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Quattro figure si sbracciavano cercando di farsi vedere: il Principe,
incuriosito, fece cenno all’equipaggio di avvicinarsi. Quattro ragazzi pallidi,
con barbe incolte e capelli lunghi, tre valigie piene di adesivi. Chiedevano un
passaggio verso l’entroterra, una cosa abbastanza comune di quei tempi.
L’imbarcazione del Principe Viaggiatore non era molto ampia ma uno spazio per
quegli autostoppisti di laguna fu trovato. Caricati rapidamente i pochi bagagli,
furono portate a bordo anche due chitarre Gibson e un piccolo Mini Moog “Sonic
6” a 44 tasti, unico superstite di un mastodontico complesso tastieristico
disperso, assieme a batteria, xilofoni e campane tubolari, nei meandri
aeroportuali della Serenissima in un normale pomeriggio di nevrosi.
Incuriosito, il Principe volle saperne di più sui nuovi
passeggeri: erano musicisti della lontanissima Hannover nel Ducato di Brunswik.
Da oltre un mese in tour nell’Europa dell’est, erano arrivati la sera precedente
da Belgrado dove avevano tenuto un concerto di fronte ad un migliaio di serbi
ubriachi e violenti inneggianti al Partizan e per nulla interessati alla loro musica.
Ripartiti velocemente avevano attraversato l’Adriatico perdendo gran parte del
loro bagaglio, strumenti compresi. La spettacolo di quella sera di fronte a San
Marco era saltato ed ora cercavano almeno di raggiungere Verona per provare a
ultimare le rimanenti tre date del tour o fare definitivamente ritorno in patria.
La pioggia scendeva con più intensità, anche se il sole distante
di settembre trovava ancora qualche fessura nell’umidità.
Il Principe Viaggiatore acconsentì ad offrir loro un passaggio fino
alle campagne di Vicenza. Di li avrebbero forse trovato qualche altro mezzo per
giungere a Verona. Frank Bornemann, chitarrista e fondatore del gruppo, abbozzò
un sorriso sotto quel suo strambo cappello floscio; anche gli altri tre
apparvero finalmente più tranquilli: tutta la tournèe stava andando a rotoli,
ma finalmente la sfortuna sembrava essersi dimenticata di loro per una sera.
Si erano scelti un nome, Eloy, arcano ma pieno di
significato: appariva nel racconto “La macchina del Tempo” di H.G. Wells,
scrittore inglese piuttosto sconosciuto. Gli Eloy erano una razza umana a cui
era stata data la possibilità, grazie al viaggio temporale, di ricominciare
daccapo in un futuro lontanissimo, per non ripetere gli errori commessi dalle
passate generazioni. Un nuovo inizio. A sentire Borenmann, questo “nuovo
inizio” doveva essere un riferimento alla nascita di una nuova scena rock
tedesca: uomini, musicisti nuovi. Arte nazionale e originale; una tipica idea titaneggiante in puro stile
teutonico. In realtà per qualche anno funzionò: il gruppo aveva già inciso cinque
album ed era in giro per l’Europa a promuovere l’ultimo lavoro, quello che li
avrebbe dovuti consacrare definitivamente. Purtroppo, la ”nuova musica” degli
Eloy aveva poco a che fare con la folle sperimentazione Kraut che diede, se non
fama, almeno un’aura mistica a colleghi come Ash Ra Tempel, Can o Faust.
Borenmann aveva cambiato formazione forsennatamente per anni e alla fine, pur
suonato con perizia e ottimamente prodotto, il suo rock sembrava una
traslitterazione continentale del peggior Prog anglosassone. Altra era la
musica che interessava il Principe Viaggiatore, specie in momenti di tale
decadenza culturale. Eppure anche lui si ricordava di un album, Dawn,
che quel gruppo di ragazzi pallidi e trasandati, che occupavano ora metà della
sua barca, aveva inciso l’anno prima. In verità era più la copertina che la
musica a ritornargli alla mente: una copertina che molti avrebbero giudicato
insipida, alcuni addirittura brutta: una fotografia del mare all’alba che
sembrava buona per qualche illustrazione di fotoromanzo. Eppure quel gradiente
caldo che pervadeva tutta la figura, la luce riflessa sull’acqua, lo scintillio
del logo erano lontani anni luci dall’espressionismo rigoroso del Kraut-Rock
dell’epoca. Sembrava quasi un presagio di New-Age. L’album si risolveva come
un’interminabile ode al Sole e alla Luce quali principi vitali del cosmo ed era
zeppo di riferimenti agli Yes.
Ma quando Detlev Schmidtchen estrasse dallo zaino una copia
dell’ultimo LP da offrire in regalo al Principe, le cose sembrarono acquistare
un senso.
Ocean traslava tutte le
tonalità gialle di Dawn verso ogni possibile variazione dell’ azzurro. Il mare,
che nel lavoro precedente era solo un espediente di copertina, era qui il
fulcro della composizione. Dopo la Luce, l’Acqua: gli Eloy parevano decisi ad
indagare ogni elemento generatore per cercare al suo interno quella scintilla
vitale da cui Tutto scaturì. Dopo Apollo, Poseidone.
E mentre i quattro ragazzi, un po’ timidamente ma con passione,
cercavano di raccontare la loro musica a parole, di acqua attorno a loro ce
n’era in abbondanza. Le spigolose vele quadrangolari della bragagna erano state
issate dai tre uomini dell’equipaggio mentre il timoniere fumava lento una pipa,
ancora ricurvo sulla liscia barra di quercia. Lasciato il canale della
Giudecca, la barca era nel bel mezzo della Laguna che risplendeva di un
metallico verde scuro a striature bluastre che inghiottiva perfino il grigio del
cielo, il quale andava aprendosi di sprazzi rossastri serali. Sulla destra lo
scoglio di San Giorgio in Alga era battuto dal vento; su quel lembo di terra si
ergeva il monastero dei Canonici Regolari ormai del tutto nascosto dai pioppi.
Entro quelle mura si diceva fosse custodita una delle più preziose ed inaccessibili
biblioteche della cristianità, in cui erano celati testi tanto rari e potenti
da far correre voce che persino Köprülü Fazıl Ahmed, gran Visir ottomano,
stesse progettando un’incursione navale in Laguna per distruggere quel
patrimonio. Il monastero fu una tale fucina di cultura da portare, duecento
anni prima, Gabriele Condulmer al soglio pontificio col nome di Eugenio IV: mai
persona così illustre venne da un fazzoletto di terra più piccolo di quello.
IMMAGINI
W. Turner - Venice, a storm (1940)
Eloy - Dawn
Eloy - Foto per la copertina di Ocean (1977)
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1 commento:
Tanti auguri di Buon 2012, caro Deadman.Come al solito,un post strepitoso :)
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