“Categorie calviniane” applicate alla Popular Music - L'Esattezza - Parte 1
Cominciamo con un aneddoto riportato da
Stephen Davis nella celebre biografia dei Led Zeppelin “Il martello degli Dei”.
Dietro
le quinte, Relf e il cantante degli Hollies incominciarono a spaccare i vassoi
del refettorio con colpi di karatè. Relf si ruppe tutte le dita di una mano,
che finirono per gonfiarsi come salsicce, e si precipitò nuovamente al bar per
alleviare il dolore. Durante il secondo set degli Yardbirds, Relf era ubriaco
marcio: mentre la band eseguiva i propri classici, scoreggiò nel microfono,
mandò affanculo gli studenti attillati nelle loro divise e poi incominciò a
strisciare sul palco. Quando si rialzò, cadde all'indietro contro la batteria e
dovette essere trascinato via. In mezzo al pubblico, Page si teneva la pancia
dal gran ridere. Per il terzo set legarono Relf con una cinghia all'asta del
microfono e suonarono versioni strumentali di tutti i loro classici. Nei
camerini, dopo lo show, Paul Samwell-Smith abbandonò gli Yardbirds disgustato.
Di storie analoghe ne è piena la storia
recente della musica, oltre che il succitato libro di Davis. Episodi
grotteschi, a volte divertenti, più spesso ad una seconda analisi, alquanto
patetici e deprimenti. Nessuna professionalità, scarso rispetto per il
pubblico, totale mancanza di serietà e impegno sul lavoro. Il modo in cui conciliare l’esattezza necessaria alla “hit
perfetta” con il giovanile disordine dei suoi esecutori è uno dei temi
interessanti della musica commerciale moderna. Anzi da questa continua
tensione, questa lotta tra sregolatezza e necessaria professionalità ha spesso
generato opere e personaggi mirabili. Prima di esaminarli cerchiamo di
approfondire il rapporto non scontato tra musica ed esattezza. Dopo l’aneddoto
è il turno del mito.
Apollo, figlio di Zeus e Latona, divinità
dall’origine complessa, sovente identificato con il Sole, protettore delle Muse
e quindi delle Arti, è una delle più importanti divinità del pantheon Olimpico.
Il suo rapporto con la musica è stretto
pur se essa non è una delle sue prerogative innate. Egli perviene a questo
traguardo dopo due aspri duelli con Marsia e Pan, seimidei di origine
pastorale, legati ai boschi e alle greggi.
Marsia, possessore di uno zufolo in cono
di cervo fabbricato da Atena, soleva dare sfoggio della sua bravura tra le genti
di Beozia. Apollo, venutone a conoscenza decise di sfidarlo in una tenzone
musicale: il satiro si dimostrò un virtuoso del suo strumento, ma altrettanto
fece Apollo con la sua lira a sette corde. Non potendo stabilire un vincitore, il
figlio di Zeus alzò la posta in gioco sfidando il contendente non solo a
suonare, ma anche a cantare; ma mentre il Dio, pizzicando le corde della lira
poteva pur cantare soavissime melodie, il flauto non permetteva a Marsia di fare
altrettanto; le Muse dichiararono vincitore il loro protettore che punì
l’arroganza del Satiro scorticandolo vivo.
Stessa sconfitta dovette subire Pan, il semidio
arcade inventore della siringa, che, secondo il giudizio di re Mida, non potè
tenere testa allo strumento di Apollo.
Le vittorie di Apollo sui satiri sono, storicamente,
l’allegoria della sottomissione dei Beozia e Arcadia al culto solare della
divinità greca ma nascondono un altro significato più universale riguardo alla
materia del contendere: la Musica. Apollo, già provetto arciere e avvezzo all’uso della corda
in tensione, aveva nella lira uno strumento formidabile, costruito di 7 corde;
7 come le note, naturalmente; 7 come le vocali del tardo alfabeto greco, come le
sfere celesti o i colori dell’iride. Questo strumento mistico segna il dominio dell’accordo rispetto alla
melodia prodotta dagli strumenti a fiato dei satiri: flauti di origine
pastorale e popolana, derivati dalla canna con cui si conducono le greggi.
L’armonia che domina e disciplina la melodia nasce con la sconfitta di Marsia.
Non solo: il mito sancisce anche l’istituzione della Musica come astrazione umana
superiore e Arte Autonoma; non più mimesi dei suoni della natura, ma
propulsione creativa che trova in rapporti matematici esatti le fondamenta
della sua bellezza. Così come la sezione aurea è il principio d’ordine
dell’architettura classica, l’esatta divisione del monocordo elaborata dai
pitagorici è il primo mattone della teoria armonica nella cultura occidentale.
Apollo
istituisce l’esattezza in musica: essa sta nella sua lira, con corde di
misure differenti ma esatte e con rapporti costanti, che consentono
l’accompagnamento della linea melodica della voce.
L’accordo e per esteso la scienza che lo
studia, l’armonia, è materia esatta, codificata e non aleatoria, nonché la base
essenziale per la maggior parte della musica occidentale degli ultimi 500 anni.
Anche nella musica commerciale moderna pochissimo sfugge al controllo
dell’armonia. E’ infatti l’esattezza insita nei rapporti tra gli accordi che giunge
al nostro orecchio e ci trasmette quell’idea di compiuta di precisione, di
perfetta intonazione, di geometrica simmetria, che facilita al nostro cervello
la memorizzazione di una canzone. L’esattezza di un brano musicale sta anche
nella sua, volgarmente parlando, orecchiabilità o meglio “facilità d’ascolto”. Qualcosa
di simile all’aritmetica, in cui la nostra abitudine a pensare e calcolare in
base dieci rende molto facile contare e operare con numeri interi per cinquine
o decine; più difficile sarebbe usare numeri irrazionali, quasi impossibile
farlo su base binaria o ternaria.
Siamo
ben abituati e piacevolmente stimolati da una canzone che non infranga alcuna
regola armonica ancor prima e ancora più subliminalmente rispetto a quanto
siamo attratti da una piacevole linea melodica o forse anche da una bella voce.
Marsia è stato veramente sconfitto e forse continua ad ondeggiare come l’Appeso
dai tarocchi dal ramo del pioppo.
Tornando indietro alla mitologia, tra i
protetti di Apollo vi fu Orfeo, suonatore leggendario in grado di smuovere
animali e sassi con la sua musica celestiale. L’archetipo del solista virtuoso
che manda le folle in delirio.
Quando
Dioniso invase la Tracia, Orfeo trascurò di onorario, iniziando invece i suoi
fedeli ad altri misteri e condannando i sacrifici umani. Gli uomini della
Tracia lo ascoltavano con reverenza. Ogni mattina egli si alzava per salutare
l’alba dalla sommità del monte Pangeo e affermava che Elio, da lui chiamato
Apollo, era il più grande di tutti gli dèi. Irritato, Dioniso incarico le
Menadi di far vendetta. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, in Macedonia. Attesero
che i loro mariti fossero entrati nel tempio di Apollo e, impadronitesi delle
armi, irruppero nel recinto sacro, uccisero tutti gli uomini e fecero a pezzi
Orfeo. Gettarono nel fiume Ebro la sua testa che galleggiò, sempre cantando,
fino al mare, e fu portata dalle onde all’isola di Lesbo.
Robert Graves – I Miti greci
Anche a causa di questo episodio
l’insanabile dualità tra Apollo e Dioniso divenne una costante nella tarda
mitologia classica:
I
sacerdoti orfici, che indossavano un costume egiziano, chiamarono “Dioniso” il
semidio dell’epifania taurina di cui mangiavano la carne cruda, riservando il
nome di Apollo per il Sole immortale: distinguevano così Dioniso, il dio dei
sensi, da Apollo, il dio dell’intelletto.
Grazie poi all’opera di Friedrich
Nietzsche, tale dualità è diventata un’importante chiave di lettura e di
analisi critica dell’Arte, non solo Classica.
“Avremo
ottenuto molto per la scienza estetica quando saremo giunti non solo alla
comprensione logica, ma anche all’immediata sicurezza dell’intuizione del fatto
che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’ apollineo e del dionisiaco
in modo simile a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi,
attraverso una continua lotta e una riconciliazione che si manifesta solo
periodicamente. Questi nomi li prendiamo a prestito dai Greci, che rendono
percepibili a chi è avveduto le profonde e occulte dottrine della loro visione
dell’arte non mediante concetti, bensì nelle forme incisivamente limpide del loro
mondo di dei. Ad entrambe le divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si collega
la nostra conoscenza che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, per
origine e per fini, fra l’arte plastica, l’apollineo, e l’arte non figurativa
della musica, quella di Dioniso: questi impulsi così diversi procedono l’uno
accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro ed eccitandosi reciprocamente
a sempre nuove e potenti creazioni per perpetuare in queste quell’antagonismo
che il comune termine “arte” supera solo apparentemente; sinché infine, per un
miracoloso atto metafisico della «volontà» ellenica, appaiono accoppiati l’uno
con l’altro, e in questo accoppiamento generano finalmente l’opera d’arte
altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia Attica”
Friedrich Nietzsche – La Nascita della
tragedia
Il filosofo tedesco, pur ritenendo la
musica legata ad Apollo è fermo nel definire come quest’arte trovi la massima
espressione e realizzazione di sé grazie allo spirito dionisiaco e al suo culto
di “esaltati”:
“In
quelle feste greche prorompe per così dire un tratto sentimentale della natura,
quasi che essa debba sospirare per il suo frantumarsi in individui. Il canto e
la mimica di tali esaltati dai duplici sentimenti furono per il mondo omerico
dei Greci qualcosa di nuovo e di inaudito: in particolare la musica dionisiaca
destò in esso spavento e raccapriccio. Se a quanto pare la musica era già
conosciuta come un’arte apollinea, lo era solo, detto rigorosamente, come il
colpo d’onda del ritmo, la cui forza plastica veniva sviluppata per la rappresentazione
di stati apollinei. La musica di Apollo era architettura dorica in suoni, ma in
suoni solo accennati, quali sono propri della cetra. Cautamente è tenuto
lontano, come non apollineo, proprio l’elemento che costituisce il carattere
della musica dionisiaca e della musica in generale: la sconvolgente violenza
del suono, il flusso unitario della melodia e il mondo affatto incomparabile
dell’armonia. Nel ditirambo dionisiaco l’uomo viene stimolato al più alto
potenziamento di tutte le sue capacità simboliche; qualcosa di mai sentito
preme per esprimersi: l’annientamento del velo di Maia,l’essere una sola cosa come
genio della specie, anzi della natura.”
Sarebbe un interessante motivo di
dibattito capire se la musica trovi la
sua più pura e potente realizzazione sotto il controllo di Dioniso, o se quella
”architettura dorica” di stampo apollineo non la pervada nascostamente o
addirittura la vincoli al giogo della divinità solare. In definitiva, la Musica appartiene ad Apollo o Dioniso?
Un buon compromesso potrebbe essere trapiantare in profondità la dualità Nietzschiana
all’interno della stessa arte musicale, magari alla luce di tutto ciò che il
novecento ha portato in superficie: Apollo
è l’accordo, l’armonia, il metronomo e il temperamento: è il protettore
della scrittura verticale della Musica. Dioniso
e i sui fauni lasciano ancora traccia di loro nella melodia, nell’improvvisazione,
nella stonatura, nella blue note: sono i padroni dell’orizzontalità. Lo
stesso Nietzsche sosteneva:
“[…] dovrebbe essere dimostrabile anche
storicamente come ogni periodo riccamente produttivo di canti popolari sia
stato contemporaneamente eccitato nel modo più forte da- correnti dionisiache,
che dobbiamo sempre considerare come sostrato e presupposto del canto popolare.
Ma il canto popolare vale per noi soprattutto come specchio musicale del mondo,
come primordiale melodia, che poi cerca per sé una parallela apparenza di sogno
e la esprime nella poesia. La melodia: è dunque I’elemento primario ed
universale, che perciò può sopportare in sé anche più oggettivazioni, in
molteplici testi.”
L’esattezza
sta nell’emisfero apollineo, assieme a tanta parte della musica commerciale,
compreso quel Rock che pur vuole essere considerato come un manifesto
dell’estasi e del baccanale.
Dopo questa lunga digressione rimane
ancora aperta la questione posta dall’aneddoto di partenza: come si conciliano
la naturale sregolatezza, l’incostanza giovanile, il disordinatissimo ed
alcolico pensiero della rockstar con le rigide esigenze della forma musicale
“chiusa” basata sull’accordo e sulla tonalità?
La regola generale, che è poi uno dei
grandi artifici della musica pop, è che nella maggioranza dei casi l’esecutore,
il gruppo che vende dischi, il volto sulla locandina, che passa per radio e va
in tour, non è che la cima di un grande
iceberg di differenti personalità che si adoperano per produrre la “Hit
perfetta”.
La “Rockstar” è il manifesto, il capofila
di un ampio gruppo di professionisti che in modo diverso mettono le mani nella
costruzione di un prodotto discografico “finito”: produttori, manager, tecnici
del suono, arrangiatori, orchestratori, musicisti di studio e poi, in cerchi
concentrici e via via più larghi: pubblicitari, road manager, distributori. Al
centro di tutto questo lui: l’idolo delle folle, l’eroe sul palco. Ebbene
grande parte dell’esattezza nella musica commerciale moderna non sta sul palco
ma si colloca in questa necessaria, ben definita zona d’ombra, che, come il mantello del prestigiatore, cela il
trucco che sbalordisce la folla.
Lasciando il Mito per tornare sulla
Terra, isoliamo due momenti della travagliata ed incostante storia dei Doors,
gruppo di massima Arte e minima professionalità, entrambi caratteri imputabili
al controverso e carismatico cantante, oggi icona “pop” a posteriori, Jim
Morrison.
Paul
Rothchlld ebbe un’istintiva precognizione su come avrebbe dovuto gestire Jim
Morrison e i Doors. In studio di registrazione era molto esigente, un dittatore
che non si faceva certo intimidire da giovani musicisti solitamente all’oscuro
del lavoro di studio e vincolati da rigidi contratti. Godeva anche di una
grande credibilità. “Avevamo letto il nome di Paul Rotchild su un disco di Paul
Butterfield” disse Robby Krieger “ Ci piaceva, quel disco. Inoltre quel tizio
era appena uscito di galera perciò pensammo che non poteva essere tanto male.” Il
suo status di fuorilegge ebbe notevole peso su Jim Morrison; ma Rothchild
possedeva anche una personalità decisamente esuberante, ed era difficile
discutere con lui, Secondo il loro roadie (e poi manager) Bill Siddons: “Era
l'unica persona che riusciva a incutere
soggezione a tutti i Doors. Sapeva strillaree urlare in maniera molto
caratteristica. Sapeva negoziare e polemizzare con grande abilità. Era talmente
preciso che conosceva ogni molecola della struttura di qualsiasi cosa a cui si
dedicasse. Era molto tedesco, in questo. Sapeva sempre come rimetterti al tuo
posto. Era "il leader". Era ”il produttore”. Ray Manzarek: “Paul era
il più hip, il più cool, il più intelligente produttore del pianeta. Paul era noi. Paul era una bella testa. Paul
conosceva Bach, Mingus e Monk, Sabicas, la Jim Kweskin Jug Band, Arthur Rimbaud
e Federico Fellini. Jim e Paul andarono subito d'accordo”. Paul Rothchild era
talmente padrone della situazione e così puntiglioso che riuscì a registrare il
primo, magnifico album dei Doors in poco più di una settimana alla fine dell’agosto
1966.
Stephen Davis - Jim Mirrison. Vita,
morte, leggenda
Ma
quando non calcava il palcoscenico, Morrison si riduceva a un Lotario ubriaco
con aspirazioni da poeta, mentre coltivava la sua irresponsabilità, fradicia d'alcol,
che aveva forse appreso da Baudelaire, Brendan Behan oppure Dylan Thomas. Si
abbandonava a un'interrninabile sequela di donne, con le quali cercava di
sostenere il ruolo del "politico erotico" (come si era autodefinito)
in una situazione reale. In genere la realtà era molto meno romantica delle
parole. Una volta, nell'appartamento di un amico a New York, ubriaco cadde in
uno stato di inebetimento e crollò su un divano, mettendosi a pisciare sul
tappeto.
Gary Herman – Rock Babilonia
E in effetti le intemperanze e le
bizzarrie del cantante mandarono all’aria più che qualche concerto, minando l’esistenza stessa del gruppo. Ciò
non significa certo che la band avrebbe potuto privarsi di Morrison anziché di
Rotchild, ma molte volte accade che un eccelso artista non sia in grado, da
solo, di trasformare una grande canzone, una grande opera d’arte, in un grande
successo.
Arte
e Mercato, anche nel Rock, necessitano di mediatori.
IMMAGINI
Perugino - Apollo e Marsia (1438)
Anthony Braxton - For Alto - Illustrazione dal retro di copertina (1970)
Giorgio de Chirico - Orfeo Solitario (1973)
Pablo Picasso - Mandolino e chitarra (1924)
1 commento:
Letto con enorme interesse.Notevole!
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