Randy era di nuovo senza lavoro ma a questo punto l’incontro tra i
Blue Cheer e il Virtuoso Solitario fu l’inevitabile
happening tra due mostri sonori: erano i musicisti che avevano fama di
utilizzare il maggior numero di amplificatori sulla costa Pacifica e il loro
matrimonio pareva celebrarsi in cielo. Randy raggiunse i Blue Cheer nel 1968 in
tempo per incidere il lato B di New!
Improved!, un album che segnò il distacco del furibondo trio di Dick Peterson
dallo stoner motociclistico degli esordi. Alla chitarra, al posto di un esausto
Leigh Stephens, un altro Stephens, Bruce e in più il pianista Burns Kellogs. Il
lato A del LP diventò un’ educata collezione di bozzetti west-coast, tra il
folk elettrico di Dylan e le divagazioni soffuse di Jerry Garcia (ma l’appeal
“southern” di Aces & Heights non
è male). Con l’ingresso in scena di Holden il tono cambia drasticamente: tre
brani, due molto estesi, concepiti come una suite lunga tutto il secondo lato che
si riallaccia idealmente alla What Can I
Do for You degli Other Half, privilegiando al mordente rock n’ Roll una solennità contemplativa e a tratti
ridondante.
Introdotto da una lunga assolvenza di gong in feedback, il tono profondo
e rilassato di Holden traccia uno dei
grandi classici dell’Hard-Psych, definendo forse per primo la fusione tra i
due stili che si sarebbero presto avvicendati al top delle chart
transatlantiche. Dopo un delicato e ciclico arpeggio orientaleggiante di
placido torpore, gestendo con perizia le sovra incisioni, Holden termina la
solenne Peace of Mind con una
ragnatela di chitarre baritonali e pensose. Lo stesso tono domina anche il suo
cavallo di battaglia Fruit and Iceburgs:
un Hard-Rock che si avvolge ad un riff elicoidale discendente e sinistro
doppiato dal rintocco del basso e sferzato da una linea di canto semplice ma
sottilmente ambigua. Chiude con grazia acustica e pastorale Honey Butter Lover un frammento di “adagio”
che sa di Prog ed è la faccia nascosta della strafottenza sonora di Holden,
segnando un pattern “Hard-Soft” che presto sarà dogma per molti gruppi AOR. Il
sigillo finale del gong di Paul Whaley è anche il sigillo sulla permanenza di
Holden con il terzetto di San Francisco.
La relazione coi Blue Cheer durò giusto lo spazio di circa 15 minti di
musica su disco e di un travagliato tour per gli Stati Uniti; di nuovo incapace
di trattenere buoni rapporti con un gruppo già consolidato, lasciò la compagnia
nel 1969. New! Improved!, di fatto un’opera spuria e di transizione tanto per
Holden quanto per i Blue Cheer, sarebbe stato solo l’anteprima del successivo,
definitivo, lavoro del chitarrista: quel Population
II che è il suo massimo testamento artistico e album oggi di culto assoluto per
collezionisti e appassionati di estremismi da fine anni ’60.
Inciso nel ventre di un teatro dell’opera deserto, con uno
schieramento di 20 amplificatori Sunn collegati in parallelo, sintetizzando
ulteriormente il formato del power-trio rinunciando al bassista, quindi in sola
compagnia di Chris Lockhead, batterista già coi Kak, Holden pesca a piene mani
dal repertorio Hendrixiano pur con un plettro lento e a tratti flemmatico che
sbatte e rimbomba sui tocchi profondi delle corde gravi, manovra la leva e i
pedali con sapiente mestiere e dilata ulteriormente riff e linee melodiche. E’
lui che inaugura il formato minimo e dipolare “chitarra-batteria” riportato in
auge in anni recenti da Black Keys e White Stripes. La foto sul retro della copertina,
in tremendo nero-bianco, bicromatica, ritrae il chitarrista di fronte al muro di amplificatori che si stagliano come
una fortezza sonora alle spalle dei musicisti: 1600 watt di potenza
incanalati nella nuova Stratocaster di Randy, ora tramutata in una vera arma di
distruzione di massa musicale, con un timbro ed un “ingombro sterico”
irriconoscibili in una Fender.
Nei 30 minuti del LP, anche grazie all’originale binomio Strato -
Sunn, Holden forgia il più potente e
profondo sound di chitarra mai inciso fino al ’69. Guitar Song, una opener che è un Programma, è una vibrazione
tellurica, rotonda, plumbea, zeppa di armonici, che emana onde di ampiezza
sempre più dilatata, dal tono bollente che emerge come dal nero di un Big-Bang
acustico tonante. Un paio di anni prima dei Black Sabbath, questo è vero e
proprio Doom in tutta la sua stordente solennità. Holden riprende Fruit & Iceburgs che qui si espande,
tremenda, su svisate di feedback dinosaurini e riff monocordi di basso: una
versione horror di Hall of the Mountain King, che riecheggia in un antro di
vastità insondate. Il tempo è ulteriormente dilatato e il passo della batteria
rievoca l’avanzare di un esercito invasore di SS nel territorio della
Moderazione e della Decenza. La voce è un puro accessorio che insiste su
visioni e toni ormai quasi disperati. Between
Time potrebbe essere una fosca memoria di Jumpin’ Jack Flash in forma
catacombale, che dondola come un Golem
per il ghetto di una pellicola espressionista. Holden dà fondo a tutto il
suo mestiere distorcendo ed elevando a potenza le raffinatezza elettriche del
primo Jeff Beck, adoperando la sua chitarra come un’ apparecchiatura futuribile
per deviare, forgiare e plasmare le onde sonore che stanno attorno a lui. Un unico profondo lamento che si leva da un
golfo mistico deserto fin oltre le quinte spoglie del teatro.
Questo chitarrista genera un sound che è realmente titanico, anche nel
senso mitologico della parola. Un Prometeo finalmente libero dalle catene che
riversa la sua rabbia sottoforma di maree di tetro, livido vibrato. La sparuta
batteria di Lockhead, sommersa da tanto tsunami, si limita a definire i
contorni di figure che Randy puntualmente deforma e riscrive. Con Population
II, Holden inventa il primo modello di
guitar-hero solitario, cacofonico e volumetrico, una forma primitiva di Helios
Creed, Keji Haino, Caspar Brötzmann o qualche integralista “Kraut” della prima
ora in stile Manuel Göttsching. Sarà anche per questo che l’entusiasta
germanofilo Julian Cope riserva per Holden parole di esaltato elogio.
POPULATION 2 is a legendary album for several
reasons, but none more so than because it’s the most strung out, wrung out
ambient hulk of metalwork to rise from the mystic portals that crossed the
1960s over into 1970. When Andrew Marvell wrote about ‘desarts of vast
eternitie’ in the 17th century, he was for sure anticipating Randy Holden’s
POPULATION 2, deffo the most aptly-titled record ever. For it sounds like the
musical equivalent of two loners in the Belfast shipyard, working heads down
and wall-eyed during afterhours to create a solo aircraft carrier of Howard
Hughes-ian proportions. That big, that lonely, that singular – a friendless
featureless musicscape that rivals Skip Spence’s OAR and Klaus Schultze’s
CYBORG for sheer doing-my-thing-till-I’m-damned proportions.
Blue My Mind procede
stentorea e strafottente (I don’t mind, I
don’t care…) come un Classic-Rock notturno in grado da solo di spazzare via
quasi tutto Master of Reality e le sue finte visioni sataniche. Ma il vero
mostro arriva solo alla fine con Keeper
of My Flam: oltre dieci minuti di maratona in quello che di lì a poco
diventerà lo stile dei primi Grand Funk Railroad; un continuo esercizio di assoli e contro assoli con ripartenze
fulminanti, sustain esasperati, silenzi improvvisi, intermezzi spaziali che massacrano
una platea di zombie fatti di Valium e acido.
Fine.
Perché poi, da buon sciamano, Randy Holden, scomparve nel nulla.
Population II fu, teoricamente, l’uscita n° 5002 della Hobbit. Una
post-produzione disastrosa costò addirittura la perdita del master originale,
l’album non ebbe nessuna distribuzione e fu stampato in un numero ridicolo di
copie, peraltro non autorizzate. Il resto lo fece il furto di tutto il
mastodontico equipaggiamento tecnico, fatto che lasciò Holden sul lastrico,
deluso e depresso. Di fatto, lì finì la sua carriera. Passò gli anni seguenti
sempre meno interessato alla musica, dedicandosi quasi a tempo pieno alla pittura, ambito in cui ancora oggi è
attivo (con risultati discutibili…).
Riemerse un paio di volte negli anni ’90 con album di hard-Rock “alternativo”
tutto sommato buoni (pezzi Dark Eyes
o Scarlet Rose…)ma dai titoli
deliranti come “Guitar God”. Certo che se dopo AC-DC prima, Kyuss o Motorpsycho
poi, queste uscite segnano inevitabilmente il passo, è pur vero che
l’ultra-reggae I Sail On Love,
montato su assoli à la Stairway to Heaven, è un brano di notevole impatto
emotivo. Così come l’immane anthem di Prayer
To Paradise, oltre venti minuti di esercizi di stile che ripassano
enciclopedicamente trent’anni di chitarra elettrica da Dick Dale a Hendrix, da
Page a Van Halen, da Blackmore a Slash; una prova di dedizione assoluta che anche
nel nuovo millennio desta un’enorme impressione sonora e si colloca a buon
diritto tra le massime maratone
chitarristiche della musica pop.
Sons of Adams e lo psycho-surf, Other Half e la psichedelica pesante;
i Blue Cheer con il metal classico e quasi mistico. Population II: la
sperimentazione oltre la sfera del suono, oltre il volume o la distorsione. Uno
dei primi grandi affronti del Rock alla Fisica e all’ Acustica.
Randy Holden resta una figura mitologica. Deve esserlo. Un’ eco di un
tempo antico che ancora rimbomba tra pachi vuoti, spettrali.
I suoi contorni sfumati,
incerti, vagamente messianici, circondati dalla candida aureola stellare sulla
copertina cosmogonica di Population II restano la sua più perfetta iconografia.
Ref.:
IMMAGINE: Randy Holden - Psychedelic Lion Fish
3 commenti:
Ieri ho iniziato a leggere il tuo blog dal primo post (Nazareth), vediamo se riesco a mantenermi costante e recuperare tutto :)
Lusingato!!)))
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