Il rock n’ roll non nasce come musica “nera”, nel senso tutto cromatico
del termine; nessuna accezione a concetti di razza. E’ variopinta, luminescente, dai colori accesi delle Grandi Palle di Fuoco
e di Tutti frutti. A metà degli anni ’50 non ha ancora scoperto
quell’estetica del “nero” che nella letteratura prima e nel cinema poi era già assai
diffusa. I primi esempi, isolati, a volte inconsapevoli, di questa moda nella
musica commerciale furono Johnny Cash e
Gene Vincent, due musicisti che amavano in maniera quasi perversa vestirsi
solo di nero. Ma sarà dalla metà del decennio successivo che il rock scoprirà e
abbraccerà in toto le tinte scure,
grazie ad artisti come Lou Reed, Mick Jagger, Jim Morrison.
Da qui in avanti il “nero” diventerà
una vera e propria moda, basti pensare ai nomi di tanti gruppi degli ultimi
40 anni: Black Sabbath, Black Widow, Black Mountain, Black Keys, Black Angels,
Black Flag… ognuno può continuare la lista con i suoi preferiti. Dal “look”, ai
testi, alle copertine degli LP: il nero è un must. Tanto che si diffonde addirittura l’espressione “black album”
per indicare quelle pubblicazioni le cui copertine concedono ben poco alla
fantasia e sono dei monoliti monocromatici. Al contrario l’unico album bianco
di cui ci si ricorda è quello dei Beatles, più per sovrastima del prodotto che
per reale unicità, ad essere sinceri. E per continuare ad essere sinceri, il
“White Album” aveva contenuti apparentemente
molto scuri, chiedere a Charles Manson.
Perché il nero, allora?
Oltre che un singolo colore, il nero è la somma di tutti gli altri, la
risultante dello spettro visibile. Il più denso, il più profondo. La serietà e
il rigore. E’ il colore del buio, della notte. Il colore di un amore che
finisce. E’ il colore dell’altra faccia della luna, quella
nascosta. Il nero bene si associa al minimalismo, ai suoni puri, reiterati,
ai concetti diretti. Primordiale, indifferenziato, niente forma e solo
contenuto. Nero è poi, soprattutto, il colore del lutto, della Morte;
dell’umore depresso: malinconia, dal latino melancholia,
cioè “bile nera”, uno dei quattro umori da cui derivano, secondo la medicina
romana, gli stati d’animo. Il colore della sponda scura del tempo. E’ il colore che naturalmente si associa al
satanismo da fumetto di certo rock duro: i Venom ci hanno costruito sopra
una carriera e, come se non bastasse, fondato un intero movimento, il “Black
Metal”. E’, diametralmente, un colore altrettanto “virginale” che il bianco. E’
l’assenza di luce, cioè uno spazio invisibile e ancora da scoprire, l’ignoto. E’ un viaggio al termine della notte. Dipingi
di nero e la gente saprà che il tuo lavoro, la tua arte, è pura, densa,
primordiale, legata tanto alla vita quanto alla morte ma senza compromessi; è
oltre la linea d’ombra, qualcosa che necessita di rivelazione e quindi di
iniziazione. I rocker di seconda generazione, dopo il boom del Rock n’ roll
degli anni ‘50, attingono a piene mani a questi concetti per cercare di
crescere, di traghettare la loro musica verso una maturità artistica più adulta,
per trasformarsi da puri “entertainer”
ad artisti a tutto tondo, percepiti e riconosciuti come tali, cercando il
consenso non solo in schiere di ragazzine isteriche e urlanti, ma anche tra le
pieghe dell’adolescenza più turbata.
Gli show dei Doors a New York
quel mese aiutarono a dare Forza e autenticità al nuovo movimento rock. Quella
musica si chiamava rock ma era diversa
dal rock and roll. ll rock era adulto
virtuosistico, non più infantile e fatuo. Il rock and roll era apolitico e mirava solo a divertire, mentre
il rock aveva un suo peso e spesso
prendeva posizioni politiche, generando correnti di energia psichica che si spingevano oltre la musica in sé, verso l'arte e la politica radicale.
Stephen Davis - Jim Morrison. Vita, morte, leggenda
Non si può poi sottovalutare il fatto che, già dai primi anni ’60, il legame tra Rock e Morte appare
ineluttabile e inscindibile; la fine prematura, sia pure accidentale, di
Buddy Holly, Ritchie Valens, Big Bopper, Eddie Cochran, quella addirittura
simbolica del capostipite Hank Williams, le vite tormentate e borderline di Jerry
Lee Lewis, Gene Vincent, Johnny Cash e tanti altri: era più che una coincidenza.
Suonare musica Rock, ormai era chiaro, significava flirtare con la Morte.
Un’idea che a tutti i giovani ribelli piaceva un sacco. Ed allora si
risvegliano suggestioni quasi scolastiche: decadentismo,
simbolismo, William Blake, l’occultismo di inizio ‘900, quella vena, dark e
religiosa insieme, già presente in tanta tradizione blues: musicisti come eroi
tardo romantici, menestrelli gotici, filosofi introversi; eroi faustiani.
Nero. Il colore, la parola,
sono dei mezzi, strumenti attraverso cui incanalare questi sentimenti, renderli
evidenti e assimilabili dal pubblico; rispondendo ad una impellente necessità
di essere veramente “presi sul serio”, di costruirsi come artisti reali, di realizzarsi al di là delle effimere hit di
un’estate; possibilmente senza compromessi.
Kazimir Severinovič Malevič Cerchio
nero (1913)
1 commento:
Molto interessante la tesi.
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