L’immagine del giovane cantante di Tupelo
era così magnetica da spalancare ad Elvis le porte del cinema (oggi si direbbe
di serie B…) che lo vide protagonista di una serie di filmetti sdolcinati a
base musicale che in Italia chiamavamo musicarelli.
Tra il ’56 e il ’66 Elvis girò 22 pellicole (tra cui titoli inquietanti come Kissin' Cousins, Girls! Girls! Girls! o Blue Hawaii) che nei momenti di forzata assenza del Divo
dal palcoscenico, durante il servizio militare per esempio, essi contribuirono
a congelarne l’immagine in modo massivo.
Il cantante era percepito come presente, attivo, tangibile e senza interrompere la relazione visiva si
manteneva un solido rapporto tra pubblico e artista.
Una
sera del 1973 andammo a vedere l'ultimo film di «El»; il cinema era
praticamente vuoto. Cerano alcune coppie sui vent'anni, una coppia più anziana
che se ne andò quasi immediatamente, un vecchio seduto da solo, probabilmente
semplicemente in cerca di un rifugio dalla pioggia. ll film era Elvis in Tour,
un documentario sull'apoteosi del dopo comeback, con gesti rivolti verso la
Storia. Ci sono riprese tratte dal suo primo trionfo: Elvis che “rocca"
all’Ed Sullivan Show durante Reody Teddy. La
performance e sbalorditiva, oltremodo, ed è difficile credere che qualcuno
oggi in vita fosse davvero in giro a vedere una tale vista (sebbene,
naturalmente, lo eravamo). That’s All Right suonata durante la ripresa di un
treno che corre sui binari, mentre Elvis racconta della sua infanzia: «Non ho
mai visto un chitarrista che potesse valere qualcosa», ricorda che suo padre gli
diceva. «Sono nato all’incirca diecimila anni fa», canta Elvis in una delle sue
canzoni recenti, e questo sembra esprimere ogni cosa, riassumere il
guazzabuglio del tempo che governa il film, e noi; l'inizio del film sembra
quantomeno così distante, e riporta a casa quanto tempo è passato da quando Elvis
e noi fummo catturati gli uni dagli altri. Da qualche parte verso la fine del
filmato c'è una bellissima sequenza di baci di Elvis da film, un perfetto
attacco alla aggressiva mancanza di significato di quegli anni: come pezzi del
domino, una stellina dopo l’altra cade tra le braccia di Elvis. Ah, Elvis, ci
dice in questo momento, questo è ciò che sono diventato, ma non e il vero me
stesso. Be', che cosa è? Questo grasso e tozzo flyer sullo schermo, filmato dal
vivo concerto dopo concerto, che macina meccanicamente le stesse canzoni, le
mosse coreografate da karate (l’equivalente anni Settanta delle mossette dei fianchi?)
come se la sua vita fosse un nastro
mandato in loop? La sequenza dei baci vuole essere una parodia del passato,
ma scorre parallela al presente.
Greil Marcus – Mystery Train
Il Mito di
Elvis è ancora oggi il più enorme, imitato, idolatrato di tutta la musica
popolare del dopoguerra.
Per
promuovere la prima incisione di Presley per la RCA "l Was The One"/"Heartbreak
Hotel", l’artista fu in esclusiva per sei settimane nello spettacolo
televisivo di prima serata di Jackie Gleason. Il disco era una miscela di
sonorità innovative applicate agli stili country and western e blues. All‘accompagnamento
essenziale di chitarra ritmica, scandito dal basso, che era tipico dei dischi
della Sun, la RCA aggiunse un suono orchestrale più ricco, e cori di gruppi
vocali, mantenendo il ruolo di primo piano della chitarra, "Heartbreak Hotel", una canzone implacabilmente malinconica
sul destino avverso, coinvolse emotivamente il pubblico televisivo come mai era
accaduto prima, ed infatti le vendite disco si spostarono rapidamente dal
mercato country and western, a quello pop per arrivare al rhythm and blues.
Alla RCA erano convinti che il rock’n’roll, in teoria una fusione di country
and western, pop e rhythm and blues, potesse piacere contemporaneamente ai tre
tipi di pubblico. Eppure, analogamente alla Decca, non fece altri grandi sforzi
per cercare di sviluppare questo successo ingaggiando altri cantanti validi di
rock’n’rolI.
Per
otto anni, dal 1956 al 1963, il successo di Presley preoccupò l’industria
discografica. Nei primi due anni con la
RCA, i dischi più venduti erano tutti di Presley e restarono in testa alle
classifiche per 55 settimane su 104 complessive, un dominio incontrastato
che rendeva merito in modo eccessivo alla qualità delle sue incisioni, rispetto
ad altre, ma che era la prova di una sapiente campagna promozionale della RCA e
di un’attenta gestione dell’artista da
parte del suo manager, il colonnello Tom Parker, che lego la fortunata
carriera musicale di Presley ad una di pari successo nel cinema In seguito,
anche quando i dischi di Elvis non erano necessariamente destinati a
raggiungere la fatidica prima posizione in classifica, si aveva la certezza che
avrebbero comunque superato il milione di copie vendute nel mondo, La sua voce
aveva qualcosa che permetteva alla gente di identificare in lui le proprie
esperienze, sensazioni ed interessi.
Desiderosi
di conservare la fedeltà del pubblico già interessato, e anzi, di conquistare
una platea ancora più vasta, i produttori RCA—Victor trasformarono lo stile di
Presley in una versione aggiornata di quello dei crooner, che aveva permesso a
Bing Crosby e Perry Como di registrare un grosso volume di vendite per diversi
anni.
Charlie Gillet – The Sound of the
City
Lo stesso Ed Sullivan, che non avrebbe
voluto che Elvis si esibisse nel suo show, fece poi pubblica ammenda
riconoscendo che il ragazzo era veramente “buono
e bravo”, come già insegnava l’epica greca.
L’Ed Sullivan Show, pur tra piccole
censure, vendette personali, e rigidità assortite, diede visibilità al Rock n’
Roll degli anni cinquanta, al surf dei Beach Boys e alla British Invasion della
prima metà dei ‘60. Ma quando la musica pop si fece più combattiva ed
esplicita, fu difficile trovarle una collocazione nel sabato sera
nazionalpopolare: prima furono gli Stones a dovere cambiare le parole di Let's
Spend the Night Together in Let's spend some time together; poi fu
chiesto ai Doors di modificare la frase "girl,
we couldn't get much higher” (in Light My Fire): il fatto che Jim Morrison non si
autocensurò e pronunciò in diretta qualcosa che poteva essere percepito come un
riferimento alla droga e allo “sballo” mandò su tutte le furie Sullivan che
bandì il gruppo dal suo show; in eterno.
L’episodio fu solo un’ulteriore
dimostrazione del fatto che tutta quanta la musica Rock, dopo qualche anno di
placida restaurazione, stava prendendo una piega totalmente inadatta ad un
pubblico di famiglie, e forse non adatta nemmeno alla televisione stessa.
E mentre in molti altri spazi della vita
quotidiana il video stava soppiantando la radio (nello sport, per esempio, ma
anche nell’attualità, vedi la mitica giornata dello sbarco sulla Luna), la fine
degli anni ’60 segnò, in musica, un nuovo punto a favore della radio, che
scoprì la libertà delle FM, e quindi la possibilità di trasmettere senza
restrizioni Rock ventiquattro ore su ventiquattro, fornendo una cassa di
risonanza importantissima ai nuovi gruppi “progressivi” e virtuosi che stavano
spingendo la musica popolare verso vette di complessità e sofisticazione fino
ad allora sconosciute. Le esperienze di Hendrix, Cream, Paul Butterfield avevano
trovato il loro naturale habitat. Si aggiungano, di lì a pochissimi anni, le suite chilometriche del Prog o le
estrosità ambigue dei gruppi Glam, e sarà chiaro quanto il rock-mainstream
ormai mal si addiceva alle rigide scalette televisive. Infine i Led Zeppelin
chiusero il discorso dimostrando che si potevano fare i milioni anche eliminando
ogni rapporto (costruttivo) con la stampa e senza mai concedersi alle TV,
inaugurando quel prototipo di Rockstar imbronciata e inarrivabile che terrà
banco per tanto tempo.
“Una
volta, quando ero bambino, i musicisti erano gente misteriosa (…) li vedevi alla televisione ogni tanto però la
copertura mediatica era limitata. Adesso invece il gioco è aperto a tutti e il
mistero non c’è più…e senza mistero è un
altro mondo”
Robert Plant
Gli anni compresi tra la fine dei ’60 e l’inizio
dei ‘70 rappresentarono l’apogeo del Mistero
in Rock. I complessi si danno
nomi sempre più complessi, composti
da due o tre parole, senza alcun accenno ai nomi propri dei musicisti e di
difficile interpretazione per i “non iniziati”. Nelle copertine dei dischi le
foto furono bandite: se fino a qualche anno prima ogni grande gruppo sfornava illustrazioni
di copertina con ragazzi sorridenti e ben messi a fuoco, i campioni di vendite
della nuova musica si erano gettati sulle costruzioni concettuali della
Hipgnosis o sul fantasy in stile Roger Dean, che nulla sembravano avere a che
fare con la musica: King Crimson, Pink Floyd, Led Zeppelin e molti altri “Pesi
Massimi” non riportavano più nemmeno il nome del gruppo o il titolo dell’album
in copertina, preferendo alla facile identificazione dell’artista immagini di
mucche, volti rubicondi deformati, rune nordiche ed eremiti dei tarocchi. Benvenuti nella vera epoca Orfica del Rock,
quella in cui ogni segreto è mantenuto e nessun mistero rivelato, in quanto
parte integrante di una Moderna Mitologia per adolescenti.
La visibilità era tornata ad essere tabù;
i performer erano officianti di riti misteriosi che si concedevano al
“contatto” con i fedeli solo durante il rito, cioè il concerto, almeno quando
non erano travestiti o portavano improbabili maschere come Jetro Tull e Genesis.
Di fronte a questa ondata sovversiva e televisivamente improponibile anche il
vecchio Ed Sullivan fu costretto a chiudere i battenti nel 1971.
IMMAGINI
Elvis Presley – King Creole (1958)
Pink Floyd - Atom Heart Mother
(1970)
4 commenti:
Avevo 14 anni e fui molto incuriosito, fra le tante, di fronte alla copertina della mucca che apparteneva al padre di un amico.
Da lì a poco ebbi il mio primo incontro con i Pink Floyd e fui rapito da qualcosa che non avevo mai sentito prima (mi ero avvicinato alla musica con i cantautori). In effetti è vero si ascoltavano per anni gruppi formati da gente di cui molto spesso non si conosceva nenache il volto.
Alcune risposte di Plant all'intervista a "che tempo che fa" di un paio di anni fa (forse meno...stava promuovendo band of joy) sono state veramente interessanti. quando dice "Adesso invece il gioco è aperto a tutti e il mistero non c’è più…e senza mistero è un altro mondo", offre una chiave di lettura interessante al cambiamento di certa musica dalla sua generazione alle seguenti; senza dare giudizi, ma valutando un aspetto, quella della "visibilità" appunto spesso dimenticato.
cazzo che roba evil.
L'ho già detto in un altro commento: il "Long Playing", grazie alla copertina, era anche libro e quadro.
L'ascolto era indossolubilmente legato alla lettura dei testi ma, soprattutto, alla visione delle immagini: e così ti perdevi "in volo", per un pò dimentico del mondo attorno a tè.
QUESTA "FANTASIA" NON C'E' PIU': di essa era figlia il mistero!
Ciao.
Posta un commento