Artista: Granicus
Titolo: Granicus
Anno: 1973
Label: RCA Victor AFL
1-0321
Lineup:
Woody Leffel -
vocals, guitars
Wayne Anderson - lead
guitar
Allen Pinell - rhythm
guitar
Dale Bedford - bass
Joe Battaglia – drums
Tracklist:
You're In America 4:09
Bad Talk 2:35
Twilight 3:18
Prayer 11:02
Cleveland, Ohio 3:24
Nightmare 8:15
When You're Movin' 3:11
Paradise 7:09
C’è un momento in Prayer,
quando Woody Leffel urla disperatamente “I've
Been Trying”, in cui si percepisce alla perfezione lo sgretolarsi del
sogno; la fine delle velleità e delle aspirazioni. È il punto dove “l’onda va a sbattere e poi torna indietro”,
come scriveva Thompson in Fear and Loathing in Las Vegas. La canzone, che era
cominciata come una quieta confessione pastorale, continua con una massa di
delirio chitarristico sovrainciso mille volte e ricantato altrettante, mentre Bedford
e Battaglia dimenano un ritmo frenetico a perdifiato. Qui finisce il lato A. E’
un disco che a questo punto si ha quasi paura a toccarlo, tanta l’energia
radiante che spigiona.
Leffel, Anderson, Pinell,
Bedford e Joe Battaglia si incontrarono a Cleveland e misero in piedi la Rock Band
dei loro sogni, che solo oggi è riverita come una delle maggiori e più limpide realtà
tra i Grandi Dimenticati del Rock, travolti da un insolito destino che gli fece
assaggiare la Celebrità, quella con lettera maiuscola, prima di rispedirli
direttamente nella polvere, sudati e sanguinanti come l’eroe di un film western
alla fine del primo tempo.
Granicus, anno 1973, album fantastico, sound tagliente, cristallino;
vermiglio ma freddo come un tramonto in Alaska, prototipo del più puro
distillato di Hard Rock, da fare impallidire Aerosmith, Montrose e Rush,
racchiude un mix di rabbia, rancore, risentimento e cinismo spaventosi; dove il
cantante grida “You’re in AmeriKaaaaaaaaaaaa”
è palese quell’autentico sentimento di disgusto sociale che presto le schiere carnivore
del punk isseranno in Kings Road. Ma qui non è terreno per Johnny Rotten o Richard
Hell: siamo in America dopo tutto, e il sogno
fa parte dei diritti costituzionali. Il fatto che si avveri, invece, non è affatto
garantito.
Woody Leffel, non ditelo in giro, è stato il migliore urlatore Hard degli
ultimi 40 anni. Esagero? Si. Ma voi provate ad immaginare quell’anello mancante
tra Robert Plant, il falsetto di Geddy Lee e tutto il rabbioso nichilismo di un
Cobain o di un Henry Rollins: questo era Leffel. Gli sta dietro una chitarra
solista logorroica, secessionista: un maschio alfa che ulula per tenere assieme
il branco nelle notti di luna. Allora si spiegano facilmente episodi come Bad Talk, con un riff misogino di
sboccata grandeur; o Cleveland, Ohio,
una tirata negativista e irrispettosa, volgare, come un Jon Kay psicopatico e terrorizzato
dalla luce delle estati californiane. E la conclusiva Paradise, ultimo tentativo di Hard Rock stellare e satanico allo
stesso tempo, su tempi velocissimi al limite del trash. Poi Prayer e Nightmare, le ballatone acustiche obbligatorie, autopsie
introspettive, modellate forse sul Moloch Stairway
to Heaven, travisando del tutto certa
violenza posticcia e studiata tipica dei Led Zeppelin, per contrabbandare a
quegli stessi teenagers ansiosi di scopare e ubriacarsi un grido di
disperazione lanciato dalle viscere di una generazione sconfitta in partenza.
“Non so come pregare” …e
nessuno è qui per aiutarti, Woody.
Tra tutto questo roboante scenario metallico e ghiacciato, il vento
siberiano di Twilight si porta via
una melodia sinistra da pianure cimmeriche; una foglia che cade presto, prima
dell’autunno.
Il gruppo, sotto contratto con la RCA, faceva il pendolare tra Cleveland
e New York, inseguendo il sogno della Gloria, della Ricchezza. Quando le cose
sembrarono andare male, con la casa discografica in procinto di scaricarli,
furono addirittura contattati da Sandy Pearlman, Grande Uomo Columbia, allora
alla ricerca di un gruppo Amerikano che potesse dare forma alle sue degenerate visioni
urbane di possessione extra-terrestre. I Granicus declinarono l’offerta e Pearlman
ripiegò sui Blue Oyster Cult.
Del gruppo di Leffel e Anderson restarono per anni solo le ombre nere
sulla copertina dell’album.
Poi, un paio d’anni fa, una nuova uscita Thieves, Liars, &
Traitors, con inediti dell’epoca: un intero album mai inciso, ma dalle
potenzialità imponenti.
I ragazzi ci hanno provato; hanno realmente esposto tutto quello
avevano, mettendosi a nudo per impresari e colletti bianchi che mai li
meritarono.
A noi resta la possibilità di ascoltarli ancora, aiutarli a trovare
una via di fuga a quella rabbia che sembrava doverli uccidere tutti, sul palco
di un’ultima notte elettrica.
Non è poco.
Disco oggi quasi mitologico per i fan dell’Hard Rock Puro, non
raggiunge valutazioni stratosferiche per il solo fatto di essere un prodotto
della RCA. Un buon vinile (classica label arancione) si porta a casa con un
centinaio di euro (e un po’ di fortuna); sempre in formato LP esistono anche
ristampe assai recenti.
Il CD di stampa Free Records (con bonus live tratti da un’apparizione
radiofonica) si trova nuovo a prezzi piuttosto alti su Amazon (tra i 20 e i 25
euro), usato costa a meno della metà. Esiste anche una stampa CD meno recente,
sempre della Free, che su e-bay supera difficilmente i 10 euro.
Album consigliatissimo.
Non da trascurare il recente Thieves, Liars, & Traitors, prodotto
degli archivi, con basi registrate a metà anni ’70, su cui Leffel ha reinciso
la parte vocale in tempi recenti (e si sente…), eccetto negli strabilianti 27
minuti di medley live di chiusura, direttamente dal 1973, con la band al picco
della forma, che cerca di spingere ancora più in là l’asticella che gli
Zeppelin avevano posto con la Whole Lotta Love che chiudeva i concerti nel
1970. Per il resto buoni spunti musicali (e testuali, vedi The Wizard of Was), poverissima produzione.
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