Il bastian
contrario è in disaccordo per principio; non è un critico, non è un analista o
un libero pensatore. E’ uno statista: identifica la maggioranza e si schiera al
suo opposto. E’ prigioniero, in modo contrario, delle convinzioni altrui.
La logica
sarebbe stata fare di questo pezzo una recensione negativa, ma ciò
contravveniva alle regole del gioco e si è dovuto ripiegare su un profilo un
po’ differente. Il bastian contrario è in accordo sul piano generale (Led
Zeppeli IV gli piace!) ma è in perenne disaccordo nello specifico.
Non lo nego,
è stata una sfida!
Dopo un trittico di successo imponente e notevolissimo spessore artistico,
per i Led Zeppelin sembra giunto il momento della riflessione e addirittura del
ripensamento.
L’album numero quattro della serie, a posteriori, è stato il più
celebrato, il più popolare, il più redditizio. Tale sovraesposizione, legittima
e in buona parte meritata, è però dovuta esclusivamente a Stairway to Heaven, il brano feticcio di tutta quanta un’epoca che
oggi pare piaccia identificare come “classic rock”, quasi a volerne
sottolineare una quantomeno dubbia supremazia su tutto il resto.
Stariway è il preferito dei
fans, delle fans (…in netta minoranza…), il preferito dalle radio, soprattutto
il preferito dei recensori apocrifi. Ma cos’è realmente questa canzone? Una
ballata affascinate, senza dubbio, maliziosa, costruita per piacere senza
stupire né “shockare”. Una grande prova di maturità e di mirabile costruzione
musicale, ben più cerebrale di quanto non sembri.
E se immaginiamo, per assurdo, di togliere questa ballata dalla
tracklist dell’album, cosa resta? Possono gli hard-rock di Black Dog e Rock n’ Roll
tenere testa ai pezzi migliori del secondo album? Possono le pur pregevoli
distorsioni blues di When the Levee
Breaks essere paragonate a Dazed and
Confused o How Many More Time,
quelle sì realmente foriere di stupore e incredulità?
Quello che i Led Zeppelin avevano seminato nei primi tre LP, viene qui
sintetizzato, condensato e raccolto in due ottime facciate; ottime ma, scendendo nei particolari,
non al livello dei singoli capolavori precedenti. E se consideriamo quanto sia comunque
spettacolare anche questo Zoso, possiamo capire veramente la grandezza di
questo complesso, troppo spesso relegato all’arcinoto e stantio ruolo di “patriarca
dell’heavy metal”. In realtà erano ben altri i gruppi che stavano partorendo le
mostruosità metalliche definitive: Gun, Black Widow, poi Blue Cheer, Grand Funk
e Bloodrock in terre oltreoceano. I led Zeppelin non furono gli inventori di
nulla, ma i precursori di molto, e questa è forse la reale grandezza anche di
questo album.
E il bello di Zoso sta nelle pieghe e negli interstizi, più che nelle
celebrazioni postume. Tralasciando quindi i “soliti noti”, ecco che una canzone
minore come Misty Mountain Hop dispiega,
nella semplicità di un riff elementare ed ostinato, tutta la mistica tanto cara
ai componenti del gruppo, riproponendo una visione tardiva, distorta e naif di
quell’ Alice in Wonderland che tanto piaceva ai Jefferson Airplane. Ecco che la
scheggia epic-folk di The Battle of
Evermore dischiude scenari celtici per mandolini ed eroismi assortiti, dove
non è tanto l’ospite Sandy Denny a brillare, quanto la cristallina intesa
acustica tra le corde di Page e Jones. Ma soprattutto la sempre bistrattata Four Sticks, colpevole solo di un titolo
infausto che attira l’attenzione laddove non ce n’è bisogno; e così si finisce
per dimenticare quel bell’arrangiamento di stampo mediorientale, quasi un
anticipazione di Kashmir, che sarà
rivalutato pienamente solo vent’anni dopo, quando Page e Plant si riuniranno
per No Quarter, il più misconosciuto dei progetti post-Zeppelin.
E pazienza se Rock’n Roll è
un collage citazioni scolastico, pazienza se la voce di Plant non è eroica come
un tempo, perché la produzione in studio di Page sopperisce ampiamente ad un
materiale che per la prima volta comincia a dare segni di ripetitività; lo fa
trovando nuovi equilibri, nuove raffinatezze ed una precisione sonora che
mancava nelle prove precedenti, basti a sostegno di ciò il sound di batteria
che apre l’ultima traccia.
Questo non è l’album migliore dei Led Zeppelin e forse non è nemmeno
sul podio: eppure ascoltandolo è lampante il germe di un’ecletticità, perfino
di una modernità per l’epoca addirittura rischiosa. Non un “Testo Sacro”, ma un
vademecum da mettere a memoria, tanto per i residuati hippie folk, quanto per i
più sofisticati stregoni del AOR di fine decennio.
3 commenti:
Basta.
Ho buttato nella pattumiera il cd di Led Zeppelin IV e nel cestino di Windows i file del disco: non posso nemmeno più immaginare di ascoltarlo!
:)
Però il bastian contrario qui sarà anche bastian, ma contrario lo è proprio poco.
...regola di fondo: recensione positiva; è certo il più limitato da ciò!
eh eh alquanto subdolo l'amico..
Molto divertente e interessante tutta la serie!
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