Dopo una
serie di articoli piuttosto censori, credo sia d’obbligo qualche personalissima
proposta per testi, non migliori, ma magari un po’ “diversi”. Come al solito,
non mi permetto di dare lezioni né di italiano né di scrittura creativa, questi
spunti sono solo linee guida che nel tempo ho formalizzato e cercato di seguire
per dare un po’ di duttilità e utilità al “formato recensione”, evitando di
ricadere nei soliti luoghi comuni, nella solita sintassi stereotipata, nei
consueti giudizi telefonati.
Come
premessa una regola importante da tener sempre a mente: scrivere recensioni “di qualità” non è facile. L’opinione comune
sembra non essere del tutto in accordo, ma io ne sono fermamente convinto. E il
fatto di conoscere, magari anche a memoria, l’album che andiamo a recensire è solo il punto di partenza: condizione
necessaria e NON sufficiente.
Detto
questo, qualche personale “buon proposito”.
Contestualizzare
Credo sia un
dovere; contestualizzare sempre e dovunque, anche a costo di esagerare.
Contestualizzare significa non solo dare al lettore numerosi riferimenti di
confronto, ma tessere una trama di relazioni, citazioni, esempi in grado da
soli di costituire un sottotesto fatto di collegamenti incrociati utili non
solo a descrivere ma anche a capire le ragioni e la forma di una certa musica.
Contestualizzare
non vuol dire necessariamente proporre articolate digressioni o aprire lunghe
parentesi: basta un nome, un titolo, una parola.
“Elektronenzircus” fa partire altri trenta
secondi di sballo da sintetizzatore prima di “Der Narr im All”, un trip Cosmic
Jokers alla “Astronomy Domine”. “Raumschiff Galaxy fliegt in der Sonne"
è un altro ultrasballo in chiave
Funkadelic, alla “Free Your Mind & Your Ass will Follow". Un sintetizzatore primitivo assordante e
monolitico si fa strada abbattendo qualsiasi cosa. “lntergalactic Nightclub” è un incrocio tra “The Protegé" di Terry
Riley e John Cale e il cantato di lrmin Schmidt in "Come
sta, la Luna", su Soon Over Babaluma.
L’ultimo pezzo del lato A è uno psico-sballo per sintetizzatore e tom, una
specie di mantra alla lvor
Cutler, con il bellissimo tema per pianoforte
di Jurgen Dollase che va e viene.
Julian Cope
- Krautrocksampler
Esistono diversi gradi di contestualizzazione
che si possono ritenere concentrici: nel mezzo sta l’album in analisi; al suo immediato
esterno stanno riferimenti ad altri lavori dello stesso gruppo; poi, via via, riferimenti
a opere simili di gruppi simili, ad opere di gruppi diversi, fino all’ultimo cerchio,
un contesto allargato e
potenzialmente onnicomprensivo, in cui possiamo inserire riferimenti anche ben
distanti dall’oggetto del nostro lavoro. Sono quelli più rischiosi da proporre
ma anche quelli che danno maggiore soddisfazione e peso specifico alla
recensione.
Staggerlee è un uomo libero, perché rischia e
non bada alle conseguenze. Altri, specialmente i bianchi, si fanno avanti per
adularlo, finché egli va in pezzi in una sudicia celebrazione di aghi,
«spirito» e rumore. Finalmente rimane da solo in un lento baccanale, dove i
suoi compagni, in una parodia de|l’amicizia, studiano il momento preciso del
tradimento. L'uomo che vive questo disastro a volte ci esce intero: Malcolm ce
la fece. A volte muore giovane; altre volte scappa.
Dirigendosi
verso questo scontro silenzioso, Sly assunse
sulle proprie spalle le fantasie razziali e sessuali di un vasto pubblico e
sotto di esse barcollò, come se egli fosse stato veramente Staggerlee, tornato dal
mondo dei morti per sopravvivere al proprio mito. Le immagini di padronanza,
stile e trionfo costruite all'inizio della carriera di Sly si ritorsero contro
di lui; le sue vecchie idee politiche morirono, la sua esuberanza si trasformò
in droga, e la sua vecchia musica in una colonna sonora per un mondo che non
esisteva. Come artista, Sly usò tutto questo per rovesciare il grande mito.
È
un ruolo fin troppo reale. Si cercò di addossarlo a Chuck Berry, che non lo
volle mai, e per questo pago con la prigione; Hendrix riuscì a resistere, ma nell'opinione
pubblica quel ruolo io catturò comunque. Riot è il segreto contenuto
neIl'intera, abbagliante tradizione. Qualcosa di più di una semplice
definizione dei rischi connessi nel mettere le mani sul tipo di libertà di
Staggerlee, più di un'illustrazione della pura dualità di ogni archetipo
culturale, Riot reclama la storia.
Greil Marcus – Mistery Train
[Si potrà obiettare che il testo di Marcus è qualcosa
di diverso, di “più” che una semplice recensione da giornaletto musicale; non
importa tanto. E’ un testo che ha come argomento un disco di musica rock. Direi
che questo è sufficiente.]
Tali
relazioni “non iniettive”, in cui un singolo album può essere collegato a vari
elementi di diversi insiemi, devono essere solo musicali? Assolutamente no, ma
occorre un poco d’attenzione.
Per non esagerare
in voli pindarici (spesso sintomo di supponenza eccessiva) ho deciso di
attenermi ad alcune direttive per questo tipo di citazioni, la prima delle
quali è andare a pescare la maggior parte dei riferimenti in quel calderone di
suggestioni che comunemente sta alla base dell’estetica rock: film,
televisione, fumetti, sport. Ma anche arte moderna, possibilmente povera o “profana”,
moda, design, letteratura contemporanea, cultura popolare e folk, leggende
urbane, alcool e sostanze stupefacenti, insomma qualunque cosa condivida con il
verbo rock la destinazione “per la massa”.
Van
Vliet ha forgiato un linguaggio musicale che attinge a fonti tanto
spericolatamente diverse come il folklore delle fiabe, la pittura astratta di Jackson Pollock, l'associazione
libera del surrealismo, le
sinfonie di Charles Ives, le
filastrocche dell'infanzia, Van Gogh, il free-jazz, la musica dei commercial.
Piero
Scaruffi su Captain Beefheart
Quello che a
volte frena questa pratica è il timore di non trovare, nell’opera in esame, riscontri
oggettivi, o per lo meno condivisi,
per la contestualizzazione. Eppure, sono fermamente convinto che non si debba cercare rifugio nell’oggettività,
perché in realtà, in questo campo, non
esiste se non per nomi o date. Non stiamo scrivendo una pagina di Wikipedia,
non dobbiamo proporre meccanici link ipertestuali; così come non scriviamo una
tesi di laurea e non abbiamo l’obbligo di riferimenti bibliografici precisi: il
collegamento contestuale sarà sempre opinabile, personale, soggettivo e sicuramente
contestabile, ma così deve essere. Prendiamoci
del tutto le nostre responsabilità, non cerchiamo appoggi per scaricare il peso
del nostro testo. Quello che conta non è sempre la cruda realtà dei fatti, ciò
che l’artista ha scritto o voleva trasmettere; quello che conta è ciò che arriva alle nostre orecchie e ciò che
riteniamo giusto, utile e bello riproporre al lettore. E su questo nessuno
potrà sindacare.
Certo che
più il riferimento è azzeccato, più sarà condivisibile e quindi condiviso, più
sarà ritenuto valido e illuminante anche dal lettore; ma non lasciamoci troppo
condizionare.
I ritornelli disinvolti delle canzoni di
Syd erano pianeti
fertili nello spazio della improvvisazione
che arrivava a intervalli: il ritorno al tema principale, dopo escursioni
sonore di dieci minuti, era tanto divertente quanto rassicurante. Anche oggi
che Syd è un vago ricordo e Roger è lontano e arrabbiato, c’è qualcosa nelle canzoni dei Pink Floyd che
nessuno è mai riuscito a emulare.
Joe Boyd –
Le biciclette bianche
Concettualizzare
Questo pratica
è utile per sostituire, almeno in parte, la consueta struttura tripartita
introduzione - svolgimento – conclusioni, già descritta in altri articoli.
Si tratta di
desumere dall’ascolto in primis, ma anche dalla storia del
gruppo, dalla copertina, dai testi, insomma da tutto quanto riguardi
direttamente l’album da recensire, pochi “concetti
chiave” in grado sia di interessare il lettore, sia di spiegare o meglio
definire le canzoni in esame, magari da altri punti di vista che non la solita
disamina sonora e musicale.
Si. I
tempi stanno cambiando. Nel
dicembre scorso, alla manifestazione ad Ann Arbor per chiedere la liberazione
di John Sinclair, John Lennon ha detto:
"Il flower power non ha funzionato, proviamo qualcosa di nuovo", e
quando parla Big John sai che sta succedendo qualcosa. Di sicuro i Black Oak
Arkansas non cantano delle venature cristalline nelle ragnatele rugiadose della
loro mente: cantano di "Fever in My Mind" ["Febbre nella mente"] e di
terremoti. ln "The Big One’s Still Coming", il pezzo più potente di
questo disco che ha dentro tanta stricnina da sembrare il flashback di un acido
di per sé, Dandy prende il
tema apocalittico che attraversa tutte le canzoni del disco e lo trasforma
nella visione di una catastrofe naturale imminente: «We’re having an earthquake
/ We`re goin’ insane / A California earthquake / Has been shakin’ our brains» ["C’è il terremoto I Stiamo impazzendo I
Un terremoto californiano / Ci scuote il cervello" ].
[Lester Bangs su Keep the Faith dei Black Oak Arkansas;
il testo delle canzone è concetto su cui basare parte della riflessione.]
Rimontando
questi concetti chiave in un ordine a
nostra discrezione costruiamo un testo non schiavo, o addirittura succube, dell’album,
ma “paritario”, dotato di una propria autonomia, non vincolato al fatto che il
lettore debba ascoltare (o stia ascoltando) la musica di cui parliamo.
Non nascondo
che questa è la proposta più ardua, a volte difficilissima da mettere in
pratica quando la musica ci trasmette poco e mancano altri appigli, anche
aneddotici, interessanti. Però ci si può appoggiare veramente a tutto, anche al
peso di un disco…
Ma essere uscito per la Columbia non è la
sola cosa che fa di Chicago at Canergie Hall un classico. Se siete riluttanti
all’ idea di comprare un marchio a scatola chiusa, un altro modo di calcolare a
colpo sicuro il valore di un album è dare un’occhiata ai solchi. Guardate i segni chiari e quelli scuri. Se i chiari prevalgono, vuol dire che i
solchi sono più larghi, il che a sua volta vuol dire che il disco è più pesante
perché c’è più musica stipata in ogni solco. Questo disco non solo pesa 1 ,46 kg,
ma è così zeppo di suoni che ha solchi talmente larghi da soddisfare persino il
più gretto degli intenditori. Chiunque dica che non è il disco più ponderoso dell`anno
non sa un tubo di matematica.
[Di nuovo Bangs che sfrutta un dato apparentemente
curioso (il colore e il peso del vinile) come spunto per una riflessione più
ampia.]
Certo
occorre evitare di parlare di tutto… tranne che di musica. Ben venga lo spunto
del teso, ben venga l’aneddoto, ben venga la descrizione della cover
dell’album: però c’è bisogno di fare intendere almeno di che musica stiamo
parlando! La recensione non deve mai perdere di vista il valore dell’utilità per il lettore, valore a cui spesso troppo si
sacrifica ma che non può assolutamente venire disatteso. Ecco che la
concettualizzazione ben funziona a braccetto della contestualizzazione: l’una
aiuta a specificare l’altra.
Molti dei protagonisti della saga di
Nellcòte ebbero una fine tragica, ma gli Stones riuscirono ancora una volta,
musicalmente parlando, a trasformare le avversità in polvere di stelle. Exile
On Main Street — il disco che scaturì da quelle tormentate session nella
cantina di Keith Richards — prende il
languore con la scimmia sulla schiena, baciato dal sole della Riviera, e lo
innesca su quella dura sensibilità rhythm’n’blues da roadhouse americano che da sempre caratterizzava la chimica
musicale degli Stones. Pubblicato a metà del 1972, si sarebbe dimostrata
l'ultima loro raccolta di canzoni davvero capace di definire lo spirito del
tempo.
Nick Kent -
Apathy for the Devil
Cercare di
analizzare gli effetti che l’ascolto provoca in noi è un sistema efficace;
effetti che possono essere semplici sentimenti (gioia, malinconia…), ma anche
ricordi o associazioni mentali libere (persone, luoghi, film…). Descrivendo gli
effetti, per poi risalire alla musica, il percorso “narrativo” si inverte
rispetto allo standard e ritengo risulti più libero, originale e malleabile.
Io
preferisco cominciare considerando un effetto. Mantenendo sempre in vista
l’originalità – poiché distorce se stesso chi s’arrischia a fare a meno di una
fonte di interesse così ovvia e così facilmente raggiungibile – in primo luogo,
dico a me stesso: «Degli innumerevoli effetti, o impressioni, di cui è
suscettibile il cuore, l’intelletto, o (più in genere) l’anima, quale dovrò
selezionare in questo caso?» Avendo scelto, per prima cosa, un romanzo e
secondariamente un effetto vivace, considero se può essere elaborato meglio con
episodi o toni – se con episodi ordinari e toni particolari, o al contrario,
con singolarità di episodi e toni – cercando poi intorno a me (o piuttosto
dentro di me) quelle combinazioni di eventi, o toni che potranno aiutarmi
meglio nella costruzione dell’effetto.
Edgar Allan
Poe – Filosofia della composizione
7 commenti:
Ciao! (Non commento spesso ma ci sono eh... ^_^) Grande post! Un vademecum delle recensioni praticamente! Me lo tengo stretto! ^_^
Qui ci sarebbero mille spunti da dibattere, che post!
Al momento una piccola provocazione/osservazione.
Dici: E il fatto di conoscere, magari anche a memoria, l’album che andiamo a recensire è solo il punto di partenza: condizione necessaria e NON sufficiente.
Pensavo ai recensori professionisti e al fatto di conoscere molto bene gli album di cui si parla. Si può davvero conoscere bene un album in uscita quando in un mese bisogna recensirne 15 o 20 magari?
E quanto tempo prima i recensori che scrivono sulla stampa hanno a disposizione i nuovi album per ascoltarli con la dovuta attenzione?
Io alla fine ho il dubbio che questa grande conoscenza non sempre ci sia (e parlo di professionisti) non per mancanza di chi scrive ma proprio per l'impossibilità della cosa, non so se mi spiego.
Poi è ovvio che se uno parla del suo album preferito l'avrà ascoltato 100.000 volte, ma con le novità?
Che ne pensi?
L’ho già detto, ma sono noioso e mi ripeto.
"Fare arte non è compito del critico."
E quindi, creare un testo "non schiavo, o addirittura succube, dell’album, ma "paritario", dotato di una propria autonomia" non è mai, secondo me, lo scopo della recensione.
Detto questo, nel post ci sono spunti molto interessanti per provare a scrivere recensioni meno banali.
Come dicevo qualche giorno fa da me, scrivere bene non fa certo mai male, anzi.
Ricordandosi però che se stiamo scrivendo di musica, scrivere è solo un mezzo, non il fine.
Condivido in pieno anche la parte in cui fai notare che l’ggettività, in questo campo, non esiste, se non per nomi o date: molti non se ne rendono conto, e questo spesso porta a scontri piuttosto aspri...
:)
@firma: si, non hai assolutamente tutti i torti; l'espressione che ho usato è un po' infelice, ma mi serviva per ribadire un concetto: non basta conoscere ciò di cui si scrive, occorre anche conoscere la forma più giusta per farlo.
Occorre però anche dire che stiamo parlando di musica pop, mica di fisica quantistica: tantissimi album sono facilmente "comprensibili" ad un primo ascolto, anche superficiale.
Poi è vero che c'è gente che butta fuori 10 rec al giorno: fossero 7 e non 10 magari sarebbero migliori. Io farei fatica a farle!)
Ciao alle! Guarda se c'è una frase in questo post di cui "sono fiero" è proprio quella che hai ricordato: anzi, rileggendolo mi sono reso conto che bisognerebbe approfondirla molto di più perchè è un presupposto di partenza che necessariamente deve essere condiviso, altrimenti ognuno può pensare di scrivere il Vangelo quando è tutto il contrario.
Devo studiare bene la lezione...
Quanto ho da imparare!
(arrivo qui dal post successivo a questo)
Una frase che mi piace, perché mi consola, è che non si deve parlare di cosa voleva trasmettere l’autore/musicista, ma di cosa arriva alle nostre orecchie; mi consola perché a scuola, quando studiavo letteratura, non riuscivo a capire perché dovessi imparare le intenzioni di un autore (supposte dai suoi studiosi), e non farmi un’idea mia leggendo l’opera. Quando leggo un romanzo e ne voglio scrivere la chiamo non-recensione perché ho da allora la convinzione che una recensione debba essere obiettiva (e fare confronti, contestualizzare, citare ecc) ed io non ne son capace, so solo quale riflessione mi ha stimolato quel romanzo. Con la musica, poi, sono messa peggio: faccio fatica anche ad individuare la riflessione, mi rimane solo una sensazione, che ha il suo valore per me, ma per gli altri sarà forse inutile, è troppo personale. Motivo per cui, in fondo, la musica preferisco godermela da sola e non in compagnia, e non parlarne troppo.
è sempre un grande piacere leggere i tuoi post: mai noiosi, sempre di stimolo
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