Era il termine di una
notte lunghissima, trascorsa con le menti nei boschi battuti dal temporale
estivo; i mimi con le grandi maschere piatte si tolsero i costumi e li adagiarono
informi sul palco dove il gruppo intonava una melodia ipnotica e circolare. C’è
tanta mitologia agreste e celeste in “The
Herald”, con le sue allegorie del Giorno e della Notte, della Luce e del
Buio separati dal suono di flauti lontani. Un brano interminabile nel cui ciclico
interludio di chitarre acustiche Chris e Roger si divertono a reinterpretare le
affinate polarità di Jansch e Renbourn, senza troppi sofismi ma raggiungendo un
equilibrio e una ritmicità mai noiose. Il ridestarsi della grande Ruota Cosmica
è affidato prima alla viola poi al flauto: e qui i paragoni sono veramente
difficili; è un folk che diventa lied romantico rarefatto, pare troppo
raffinato per essere Pop Music e resta così sospeso ed inattribuibile. Qualche
eco nei brani più estesi di Happy Sad, sostituendo al vivido acquerello intimista
di Love From Room 109 At The Islander
(On Pacific Coast Highway) un gusto allegorico pagano e remoto nel tempo.
Quando su una metà della terra è spenta la natura, un altro Araldo, su
meridiani celesti opposti, estrae il suo zufolo e le ombre si ritraggono veloci.
Rotazioni e rivoluzioni stagionali che insegnarono all’uomo l’arte della vita. Il
solito colore vocale di sesso indefinito qui si trasforma in salmo religioso di
voci bianche. Stupefacente.
Una mattina di molti
giorni dopo, il levarsi del sole vide una Londra finalmente placata. Pare che
le fiamme si fossero estinte presso la Temple Church, ma altre fonti
sostenevano che fosse intervenuto lo stesso Duca di York a distruggere la
Biblioteca per impedire l’ ulteriore diffusione del fuoco. La città ne usciva
comunque distrutta. Gli sfollati che occupavano il grande parco del Principe
Viaggiatore ripresero lentamente la via della capitale in una fila lunga e
ondivaga. Il giardino si svuotò.
Glenn, Roger e gli
altri ragazzi del complesso riposero gli strumenti. Era facile prevedere per
loro un futuro radioso, con una musica di quella qualità. Le cose andarono
diversamente.
Forse fu la malvagia
compiacenza dei testi, o quelle voci che evocavano perversioni incestuose; o la
mancanza di un singolo da classifica; il non scendere a compromessi con la pure
variegata scena prog dell’epoca. First
Utterance fu un fiasco. Nonostante passarono in tour buona parte del 1971,
i Comus non esistevano commercialmente; l’abbandono del fido manager Chris
Youle l’anno seguente segnò anche la fine del gruppo.
Un paio d’anni dopo in
verità ci fu un tentativo di ricostruire un progetto; la neonata Virgin pareva
l’etichetta perfetta e nel gruppo entrò persino lo stralunato saxofonista dei
Gong, nonché braccio destro di Daevid Allen, Didier Malherbe. Ci fu entusiasmo,
ci fu anche un nuovo album, To Keep From
Crying, ben più di compromesso rispetto all’esordio. Mancarono ancora i
riscontri commerciali. Il Semidio pagano piombò nel sonno definitivo.
Tanto definitivo che
presto divenne uno dei massimi culti del revival prog europeo dei primi anni
’80. First Utterance fu (e lo è
tuttora) uno dei più rari LP della scena folk britannica dei primi ’70;
talmente raro che si cominciò a dubitare persino della sua esistenza. Un vero
Graal. In Italia veniva addirittura distribuito come finto album dei Titus
Groan, col titolo Plus: il fatto alimentava la leggenda di un disco “per
iniziati”.
Quando, nel 1995, sarà
finalmente ristampato in CD, l’aura mistica sembrò scomparire ma la musica
manteneva, a distanza di 30 anni, tutto il suo potere ipnotico. La sola
immagine di copertina, raccapricciante da sembrare il cadavere carbonizzato del
Re Cremisi di Barry Godber, valeva il prezzo del disco.
Il Principe Viaggiatore,
dal canto suo, abbandonò la dimora di campagna non appena partiti gli ospiti.
Richiuse le grandi finestre della loggia; tirò le tende pesanti. Poi girò il
cavallo e, incappucciato, lo spronò verso un tempo lontano; alle radici del
paganesimo, indietro nella storia.
LA
MASCHERA DELLA DIVINITA’ DANZANTE
Comus – First Utterance
Dawn Records – DNLS 3019 – 1971
A2 The Herald
A3 Drip Drip
B1 Song To Comus
B2 The Bite
B3 Bitten
B4 The Prisoner
Comus – Diana
Dawn Records – MAX-1006-YD
7", 33 ⅓ RPM, Maxi-Single
A1 Diana
A2 In The Lost Queen's Eyes
B Winter Is A Coloured Bird
DISCOGRAFIA CITATA NEL TESTO
Comus - To Keep From Crying
Arnold Schönberg - Erwartung
Tim Buckley – Happy Sad
The Pentangle - Omonimo
Genesis – Nursery Cryme
IMMAGINI
Maschera teatrale
romana
Tiziano - Bacco e
Arianna
Erwartung (A. Schoenberg),
bozzetto di scena
W. Blake –
Illustrazione per Comus di Milton
Cover e label da Comus – First Utterance e Diana
RIFERIMENTI
DISCOGRAFICI
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