mercoledì 8 febbraio 2012

FantaRock: The Stone that never was - 1969



Con oltre 40 anni di storia alle spalle, la vicenda umana e musicale dei Rolling Stones è sicuramente una delle più lunghe saghe della mitologia Rock. Tanti enormi successi, tanti grandi scandali ma anche alcuni momenti realmente drammatici. Momenti che hanno costruito il mito seguendo un copione che oggi conosciamo. Ma cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente?
Tra i numerosi avvenimenti eclatanti della loro biografia ne isoliamo due, musicalmente fondamentali: la defezione di Brian Jones e l’abbandono di Mick Taylor. E’ risaputo che gli Stones valutarono a fondo come sostituirli e furono prese in esame diverse soluzioni. Cosa ci fu dietro quelle scelte? Cosa sarebbe successo se Taylor e Wood non fossero mai saliti a bordo della “Più Grande Rock Band del Mondo”?


Anno 1969

Già da un paio d’anni era chiaro che nella lotta intestina per il controllo del gruppo, Jones stava avendo la peggio: stagioni di eccessi e dipendenza da sostanze lo stavano distruggendo e il suo contributo alla band divenne sempre più marginale. Brian stesso cercava di ritagliarsi altri spazi, forse in uno strenuo tentativo di dissociare il suo nome dal resto del complesso. Fu un naufragio lento e tragicamente evidente agli occhi di tutti coloro che gravitavano nel music business britannico. Pochissimi lo aiutarono davvero.
Dopo l’uscita di Let it Bleed, nel giugno 1969 fu estromesso ufficialmente dal gruppo. Morirà appena un mese dopo in circostanze non limpide.
Se ne andò così non solo un membro fondatore del complesso, ma addirittura la sua prima e più lucida mente pensante. Brian Jones fu arrangiatore, produttore, polistrumentista e personaggio di totale avanguardia già nei primi anni ’60.
Ma i tempi stavano cambiando: Clapton e Bloomfield avevano inaugurato una nuova generazione di chitarristi eroici capaci di assoli eterni e pirotecnici: il mainstream si stava rapidamente adeguando e l’esordio di Hendrix scardinò definitivamente la frangia più commerciale della british invasion. Gli Stones avevano bisogno di ribadire la loro supremazia anche in questo momento e perciò la scelta di un nuovo solista fu fondamentale. I Beatles, che non riuscirono a cambiare faccia, scomparvero di lì a poco, spazzati via dalla corrente.
Ma allora chi imbarcare per inaugurare un nuovo corso? I casting sono aperti …

Luther Grosvenor

E’ l’enfant-prodige della nuova generazione: bello, sfrontato, pieno di feeling, ridondante negli effetti e nel volume, qualcosa tra Kossof e Ronson. Reduce da 2 album con gli Spooky Tooth (il secondo un capolavoro assoluto), un gruppo che va però sfaldandosi inesorabilmente. Agli Stones può dare una nuova carica, traendo linfa da territori anche lontani dal blues, magari proiettando il gruppo di Jagger verso nuovi orizzonti glam e multiformi. Ma attenzione: è una presenza scenica fortissima e debordante, tanto da potere mettere in ombra addirittura i leaders indiscussi Jagger & Richards.



Ry Cooder

Un giramondo appassionato del blues più antico e rurale; è quasi di casa in quanto chitarrista e, forse, co-autore di un paio di brani di Let It Bleed. Cultura musicale sopraffina, musicista eclettico e preparatissimo, più a suo agio in territori acustici e retrò che nel tonante rock n’ roll. Fu già nella prima incarnazione della Magic Band di Beefheart nel 1967: ne uscì, non condividendo la sterzata verso l’avanguardia del leader. Un elemento con cui gli Stones avrebbero potuto approfondire i blues aspri e antichi di Beggar’s Banquet, all’opposto di Grosvenor. Un artista, però, più adatto a lavorare da solo che come elemento stabile di un gruppo.

  

Alexis Korner

Vuole la leggenda che anche uno dei patriarchi del British Blues fu in odore di entrare nel gruppo. Sicuramente sarebbe stato un botto: Korner fu un po’ il padrino per il movimento Rock-Blues britannico  e un sorta di “reunion” avrebbe attirato i riflettori sul gruppo. Non per molto però: i tempi cambiavano ed era necessario trovare altre voci.





Mick Taylor
  
Ennesimo pupillo di John Mayall con il quale aveva inciso Crusade nel 1967. Solista blues iper-classico: fluente, limpido e precisissimo, emulo di Clapton ma aperto a contaminazioni rock e country e, soprattutto, molto efficace dal vivo. Una presenza discreta, finanche timida (magari anche troppo...) fuori e dentro la ribalta: tutto sommato un giovane pronto per il grande salto.

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