Con oltre 40 anni di storia alle spalle, la vicenda umana e musicale
dei Rolling Stones è sicuramente una delle più lunghe saghe della mitologia
Rock. Tanti enormi successi, tanti grandi scandali ma anche alcuni momenti
realmente drammatici. Momenti che hanno costruito il mito seguendo un copione
che oggi conosciamo. Ma cosa sarebbe successo se le cose fossero andate
diversamente?
Tra i numerosi avvenimenti eclatanti della loro biografia ne isoliamo
due, musicalmente fondamentali: la defezione di Brian Jones e l’abbandono di
Mick Taylor. E’ risaputo che gli Stones valutarono a fondo come sostituirli e
furono prese in esame diverse soluzioni. Cosa ci fu dietro quelle scelte? Cosa
sarebbe successo se Taylor e Wood non fossero mai saliti a bordo della “Più
Grande Rock Band del Mondo”?
Anno 1969
Già da un paio d’anni era chiaro che nella lotta intestina per il
controllo del gruppo, Jones stava avendo la peggio: stagioni di eccessi e
dipendenza da sostanze lo stavano distruggendo e il suo contributo alla band
divenne sempre più marginale. Brian stesso cercava di ritagliarsi altri spazi,
forse in uno strenuo tentativo di dissociare il suo nome dal resto del
complesso. Fu un naufragio lento e tragicamente evidente agli occhi di tutti
coloro che gravitavano nel music business britannico. Pochissimi lo aiutarono
davvero.
Dopo l’uscita di Let it Bleed, nel giugno 1969 fu estromesso
ufficialmente dal gruppo. Morirà appena un mese dopo in circostanze non
limpide.
Se ne andò così non solo un membro fondatore del complesso, ma
addirittura la sua prima e più lucida mente pensante. Brian Jones fu
arrangiatore, produttore, polistrumentista e personaggio di totale avanguardia
già nei primi anni ’60.
Ma i tempi stavano cambiando: Clapton e Bloomfield avevano inaugurato una
nuova generazione di chitarristi eroici capaci di assoli eterni e pirotecnici:
il mainstream si stava rapidamente adeguando e l’esordio di Hendrix scardinò
definitivamente la frangia più commerciale della british invasion. Gli Stones avevano
bisogno di ribadire la loro supremazia anche in questo momento e perciò la
scelta di un nuovo solista fu fondamentale. I Beatles, che non riuscirono a
cambiare faccia, scomparvero di lì a poco, spazzati via dalla corrente.
Ma allora chi imbarcare per inaugurare un nuovo corso? I casting sono
aperti …
Luther Grosvenor
E’ l’enfant-prodige della nuova generazione: bello, sfrontato, pieno
di feeling, ridondante negli effetti e nel volume, qualcosa tra Kossof e
Ronson. Reduce da 2 album con gli Spooky Tooth (il secondo un capolavoro
assoluto), un gruppo che va però sfaldandosi inesorabilmente. Agli Stones può
dare una nuova carica, traendo linfa da territori anche lontani dal blues,
magari proiettando il gruppo di Jagger verso nuovi orizzonti glam e multiformi.
Ma attenzione: è una presenza scenica fortissima e debordante, tanto da potere mettere
in ombra addirittura i leaders indiscussi Jagger & Richards.
Ry Cooder
Un giramondo appassionato del blues più antico e rurale; è quasi di
casa in quanto chitarrista e, forse, co-autore di un paio di brani di Let It
Bleed. Cultura musicale sopraffina, musicista eclettico e preparatissimo, più a
suo agio in territori acustici e retrò che nel tonante rock n’ roll. Fu già
nella prima incarnazione della Magic Band di Beefheart nel 1967: ne uscì, non
condividendo la sterzata verso l’avanguardia del leader. Un elemento con cui
gli Stones avrebbero potuto approfondire i blues aspri e antichi di Beggar’s
Banquet, all’opposto di Grosvenor. Un artista, però, più adatto a lavorare da
solo che come elemento stabile di un gruppo.
Vuole la leggenda che anche uno dei patriarchi del British Blues fu in
odore di entrare nel gruppo. Sicuramente sarebbe stato un botto: Korner fu un
po’ il padrino per il movimento Rock-Blues britannico e un sorta di “reunion” avrebbe attirato i
riflettori sul gruppo. Non per molto però: i tempi cambiavano ed era necessario
trovare altre voci.
Mick Taylor
Ennesimo pupillo di John Mayall con il quale aveva inciso Crusade nel
1967. Solista blues iper-classico: fluente, limpido e precisissimo, emulo di
Clapton ma aperto a contaminazioni rock e country e, soprattutto, molto
efficace dal vivo. Una presenza discreta, finanche timida (magari anche troppo...)
fuori e dentro la ribalta: tutto sommato un giovane pronto per il grande salto.
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