Frammento #6 - Isola di Taiwan - 26-09-2034
Solo qualche anno fa Taiwan contava oltre 20 milioni di abitanti, la
metà dei quali nell’area urbana di Taipei. Oggi, ad oltre un anno dall’Avvento,
metà della gente è emigrata. Scappata. Molti a Singapore, altri nelle Filippine
o nel sud del Giappone. Sull’isola ci sono circa 500.000 militari tra marina ed
esercito, provenienti da oltre 32 stati, c’è addirittura un reparto scelto di Gurkha
nepalesi; se ne stanno in disparte, nelle caserme britanniche. Li vedi affilare
i coltelli, parlare qualche dialetto himalayano ignoto. Meditano la fuga. Il
mese scorso una squadra di incursori scelti dell’Angola si è data alla macchia.
Gente che ha passato tutta la carriera a sparare a ragazzini armati tra Namibia
e Sud Africa, a bonificare campi minati a mani nude. Arrivati nella metropoli,
hanno perso la testa. Saranno in qualche bettola di Shulin Station a farsi di O-Fu-Jing.
Alla periferia est di Taipei in appena quattro mesi si è formata la più
vasta zona militare americana al di fuori dei confini degli USA. Gli inglesi
hanno basi a Tongsiao e Madou, la Francia a Fangyuan, la Corea e il Brasile a Dong.
Ci sono contingenti spagnoli, italiani e portoghesi a New Taipei.
Noi ci sistemiamo al nuovo Camp Reagan, una struttura moderna e
modulare che sembra un alveare iper-tecnologico per vespe ammaestrate, nella
zona di Beitou, dove un tempo c’era un’università. Abbiamo mezza giornata
libera, domani mattina un certo Colonnello Berenger ci aspetta ai piani alti
del comando per le informazioni riservate sulla nostra missione. Per lo più
scartoffie da firmare. Dichiarazioni di responsabilità; assicurazioni; consenso
scritto; presa visione dei documenti riservati di incarico. Il comando si para
il culo.
Appena sbarcati a Port Bali un filippino con enormi baffi penduli ha
cercato di vendermi una Dodge gialla del 1983. “Io fa buon plezzo yankee,
plezzo buono. Gualda motole, pochi chilometri, pochi! Yankee. Compla per
poooocooo”. Ride sotto i baffi; non gli compro la macchina ma gli scrocco un
pacchetto di Djarum Coklat indonesiane, sigarette ai chiodi di garofano, col
sapore dell’asfalto fresco.
Dietro di noi sparuti gruppi di giovani incappucciati scrivono veloci
sui muri dei bacini di carenaggio, con vernici rosse a spray: RED 1 SUKS!!
Spesso sono sabotatori autogestiti che con il benestare dei liberali pacifisti
si esibiscono in piccole azioni dimostrative antimilitari: fuochi artificiali
nelle piazze, volantini anti-vivisezione gettati dai grattacieli; strade
dipinte di vernice rosa, colombi liberati a migliaia davanti le ambasciate. Quando
si sentono fortunati tentano qualche attacco agli incrociatori con gommoni in
stile Greenpeace, ma spesso lo scontro va a finire male. La scorsa settimana ne
hanno beccati quattro a Kagoshima; nessuno ne ha più saputo niente. Di solito
si comincia con un pestaggio standard; poi capita che quello sia asmatico o
debole di cuore, e ci lascia le penne… e allora bisogna togliere di mezzo anche
gli altri; non si lasciano testimoni a meno che non siano completamente
sballati. Ma sprecare una paio di cento dollari di roba per imbottire un
pacifista che la sa troppo lunga è uno spreco, no?
Offro a Garner un tiro di quella porcheria indonesiana e mentre
attraversiamo Linggang Boulevard ci fermiamo ad ascoltare un gruppo misto di
buskers che suona rock n’ roll vecchia maniera tra gli ultimi container vuoti
del porto. Cover di Killers e Libertines, Horrorshow,
The World We Live In, ululate da un
altissimo trans tailandese che canta con accento orientale addirittura
esagerato, mentre il chitarrista capellone si tiene la frangia lunga sugli
occhi, una mezza sigaretta pendula in bocca e si guarda bene dal muoversi
troppo, mentre dalla sua vecchia e rattoppata Gibson escono accordi triti e appestati
di fumo.
This is the world that we live in I still want
something reallll!!!
Come ultimo pezzo si lanciano addirittura in una sconvolta cover di Roll away the Stone dei Mott the Hoople:
che gran pezzo! Garner ogni tanto lo metteva ancora su alla 97.5 di Akron, da
civile; da ragazzino. “Lolla way de stonn, lolla way the stonn”. Ci facciamo
una risata mentre il capelluto chitarrista si lancia in un folle assolo
schizoide sbavato di rimmel, mentre il bassista sta già girando tra il pubblico
col cappello in mano.
And in the darkest night I'll keep you safe and
all right.
Dall’altra parte della strada il solito MP, modello standard, ci
aspetta.
“Wayne Anderson”
“Si”
“John Garner”
“Si”
“Seguitemi, ho l’ordine di scortarvi al comando”
“E perché l’esercito manda un MP?”
“Non so: io devo scortarvi al comando”
Bella conversazione. Esauriente. Nessuno sa mai nulla. Questo è il
mondo in cui ci tocca vivere.
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