Artista: Euclid
Titolo: Heavy Equipment
Anno: 1970
Label: Flying Dutchman
- Amsterdam (AMS 12005)
Line Up:
Gary Leavitt -
Leader, Guitar & Vocals
Harry
"Maris" Perino - Bass & Vocals
Ralph Mazzota -
Guitar & Vocals
Jay Leavitt - Drums
& Vocals
1 Shadow Of Life, On
The Way , Bye Bye Baby
2 Gimme Some Lovin'
3 First Time Last
Time
4 Lazy Livin'
5 97 Days
6 She's Gone
7 It's All Over Now
Album di pesantissima fattura già dal titolo e dalla cover, che ritrae
i quattro musicisti alla guida di un enorme bulldozer, Heavy Equipment è il
prodotto di una sorta di supergruppo del Nord Est formato da ex-membri di
Cobras e Lazy Smoke, piccole glorie di tarda psichedelia regionale. Due
chitarre, basso, batteria, un fracasso
allucinante e un amore viscerale per la scena Londinese di East End, per questi
fanatici heavy-mod del Maine.
Tanto per non lasciare spazio a dubbi, ecco gli undici-minuti-undici di Shadow
Of Life/On The Way/ Bye Bye Baby una mini-opera hard in tre parti, a metà
tra le suite di After Bathing at Baxter's, certi pezzi metallici e modulari dei
Nazareth e passaggi iper-ritmici à la Pete Townshend. Shadow Of Life dispiega uno spettacolare effetto metallico, è zeppa
di riverberi esagerati, riffoni clamorosi tanto più efficaci quando risuonano
nel registro basso delle chitarre, tanto più monumentali se in contrasto con
coretti di voci bianche di spudorata ambiguità. Bye Bye Baby chiude il trittico con passaggi di rabbia furente
mitigati appena dalla magniloquenza melodica degli interventi solisti, mentre
nella parte centrale i fratelli Levitt sfoggiavano un industriale ralentissement da distorta
sbornia post-acida.
Non c’è tregua perchè la cover di Gimme
Some Lovin' restituisce la hit dello Spencer Davis Group in una versione da
horror adolescenziale di bassa lega, un’esagerazione megalomane del rock alternativo
dei Flamin’ Groovies, prima con un terrificante incedere cingolato, poi
enfatizzando il giro armonico discendente, ricoperto con cascate hendrixiane
che ne fanno un curioso ibrido tra Foxy
Lady e I’m a Man dei Chicago:
pezzo definitivo della megalomania testosteronica dell’Hard Rock yankee; da
ascoltare.
Per i feticisti kitsche c’è la bizzarra Lazy Livin' che è un pastiche distorto tardo-fricchettone con tanto
di giardinetto zen di manifesta pacchianeria e sitar deformati e scarnificati
prima di un banale chorus à la David Crosby che aspetta il trapianto in sala
operatoria. Gli onanisti dell’Heavy-Rock troveranno addirittura non una ma tre
polluzioni: First Time Last Time, 97 Days e She's Gone. Pezzi di sintetica cattiveria, che avanzano col passo
della IV Panzerdivision tra ritmiche martellanti ininterrotte ed effetti
chitarristici di notevole modernità, sempre dominati con maturità
dall’inscindibile coppia ritmica dei prodi Levitt & Mazzota. She’s Gone fa bella mostra del riff più
efficace del Nord-Est, sintetico come piace a Roger Glover, ininterrotto,
ciclico e potenzialmente infinito: l’ingranaggio dentato di uno schiacciasassi
assassino. First Time Last Time si
diverte nell’interplay ritmico tra le chitarre e sarebbe ben mimetizzata
perfino su Metal for Muthas. Basta così; It's
All Over Now è la banale nota super-mod che chiude questa cavalcata diesel
su cingolati da battaglia. Nessun altra uscita discografica per il gruppo.
Piccola etichetta, grande valore. I vinili originali Flying Dutchman
(etichetta rosso-gialla a cerchi concentrici) non scendono sotto i 150 $ e le
copie migliori ormai si assestano stabilmente oltre i 250.
CD ristampato con parsimonia: tra i 12 e i 20 euro, con prezzi più
convenienti su Amazon.de. Riscoprirlo può valerne la pena.
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