti alla musica nera.
Tutto questo fu però il prologo di ciò che sarebbe successo
esattamente di lì ad un anno quando, a Los Angeles nel gennaio 1965, un gruppo
di ventenni alle prime armi, che si facevano chiamare Byrds, entrò in studio
per incidere “Mr. Tambourine Man”... (continua...)
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