giovedì 13 dicembre 2012

Le brutte recensioni – Proposte per testi diversi (parte 1)


  
Dopo una serie di articoli piuttosto censori, credo sia d’obbligo qualche personalissima proposta per testi, non migliori, ma magari un po’ “diversi”. Come al solito, non mi permetto di dare lezioni né di italiano né di scrittura creativa, questi spunti sono solo linee guida che nel tempo ho formalizzato e cercato di seguire per dare un po’ di duttilità e utilità al “formato recensione”, evitando di ricadere nei soliti luoghi comuni, nella solita sintassi stereotipata, nei consueti giudizi telefonati.
Come premessa una regola importante da tener sempre a mente: scrivere recensioni “di qualità” non è facile. L’opinione comune sembra non essere del tutto in accordo, ma io ne sono fermamente convinto. E il fatto di conoscere, magari anche a memoria, l’album che andiamo a recensire è solo il punto di partenza: condizione necessaria e NON sufficiente.
Detto questo, qualche personale “buon proposito”.



Contestualizzare

Credo sia un dovere; contestualizzare sempre e dovunque, anche a costo di esagerare. Contestualizzare significa non solo dare al lettore numerosi riferimenti di confronto, ma tessere una trama di relazioni, citazioni, esempi in grado da soli di costituire un sottotesto fatto di collegamenti incrociati utili non solo a descrivere ma anche a capire le ragioni e la forma di una certa musica.
Contestualizzare non vuol dire necessariamente proporre articolate digressioni o aprire lunghe parentesi: basta un nome, un titolo, una parola.

“Elektronenzircus” fa partire altri trenta secondi di sballo da sintetizzatore prima di “Der Narr im All”, un trip Cosmic Jokers alla “Astronomy Domine”. “Raumschiff Galaxy fliegt in der Sonne" è un altro ultrasballo in chiave Funkadelic, alla “Free Your Mind & Your Ass will Follow". Un sintetizzatore primitivo assordante e monolitico si fa strada abbattendo qualsiasi cosa. “lntergalactic Nightclub” è un incrocio tra “The Protegé" di Terry Riley e John Cale e il cantato di lrmin Schmidt in "Come sta, la Luna", su Soon Over Babaluma. L’ultimo pezzo del lato A è uno psico-sballo per sintetizzatore e tom, una specie di mantra alla lvor Cutler, con il bellissimo tema per pianoforte di Jurgen Dollase che va e viene.

Julian Cope - Krautrocksampler

Esistono diversi gradi di contestualizzazione che si possono ritenere concentrici: nel mezzo sta l’album in analisi; al suo immediato esterno stanno riferimenti ad altri lavori dello stesso gruppo; poi, via via, riferimenti a opere simili di gruppi simili, ad opere di gruppi diversi, fino all’ultimo cerchio, un contesto allargato e potenzialmente onnicomprensivo, in cui possiamo inserire riferimenti anche ben distanti dall’oggetto del nostro lavoro. Sono quelli più rischiosi da proporre ma anche quelli che danno maggiore soddisfazione e peso specifico alla recensione.


Staggerlee è un uomo libero, perché rischia e non bada alle conseguenze. Altri, specialmente i bianchi, si fanno avanti per adularlo, finché egli va in pezzi in una sudicia celebrazione di aghi, «spirito» e rumore. Finalmente rimane da solo in un lento baccanale, dove i suoi compagni, in una parodia de|l’amicizia, studiano il momento preciso del tradimento. L'uomo che vive questo disastro a volte ci esce intero: Malcolm ce la fece. A volte muore giovane; altre volte scappa.
Dirigendosi verso questo scontro silenzioso, Sly assunse sulle proprie spalle le fantasie razziali e sessuali di un vasto pubblico e sotto di esse barcollò, come se egli fosse stato veramente Staggerlee, tornato dal mondo dei morti per sopravvivere al proprio mito. Le immagini di padronanza, stile e trionfo costruite all'inizio della carriera di Sly si ritorsero contro di lui; le sue vecchie idee politiche morirono, la sua esuberanza si trasformò in droga, e la sua vecchia musica in una colonna sonora per un mondo che non esisteva. Come artista, Sly usò tutto questo per rovesciare il grande mito.
È un ruolo fin troppo reale. Si cercò di addossarlo a Chuck Berry, che non lo volle mai, e per questo pago con la prigione; Hendrix riuscì a resistere, ma nell'opinione pubblica quel ruolo io catturò comunque. Riot è il segreto contenuto neIl'intera, abbagliante tradizione. Qualcosa di più di una semplice definizione dei rischi connessi nel mettere le mani sul tipo di libertà di Staggerlee, più di un'illustrazione della pura dualità di ogni archetipo culturale, Riot reclama la storia.

Greil Marcus – Mistery Train

[Si potrà obiettare che il testo di Marcus è qualcosa di diverso, di “più” che una semplice recensione da giornaletto musicale; non importa tanto. E’ un testo che ha come argomento un disco di musica rock. Direi che questo è sufficiente.]

Tali relazioni “non iniettive”, in cui un singolo album può essere collegato a vari elementi di diversi insiemi, devono essere solo musicali? Assolutamente no, ma occorre un poco d’attenzione.
Per non esagerare in voli pindarici (spesso sintomo di supponenza eccessiva) ho deciso di attenermi ad alcune direttive per questo tipo di citazioni, la prima delle quali è andare a pescare la maggior parte dei riferimenti in quel calderone di suggestioni che comunemente sta alla base dell’estetica rock: film, televisione, fumetti, sport. Ma anche arte moderna, possibilmente povera o “profana”, moda, design, letteratura contemporanea, cultura popolare e folk, leggende urbane, alcool e sostanze stupefacenti, insomma qualunque cosa condivida con il verbo rock la destinazione “per la massa”.

Van Vliet ha forgiato un linguaggio musicale che attinge a fonti tanto spericolatamente diverse come il folklore delle fiabe, la pittura astratta di Jackson Pollock, l'associazione libera del surrealismo, le sinfonie di Charles Ives, le filastrocche dell'infanzia, Van Gogh, il free-jazz, la musica dei commercial.

Piero Scaruffi su Captain Beefheart

Quello che a volte frena questa pratica è il timore di non trovare, nell’opera in esame, riscontri oggettivi, o per lo meno condivisi, per la contestualizzazione. Eppure, sono fermamente convinto che non si debba cercare rifugio nell’oggettività, perché in realtà, in questo campo, non esiste se non per nomi o date. Non stiamo scrivendo una pagina di Wikipedia, non dobbiamo proporre meccanici link ipertestuali; così come non scriviamo una tesi di laurea e non abbiamo l’obbligo di riferimenti bibliografici precisi: il collegamento contestuale sarà sempre opinabile, personale, soggettivo e sicuramente contestabile, ma così deve essere. Prendiamoci del tutto le nostre responsabilità, non cerchiamo appoggi per scaricare il peso del nostro testo. Quello che conta non è sempre la cruda realtà dei fatti, ciò che l’artista ha scritto o voleva trasmettere; quello che conta è ciò che arriva alle nostre orecchie e ciò che riteniamo giusto, utile e bello riproporre al lettore. E su questo nessuno potrà sindacare.
Certo che più il riferimento è azzeccato, più sarà condivisibile e quindi condiviso, più sarà ritenuto valido e illuminante anche dal lettore; ma non lasciamoci troppo condizionare.

I ritornelli disinvolti delle canzoni di Syd erano pianeti fertili nello spazio della improvvisazione che arrivava a intervalli: il ritorno al tema principale, dopo escursioni sonore di dieci minuti, era tanto divertente quanto rassicurante. Anche oggi che Syd è un vago ricordo e Roger è lontano e arrabbiato, c’è qualcosa nelle canzoni dei Pink Floyd che nessuno è mai riuscito a emulare.

Joe Boyd – Le biciclette bianche


Concettualizzare

Questo pratica è utile per sostituire, almeno in parte, la consueta struttura tripartita introduzione - svolgimento – conclusioni, già descritta in altri articoli.
Si tratta di desumere dall’ascolto in primis, ma anche dalla storia del gruppo, dalla copertina, dai testi, insomma da tutto quanto riguardi direttamente l’album da recensire, pochi “concetti chiave” in grado sia di interessare il lettore, sia di spiegare o meglio definire le canzoni in esame, magari da altri punti di vista che non la solita disamina sonora e musicale.

Si. I tempi stanno cambiando. Nel dicembre scorso, alla manifestazione ad Ann Arbor per chiedere la liberazione di John Sinclair, John  Lennon ha detto: "Il flower power non ha funzionato, proviamo qualcosa di nuovo", e quando parla Big John sai che sta succedendo qualcosa. Di sicuro i Black Oak Arkansas non cantano delle venature cristalline nelle ragnatele rugiadose della loro mente: cantano di "Fever in My Mind" ["Febbre nella mente"] e di terremoti. ln "The Big One’s Still Coming", il pezzo più potente di questo disco che ha dentro tanta stricnina da sembrare il flashback di un acido di per sé, Dandy prende il tema apocalittico che attraversa tutte le canzoni del disco e lo trasforma nella visione di una catastrofe naturale imminente: «We’re having an earthquake / We`re goin’ insane / A California earthquake / Has been shakin’ our brains» ["C’è il terremoto I Stiamo impazzendo I Un terremoto californiano / Ci scuote il cervello" ].

[Lester Bangs su Keep the Faith dei Black Oak Arkansas; il testo delle canzone è concetto su cui basare parte della riflessione.]

Rimontando questi concetti chiave in un ordine a nostra discrezione costruiamo un testo non schiavo, o addirittura succube, dell’album, ma “paritario”, dotato di una propria autonomia, non vincolato al fatto che il lettore debba ascoltare (o stia ascoltando) la musica di cui parliamo.
Non nascondo che questa è la proposta più ardua, a volte difficilissima da mettere in pratica quando la musica ci trasmette poco e mancano altri appigli, anche aneddotici, interessanti. Però ci si può appoggiare veramente a tutto, anche al peso di un disco…

Ma essere uscito per la Columbia non è la sola cosa che fa di Chicago at Canergie Hall un classico. Se siete riluttanti all’ idea di comprare un marchio a scatola chiusa, un altro modo di calcolare a colpo sicuro il valore di un album è dare un’occhiata ai solchi. Guardate i segni chiari e quelli scuri. Se i chiari prevalgono, vuol dire che i solchi sono più larghi, il che a sua volta vuol dire che il disco è più pesante perché c’è più musica stipata in ogni solco. Questo disco non solo pesa 1 ,46 kg, ma è così zeppo di suoni che ha solchi talmente larghi da soddisfare persino il più gretto degli intenditori. Chiunque dica che non è il disco più ponderoso dell`anno non sa un tubo di matematica.

[Di nuovo Bangs che sfrutta un dato apparentemente curioso (il colore e il peso del vinile) come spunto per una riflessione più ampia.]

Certo occorre evitare di parlare di tutto… tranne che di musica. Ben venga lo spunto del teso, ben venga l’aneddoto, ben venga la descrizione della cover dell’album: però c’è bisogno di fare intendere almeno di che musica stiamo parlando! La recensione non deve mai perdere di vista il valore dell’utilità per il lettore, valore a cui spesso troppo si sacrifica ma che non può assolutamente venire disatteso. Ecco che la concettualizzazione ben funziona a braccetto della contestualizzazione: l’una aiuta a specificare l’altra.

Molti dei protagonisti della saga di Nellcòte ebbero una fine tragica, ma gli Stones riuscirono ancora una volta, musicalmente parlando, a trasformare le avversità in polvere di stelle. Exile On Main Street — il disco che scaturì da quelle tormentate session nella cantina di Keith Richards — prende il languore con la scimmia sulla schiena, baciato dal sole della Riviera, e lo innesca su quella dura sensibilità rhythm’n’blues da roadhouse americano che da sempre caratterizzava la chimica musicale degli Stones. Pubblicato a metà del 1972, si sarebbe dimostrata l'ultima loro raccolta di canzoni davvero capace di definire lo spirito del tempo.

Nick Kent  - Apathy for the Devil

Cercare di analizzare gli effetti che l’ascolto provoca in noi è un sistema efficace; effetti che possono essere semplici sentimenti (gioia, malinconia…), ma anche ricordi o associazioni mentali libere (persone, luoghi, film…). Descrivendo gli effetti, per poi risalire alla musica, il percorso “narrativo” si inverte rispetto allo standard e ritengo risulti più libero, originale e malleabile.

Io preferisco cominciare considerando un effetto. Mantenendo sempre in vista l’originalità – poiché distorce se stesso chi s’arrischia a fare a meno di una fonte di interesse così ovvia e così facilmente raggiungibile – in primo luogo, dico a me stesso: «Degli innumerevoli effetti, o impressioni, di cui è suscettibile il cuore, l’intelletto, o (più in genere) l’anima, quale dovrò selezionare in questo caso?» Avendo scelto, per prima cosa, un romanzo e secondariamente un effetto vivace, considero se può essere elaborato meglio con episodi o toni – se con episodi ordinari e toni particolari, o al contrario, con singolarità di episodi e toni – cercando poi intorno a me (o piuttosto dentro di me) quelle combinazioni di eventi, o toni che potranno aiutarmi meglio nella costruzione dell’effetto.

Edgar Allan Poe – Filosofia della composizione

7 commenti:

lozirion ha detto...

Ciao! (Non commento spesso ma ci sono eh... ^_^) Grande post! Un vademecum delle recensioni praticamente! Me lo tengo stretto! ^_^

La firma cangiante ha detto...

Qui ci sarebbero mille spunti da dibattere, che post!

Al momento una piccola provocazione/osservazione.

Dici: E il fatto di conoscere, magari anche a memoria, l’album che andiamo a recensire è solo il punto di partenza: condizione necessaria e NON sufficiente.

Pensavo ai recensori professionisti e al fatto di conoscere molto bene gli album di cui si parla. Si può davvero conoscere bene un album in uscita quando in un mese bisogna recensirne 15 o 20 magari?

E quanto tempo prima i recensori che scrivono sulla stampa hanno a disposizione i nuovi album per ascoltarli con la dovuta attenzione?

Io alla fine ho il dubbio che questa grande conoscenza non sempre ci sia (e parlo di professionisti) non per mancanza di chi scrive ma proprio per l'impossibilità della cosa, non so se mi spiego.

Poi è ovvio che se uno parla del suo album preferito l'avrà ascoltato 100.000 volte, ma con le novità?

Che ne pensi?

allelimo ha detto...

L’ho già detto, ma sono noioso e mi ripeto.
"Fare arte non è compito del critico."
E quindi, creare un testo "non schiavo, o addirittura succube, dell’album, ma "paritario", dotato di una propria autonomia" non è mai, secondo me, lo scopo della recensione.

Detto questo, nel post ci sono spunti molto interessanti per provare a scrivere recensioni meno banali.
Come dicevo qualche giorno fa da me, scrivere bene non fa certo mai male, anzi.
Ricordandosi però che se stiamo scrivendo di musica, scrivere è solo un mezzo, non il fine.

Condivido in pieno anche la parte in cui fai notare che l’ggettività, in questo campo, non esiste, se non per nomi o date: molti non se ne rendono conto, e questo spesso porta a scontri piuttosto aspri...
:)

Unknown ha detto...

@firma: si, non hai assolutamente tutti i torti; l'espressione che ho usato è un po' infelice, ma mi serviva per ribadire un concetto: non basta conoscere ciò di cui si scrive, occorre anche conoscere la forma più giusta per farlo.
Occorre però anche dire che stiamo parlando di musica pop, mica di fisica quantistica: tantissimi album sono facilmente "comprensibili" ad un primo ascolto, anche superficiale.
Poi è vero che c'è gente che butta fuori 10 rec al giorno: fossero 7 e non 10 magari sarebbero migliori. Io farei fatica a farle!)

Ciao alle! Guarda se c'è una frase in questo post di cui "sono fiero" è proprio quella che hai ricordato: anzi, rileggendolo mi sono reso conto che bisognerebbe approfondirla molto di più perchè è un presupposto di partenza che necessariamente deve essere condiviso, altrimenti ognuno può pensare di scrivere il Vangelo quando è tutto il contrario.

Nella Crosiglia ha detto...

Devo studiare bene la lezione...
Quanto ho da imparare!

Elle ha detto...

(arrivo qui dal post successivo a questo)
Una frase che mi piace, perché mi consola, è che non si deve parlare di cosa voleva trasmettere l’autore/musicista, ma di cosa arriva alle nostre orecchie; mi consola perché a scuola, quando studiavo letteratura, non riuscivo a capire perché dovessi imparare le intenzioni di un autore (supposte dai suoi studiosi), e non farmi un’idea mia leggendo l’opera. Quando leggo un romanzo e ne voglio scrivere la chiamo non-recensione perché ho da allora la convinzione che una recensione debba essere obiettiva (e fare confronti, contestualizzare, citare ecc) ed io non ne son capace, so solo quale riflessione mi ha stimolato quel romanzo. Con la musica, poi, sono messa peggio: faccio fatica anche ad individuare la riflessione, mi rimane solo una sensazione, che ha il suo valore per me, ma per gli altri sarà forse inutile, è troppo personale. Motivo per cui, in fondo, la musica preferisco godermela da sola e non in compagnia, e non parlarne troppo.

randi ha detto...

è sempre un grande piacere leggere i tuoi post: mai noiosi, sempre di stimolo

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