Pensando
al di fuori della filiera artista-disco-pubblico, la migliore incarnazione dell’esattezza nella musica commerciale sta
nel concetto di Alta Fedeltà. “Hi
Fi”, definizione pur di origine datata (1936, RCA) fu una delle parole chiave
per il mercato discografico di inizio anni ’80. In concomitanza con
l’introduzione sul mercato del Compact Disc, il nuovo, apparentemente
rivoluzionario supporto ottico destinato a soppiantare il vecchio LP a 33 giri,
fu necessario adottare decodificatori all’avanguardia e dalle specifiche
tecniche sempre più complesse.
Gli sviluppi tecnologici inaugurati
alla fine degli anni Quaranta dagli esperimenti della CBS con le registrazioni
in microsolco, e giunti all'apice con la registrazione digitale e il compact
disc degli anni Ottanta, avevano il duplice scopo di migliorare la qualità del
suono registrato e di facilitare la raccolta e la protezione della
registrazione. Per gli ingegneri elettrici impegnati a fornire alle proprie
industrie un margine di vantaggio sulla concorrenza nel mercato della musica
riprodotta le implicazioni musicali dei loro esperimenti erano chiare: ciò che tentavano di
ottenere era rendere il suono registrato una riproduzione più accurata
possibile del suono “reale" — e subito il nuovo procedimento fu commercializzato
con il nome di “high fidelity" (alta fedeltà). D’altra parte, le
argomentazioni dì vendita circa l’avvicinamento sempre più stretto della
registrazione all’esperienza “completa" della musica “live” non sono altro
che chiacchiere commerciali. Ogni nuovo progresso — i dischi stereofonici negli
anni Sessanta, l’eliminazione, con i compact disc, del deterioramento e dei
rumori di fondo negli anni Ottanta -— modifica la nostra esperienza musicale.
Simon Frith – Il Rock è finito
In
realtà è arduo stabilire quanto o
addirittura “se” la qualità del suono sia realmente migliorata nel passaggio
vinile-CD; ciononostante il brand Hi-Fi, abbinato all’appeal futurista e
minimale del compact disc divenne presto il
primo comandamento della nuova musica commerciale: si poteva vendere solo
ciò che riportava quel fatidico marchio mentre le orecchie degli ascoltatori
erano blandite e viziate dalla ricerca continua di sfumature sonore,
sovrapposizioni timbriche, cross-fade, suoni cristallini che a posteriori
sembrano un’evoluzione commerciale della ricerca della perfezione acustica dei
Pink Floyd di Dark Side of the Moon, album dall’impatto mediatico e popolare
imponente che, pur secondo la personale visione del gruppo, non deviava tanto
dal modello di Sgt. Pepper.
Tutta
la sovrastruttura pubblicitaria dell’alta fedeltà consentì inoltre ai
distributori di vendere compact disc allo stesso prezzo dei vinili, nonostante la
fabbricazione massiva dei primi avesse consentito un buon abbattimento dei
costi alla produzione.
Al tempo, il Cd era stato appena
lanciato. Persi il conto dei clienti che rìportavano ì Cd perché non riuscivano
ad ascoltarli con il giradischi. La promozione del nuovo supporto da parte
dell’industria musicale era stata incredibile: c'era gente convinta che i Cd si
potessero usare come sottopiatti senza rovinarsi. Poi si sarebbe potuto
suonarli senza problemi. Una menzogna sfacciata.
Un giorno un tipo venne in negozio a
chiedere un rimborso. Acquistato un Cd, aveva deciso di mostrare a un amico che
quel disco avrebbe potuto sopportare qualsiasi maltrattamento, senza
danneggiarsi. Ci aveva camminato su facendolo strusciare su un tappeto, poi
aveva provato a sentirlo, ovviamente invano. Raccontatomi Vaneddoto, quello
pretendeva che gli risarcissi il prezzo del Cd. Inutile dire che se ne andò a
mani vuote. Un altro cliente raggirato
dal battage relativo al Cd.
Graham
Jones - Il 33 Giro. Gloria e resistenza dei negozi di dischi
La
querelle riguardante il supporto più
fedele nella riproduzione del suono è tornata di moda nei primi anni del nuovo millennio
quando pareva che il CD dovesse presto venire sostituito dai nuovi - questi sì
rivoluzionari - formati digitali,
primo fra tutti quel “mp3” che fu tra i primi contenuti ad essere distribuiti tramite
il web, spesso illegalmente via peer to peer: furono le alterne fortune di
Napster a imporre di fatto questo tipo si compressione all’attenzione delle
major e del grande pubblico. Il formato mp3 è un formato “a perdita”, sacrifica
cioè alcune frequenze estreme in favore del contenimento della dimensione del
file che risulta così più facilmente distribuibile ed immagazzinabile. E’
ancora il formato privilegiato per lo scambio e la riproduzione nonstante negli
ultimi anni si sianno affacciati sul mercato nuove, ottime tipologie di file
sia lossy (Ogg Vorbis, per esempio) sia losless, cioè senza perdita (come i
file “Flac”).
Quanta precisione e profondità sonora
si perde nell’ascolto di un brano in mp3, o più in generle di un qualsiasi
formato digitale?
Se
da un punto di vista fisico e informatico la risposta è piuttosto oggettiva, ancorché
non semplice, è pur vero che l’ascolto è sempre un’azione soggettiva. Un mp3 è
solitamente considerato una buona riproduzione quando il suo bitrate è compreso
tra 128 e 256 bit per secondo; a bitrate superiori si può arrivare a parlare
addirittura di Alta Fedeltà. L’esattezza sonora non ne risulta quindi
necessariamente compromessa, ma è un’altra la perdita che può maggiormente
interessare: la scomparsa dell’hardware come
contenitore e garante dell’opera artistica, dove con hardware intendiamo la
parte fisica, materiale del medium: CD, confezione, booklet, tutto ciò che
serve a proteggere, ma che soprattutto porta
un’informazione ulteriore, cioè tutti i metadati necessari alla corretta
interpretazione del “dato sonoro”.
Con la distribuzione digitale della
musica resta solo il software, solo il dato musicale puro, che anzi deve anche farsi
carico, nei limiti del possibile, di
veicolare i metadati tradizionalmente associati all’hardware. Tutto il resto
viene obbligatoriamente ricomposto, in versione infoematica, richiamato da
imponenti database web per restituire un nuovo tipo di medium.
E
se questo aspetto può essere facilmente, ma colpevolmente, trascurato
dall’ascoltatore, è invece il presupposto fondamentale per i distributori e i
produttori di musica, che possono svincolarsi dall’oggetto concreto (il cd, la
sua custodia…) cambiando radicalmente tutti i canali nella produzione e
diffusione di un bene che non è più (anche) concreto, ma è solo “informativo”.
Dato puro.
Nella
migliore delle ipotesi i metadati di un file musicale sono immagazzinati assieme
al file stesso sotto forma di “tags”, cioè un elenco di attributi che
rispondono a categorie predefinite: autore, titolo, artista…
Se
la parte materiale dell’hardware (copertina, digipack, custodia..) è scomparsa,
la parte informativa è esplosa in una miriade
di parole chiave attraverso le quali, in ogni libreria musicale, potremo
ordinare le nostre canzoni. Si perde dunque anche l’unitarietà dell’album (ma
anche della compilation) che finisce diluito in spazi sempre maggiori di
memoria, in compagnia di altre migliaia di brani tra i quali non c’è di fatto
soluzione di continuità.
La
qualità dei metadati però crolla terribilmente sui circuiti streaming (Youtube,
pur non essendo propriamente streaming è ormai un’enorme banca dati musicale) e
soprattutto P2P, in cui è difficile trovare informazioni aggiuntive all’enunciato minimo:
Nome dell’artista – titolo canzone
L’organizzazione
dell’informazione in tags ha l’enorme vantaggio della praticità d’uso, almeno
limitatamente a contesti peculiari come i software di gestione quali I-Tunes,
Mediamonkey, Winamp…. Il loro utilizzo risulta molto più complesso già in
ambiente Windows; il vantaggio determinante di questi formati, e in particolar
modo di quelli “a perdita”, sta nelle loro piccole dimensioni: sono facilmente immagazzinabili e soprattutto
trasferibili in tempi brevissimi.
Il sistema dei tags ha però anche alcuni
difetti:
-
sono di difficile interpretazione e visualizzazione al di fuori di specifici
ambienti software
-
sono facilmente modificabili
Quest’ultima
caratteristica poi fa venir meno una delle prerogative peculiari dell’hardware
tradizionale, cioè la garanzia di
esattezza e autenticità del contenuto.
Sa
la perdita di informazione nel dato sonoro, ancorché evidente, è ormai ben
controbilanciata dalla crescente qualità dei formati audio compressi, la
riorganizzazione e la perdita di informazioni derivanti dai metadati è
innegabile. Se oggi la distribuzione digitale è tutto sommato ancora agli
inizi, cosa dovremmo aspettarci tra 20 o 30 anni, dopo decenni di abituale
utilizzo di media digitali?
Sarà ancora possibile “ricostruire” in
modo esatto l’ hardware tradizionale per evitare la perdita di informazione e
quindi di conoscenza?
NOTA: “Hardware esploso” e “media liquido” sono
concetti già apparsi in maniera sistematica su questo blog; per chi volesso
approfondire l’argomento i links sono i seguenti:
IMMAGINI
REO Speedwagon – Hi Infidelity (1980)
Storia dell Hi-Fi
Ornette Coleman – A Circle with a Hole
in the Middle (dalla copertina di The Art of the Improvisers, 1970)
Fragmentation
Study
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