venerdì 4 gennaio 2013

Led Zeppelin IV – Il bastian contrario (esercizi di stile)



Il bastian contrario è in disaccordo per principio; non è un critico, non è un analista o un libero pensatore. E’ uno statista: identifica la maggioranza e si schiera al suo opposto. E’ prigioniero, in modo contrario, delle convinzioni altrui.
La logica sarebbe stata fare di questo pezzo una recensione negativa, ma ciò contravveniva alle regole del gioco e si è dovuto ripiegare su un profilo un po’ differente. Il bastian contrario è in accordo sul piano generale (Led Zeppeli IV gli piace!) ma è in perenne disaccordo nello specifico.
Non lo nego, è stata una sfida!



Dopo un trittico di successo imponente e notevolissimo spessore artistico, per i Led Zeppelin sembra giunto il momento della riflessione e addirittura del ripensamento.
L’album numero quattro della serie, a posteriori, è stato il più celebrato, il più popolare, il più redditizio. Tale sovraesposizione, legittima e in buona parte meritata, è però dovuta esclusivamente a Stairway to Heaven, il brano feticcio di tutta quanta un’epoca che oggi pare piaccia identificare come “classic rock”, quasi a volerne sottolineare una quantomeno dubbia supremazia su tutto il resto.
Stariway è il preferito dei fans, delle fans (…in netta minoranza…), il preferito dalle radio, soprattutto il preferito dei recensori apocrifi. Ma cos’è realmente questa canzone? Una ballata affascinate, senza dubbio, maliziosa, costruita per piacere senza stupire né “shockare”. Una grande prova di maturità e di mirabile costruzione musicale, ben più cerebrale di quanto non sembri.
E se immaginiamo, per assurdo, di togliere questa ballata dalla tracklist dell’album, cosa resta? Possono gli hard-rock di Black Dog e Rock n’ Roll tenere testa ai pezzi migliori del secondo album? Possono le pur pregevoli distorsioni blues di When the Levee Breaks essere paragonate a Dazed and Confused o How Many More Time, quelle sì realmente foriere di stupore e incredulità?
Quello che i Led Zeppelin avevano seminato nei primi tre LP, viene qui sintetizzato, condensato e raccolto in due ottime facciate; ottime ma, scendendo nei particolari, non al livello dei singoli capolavori precedenti. E se consideriamo quanto sia comunque spettacolare anche questo Zoso, possiamo capire veramente la grandezza di questo complesso, troppo spesso relegato all’arcinoto e stantio ruolo di “patriarca dell’heavy metal”. In realtà erano ben altri i gruppi che stavano partorendo le mostruosità metalliche definitive: Gun, Black Widow, poi Blue Cheer, Grand Funk e Bloodrock in terre oltreoceano. I led Zeppelin non furono gli inventori di nulla, ma i precursori di molto, e questa è forse la reale grandezza anche di questo album.
E il bello di Zoso sta nelle pieghe e negli interstizi, più che nelle celebrazioni postume. Tralasciando quindi i “soliti noti”, ecco che una canzone minore come Misty Mountain Hop dispiega, nella semplicità di un riff elementare ed ostinato, tutta la mistica tanto cara ai componenti del gruppo, riproponendo una visione tardiva, distorta e naif di quell’ Alice in Wonderland che tanto piaceva ai Jefferson Airplane. Ecco che la scheggia epic-folk di The Battle of Evermore dischiude scenari celtici per mandolini ed eroismi assortiti, dove non è tanto l’ospite Sandy Denny a brillare, quanto la cristallina intesa acustica tra le corde di Page e Jones. Ma soprattutto la sempre bistrattata Four Sticks, colpevole solo di un titolo infausto che attira l’attenzione laddove non ce n’è bisogno; e così si finisce per dimenticare quel bell’arrangiamento di stampo mediorientale, quasi un anticipazione di Kashmir, che sarà rivalutato pienamente solo vent’anni dopo, quando Page e Plant si riuniranno per No Quarter, il più misconosciuto dei progetti post-Zeppelin.
E pazienza se Rock’n Roll è un collage citazioni scolastico, pazienza se la voce di Plant non è eroica come un tempo, perché la produzione in studio di Page sopperisce ampiamente ad un materiale che per la prima volta comincia a dare segni di ripetitività; lo fa trovando nuovi equilibri, nuove raffinatezze ed una precisione sonora che mancava nelle prove precedenti, basti a sostegno di ciò il sound di batteria che apre l’ultima traccia.
Questo non è l’album migliore dei Led Zeppelin e forse non è nemmeno sul podio: eppure ascoltandolo è lampante il germe di un’ecletticità, perfino di una modernità per l’epoca addirittura rischiosa. Non un “Testo Sacro”, ma un vademecum da mettere a memoria, tanto per i residuati hippie folk, quanto per i più sofisticati stregoni del AOR di fine decennio.

3 commenti:

allelimo ha detto...

Basta.
Ho buttato nella pattumiera il cd di Led Zeppelin IV e nel cestino di Windows i file del disco: non posso nemmeno più immaginare di ascoltarlo!
:)

Però il bastian contrario qui sarà anche bastian, ma contrario lo è proprio poco.

Unknown ha detto...

...regola di fondo: recensione positiva; è certo il più limitato da ciò!

mr.Hyde ha detto...

eh eh alquanto subdolo l'amico..
Molto divertente e interessante tutta la serie!

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