La
maggior parte delle recensioni che ho scritto e un buon numero di quelle che si
leggono in giro sono organizzate, più o meno esplicitamente, secondo un immutabile schema tripartito, buono per
ogni tema dalla seconda superiore in su:
introduzione
svolgimento
conclusioni
Uno
schema assai funzionale, che agisce bene soprattutto con gli album che poco
concedono alla fantasia, adatto a testi lineari, scorrevoli e senza troppe
pretese ma che presto prende il totale controllo del prodotto e lascia al
povero autore scarsi margini di manovra. Non c’è nulla di male a seguire un
canovaccio simile: si possono scrivere ottimi articoli seguendo
quest’impostazione, ma la verità è che alla fine stanca. Forse più l’autore del lettore; ad ogni modo dopo avere
toccato il fondo con un paio di pezzi su Maypole
e Tongue,
mi sono ripromesso di cercare
alternative, soprattutto alla cronica sclerotizzazione di ognuna delle
tre parti.
Quali
sono i temi ricorrenti e ormai consunti? Vediamoli punto per punto.
NB: questa NON è una lezione; non voglio
fare la morale a nessuno, sono considerazioni che faccio a me per primo e non
pretendo assolutamente di insegnare a scrivere a chi già lo sa fare. Detto
questo, se la galassia dei blog musicali, e più in generale delle fanzine sul
web (e magari anche della stampa specializzata?) vuole arrivare ad avere quei
riconoscimenti e quella considerazione che forse merita, credo si debba
lavorare sulla qualità innanzi tutto, magari partendo proprio dai testi.
Introduzione
E’
un breve paragrafo di poche frasi che solitamente serve a contestualizzare un
gruppo o un album, inserendoli in una prospettiva, se non storica, almeno
cronologica. Funziona solitamente in questo modo:
Un classico quartetto con chitarre
gemelle, non tanto conosciuto ma forte di un’ ottima reputazione tra gli
iniziati. Band originaria del Texas, ma presto traslocata in California,
formata sulle ceneri dei Bubble Puppy e prodotta dal biondo bassista degli
Steppenwolf Nick St. Nicholas, con una discrete potenzialità FM pur se di fatto
l’album è un “live in studio”.
Ci
sono soluzioni differenti e spesso aberranti come la “professione di umiltà”
già citata in parole in esilio:
E’ con un po’ di emozione che mi accingo
a scrivere di un album di cui tutto è già stato scritto e di cui non sarò certo
io il primo a decantarne l’importanza nella storia del Rock.
Non
manca chi preferisce dare un taglio più personale e introduce il pezzo con considerazioni
in prima persona, trasformando il recensore in narratore interno alla vicenda; gli estremisti di questo sistema
mirano al giornalismo gonzo di Thompson e Bangs e cercheranno improbabili tagli
narrativi che spesso finiscono per trattare più le vicissitudini esistenziali
del recensore che il disco vero e proprio.
Quando mi è stato chiesto di recensire
l’ultimo lavoro dei Dream Theater sono quasi sobbalzato sulla sedia. E’
l’ultimo CD che ho acquistato e da due giorni sta sulla mia scrivania, con il
suo cellophane ancora intatto, ad aspettare che lo degni del mio interesse…
Svolgimento
E’
la parte più delicata e spesso travisata. Nei peggiori dei casi (vedi i già
citati pezzi su Maypole e Tongue) si trasforma in un lungo, infinito elenco di
singole canzoni, così come appaiono nella scaletta dell’album. Perché darsi
pena per sistemare le cose in maniera originale quando ogni tracklist fornisce
già la falsariga del nostro pezzo? Bello non doversi impegnare, eh?
E
allora ecco una processione di connettivi da pensierino delle elementari:
La prima traccia, Highway Star
è … segue Child
In Time, una ballata…; poi è la volta di…
Chiude Space Truckin'…
D’altra
parte il dubbio è sempre dietro l’angolo: se comincio dal primo pezzo e procedo
passo passo…mica posso saltarne uno. Altrimenti che legge penserà che mi sono
sbagliato, che ho dimenticato quella precisa canzone, magari proprio la
preferita del lettore. Col tempo mi sono convinto del contrario. Rilassatevi: nessuno si accorgerà della mancanza.
Nessuno, siate tranquilli. Dunque via libera? Assolutamente no. Basta con gli
estenuanti simil-elenchi puntati da griglia burocratica precompilata. Un elenco
è sempre un elenco, e per quanto ci ricamiamo su, l’andamento sarà sempre
scolastico. Allora tanto varrebbe una sintesi estrema da capitolato d’appalto:
Traccia
1 - Highway Star – Sei minuti di Hard Rock..
Traccia
2 - Child in Time – Ballata in crescendo…
Traccia
3 - …. -
….
Almeno
evito la consueta costruzione sintattica schiava del predicato nominale,
argomento su cui bisognerà tornare su…
Soggetto
(canzone) + Predicato (verbo essere) + parte nominale (aggettivi-sostantivi-
predicativi del soggetto)
Gris-Gris Gumbo Ya Ya” è un’ ouverture
necessaria alla presentazione del NighTripper […]Mama Roux è interpretato da un
Van Morrison esoterico […] Croker Courtbullion” è un voodoo-jazz di gran classe
Costruzione
che si porta immancabilmente dietro frasi fatte e luoghi comini d’ogni sorta.
A
volte si incontra chi maschera il tutto con il tono vissuto di chi scrive a
presa diretta mentre l’album suona (o ancora meglio: il disco gira sul piatto): solitamente sono gli stessi gonzi che ci
hanno precedentemente raccontato le avventure all’origine dell’acquisto del
disco.
Faccio in tempo a bermi in goccio perché
durante The Mule non succede un cazzo: meglio lo scotch che mio cognato mi ha
portato da Glasgow; poi per fortuna attaccano con Strange Kind Of Woman e penso
che alla fine ho trovato un senso anche a questa giornata, che non era certo
cominciata bene….
Alla
fine non è male; però bisogna essere gonzi veramente perché altrimenti nessuno
ve lo perdonerà. Io, che gonzo non sono, ho sempre lasciato perdere; ma chissà…
chi vivrà vedrà.
Conclusioni
I
bravi professori ci insegnano a costruire la conclusione di un testo
riallacciandosi ai temi
dell’introduzione: è elegante, conferisce unitarietà al prodotto, ne
dimostra una concezione univoca e organizzata a monte, poi…. è economico.
Un’idea, doppio utilizzo.
L’album riempie la stanza come la luce di
un astro che sorge lontano nella galassia […] Ora che il disco è finito mi
sembra che le ombre di pianteti lontani abbiano riavvolto la stanza.
Laddove
si scelgono altre strade, questo paragrafo finale può anche ridursi ad una singola opinione sull’album che
pretende di riassumere in due parole pagine e pagine di svolgimento precedente;
l’effetto è ancora più tremendo se introdotto dall’espressione “in conclusione ritengo…”.
Alla fine della battaglia ciò che resta è
un sound notevole, quasi monumentale in certi momenti (vedi le bordate
chitarristiche di Stage Door Queen), un album ben prodotto, che si dilunga un
po’ troppo su ginnastiche hard senza tanto costrutto.
Per
chi si diletta a parlare di album di qualche tempo fa sarà probabile una
conclusione che vada a fornire qualche informazione sul futuro del gruppo e sul
successo dell’album in questione.
Il disco fu distribuito dalla Atco
all’inizio del 1968; in periodo di solare pacifismo hippy, l’esoterismo nero di
Dr. John ebbe la peggio: l’album non centrò la charts e passò quasi
inosservato.
In
questo caso, proviamo almeno ad evitare di concludere con la super inflazionata
“…ma questa è un’altra storia…”. Cosa
ci aspettiamo? Il seguito? Beggars Banquet 2: la Digestione.
Resta
il fatto che questa tripartizione è
pratica, economica e applicabile ad ogni genere / artista / album / periodo.
È un passepartout formidabile. E nemmeno impedisce di scrivere pezzi
eccellenti.
Ma
allora, perché cambiarla?
Perché,
mi ripeto, alla fine stanca. Magari
stancherà solo me ma sono convinto che un autore non possa accontentarsi di soluzioni facili e standard ma debba
cercare anche percorsi differenti.
Come
fare allora?
La
prima cosa che mi sono chiesto è: un’
introduzione che spieghi per filo e per segno la storia del gruppo e la genesi
dell’album, serve veramente?
Nella
maggior parti dei casi no. Se poi
parliamo di gente famosa è perfettamente inutile. Voglio dire: sul serio devo
spendere frasi per descrivere la copertina di Dark Side of the Moon e spiegare
al curioso lettore che è una delle icone del rock moderno? Se ancora non lo sa,
vuole dire che ha tutta una vita davanti per impararlo. Meglio delegare questa
fatica all’opprimente loquacità del pensiero comune che ci circonda.
Quelle
imprescindibili tra questo genere di informazioni dovrò essere in grado di fornirle nello svolgimento: non posso
avere sempre bisogno di un’ouverture.
Addirittura
ci sono quei casi in cui uno si sente autorizzato a prenderla ancora più da
lontano, e prima di arrivare a svelare il titolo dell’album di turno, ecco che
si è già strutturata una storia del rock in miniatura.
1968. Tutto il “Popolo del Rock” è
impegnato a scrutare orizzonti lontani, orientali, lisergici; la musica spazia
tra infinite jams strumentali, arrangiamenti ponderosi da orchestra classica,
assoli monumentali.
Certo
che così uno non si sbilancia con idee personali ma ricalca argomenti già
riletti cento volte a destra e a manca; ne è pieno il mondo di queste
digressioni saccenti.
Mi
ero quasi convinto della validità di questo ragionamento finché non mi sono
trovato davanti agli Zerfas.
“E
chi cavolo sono gli Zerfas?”
Appunto.
Posso veramente rinunciare a qualche minimo dato biografico anche per gruppi
che in quarant’anni nessuno si è mai filato? Forse no, ma accorre trovare un modo più leggero e meno programmatico
per fornire queste informazioni. Ho deciso di lasciare la biografia ad Allmusic,
loro sono bravissimi. In molti casi l’anno di pubblicazione dell’album la
provenienza geografica della band bastano già a spiegare molte cose.
Lo
svolgimento è la parte più ardua da sviscerare.
La
regola è una, da cui ne derivano tante altre. Basta con il ricalcare pedissequamente la tracklist. E’ un sistema
che trasforma testi, anche buoni, in palle mostruose (vedi questo articolo su Village
Green). Per certi album poi diventa ridondante e inutile: ve la vedete una
roba del genere per un qualunque disco punk? (eppure se ne leggono…)
La prima traccia è una schitarrata
punk-surf al fulmicotone, la seconda canzone è una traccia breve con chitarre
velocissime; la terza traccia è una schitarrata velocissima…
Oppure,
provate a seguire la scaletta su un album che abbia oltre quindici canzoni o,
peggio ancora, su una compilation! Dio ne scampi; alla traccia numero otto
anche il lettore più incallito ci avrà già abbandonato in favore di YouPorn.
Senza
contare che, se nemmeno noi siamo maratoneti della penna, ci toccherà prima o
dopo ripiegare sulla costruzione prefabbricata di turno: il resto dell’album procede su questa falsariga / le altre canzoni presentano le stesse
sonorità… Della serie: il lato B ve lo ascoltate da soli.
Per
rendere la cosa più interessante ho provato a citare sì tutte le canzoni ma non
in ordine di scaletta bensì raggruppate
per tipologia: brani di stampo hard rock da una parte, ballad acustiche
dall’altra, suite progressive di là, sonorità punk di qua…
I brani sono facilmente riconducibili ad
alcuni “tipi” ben precisi: le cover dei vecchi successi dei “padri del rock n’
roll” (Good Golly Miss Molly, Roll Over Beethoven, Jenny, Jenny), resi con
deferente passione; la trasfigurazione di più recenti successi del Rn’B (da Do You Love me dei Conturnes a Let the
Good Time Rolls, da Money a Walkin' the Dog di Rufus Thomas) di cui resta la carica
interpretativa, privata però dello swing in favore dell’approccio quasi punk di
cui già si è detto; ma soprattutto gli originali del gruppo, a firma Roslie,
protagonisti dei primi singoli e ormai brani mitici, sin dai titoli: The Witch,
Boss Hoss, Psycho, Cinderella, The Hustler …
Ottimo,
è senza dubbio un bel compitino ma è
snervante, spesso opinabile, senza contare che ci sarà sempre quel brano inclassificabile che resta
solo soletto fuori dai gruppi. Nessun problema, direte, basta non citarlo.
Difficile, perché nove volte su dieci è il pezzo migliore dell’album.
Provare
a citare i brani in ordine puramente
casuale è una discreta soluzione. Si ascolta l’album e dopo due giorni ci
si mette a scrivere: ricordi confusi, i titoli si mischiano. Funziona bene per
i dischi belli, peggio per quelli che non hanno lasciato traccia nella memoria.
E’ come l’opzione shuffle sui lettori mp3: non sai mai quale sarà la prossima
canzone…
Una
cosa che spesso mi riprometto di fare, ma che altrettanto spesso non faccio, è
cominciare a scrivere di una canzone o di un insieme di canzoni a partire dai testi. Sono una miniera
di informazioni troppo trascurate; in effetti non sempre sono comprensibili né
rintracciabili in rete o sulle copertine: la mole di lavoro diventa doppia. Il
problema principale però è un altro: gran
parte dei testi rock sono gretti, banali e insignificanti. Attenzione:
parlo di testi non di temi. Ci sono canzoni lodevoli che
trattano argomenti controversi e importanti, con parole banali e stereotipate.
Ok, forse è comunque un giudizio eccessivo, ma se spogliate queste liriche
dell’inglese (che per noi è “figo” a prescindere), se non considerate alcol,
sballo e sesso come filosofie di vita degne di esegesi, se lasciate per un po’
da parte Dylan, Cohen, Morrison (Van)… credetemi, non resta poi così tanto.
Dunque? Viva i Ventures!
La
conclusione, come già ripetuto, va sovente a braccetto con l’introduzione.
Dunque se ho scelto di cominciare così:
Quando mi è stato chiesto di recensire
l’ultimo lavoro dei Dream Teather sono quasi sobbalzato sulla sedia. E’
l’ultimo CD che ho acquistato e da due giorni sta sulla mia scrivania, con il
suo cellophane ancora intatto, ad aspettare che lo degni del mio interesse…
molto
probabilmente, se voglio mantenere una struttura circolare, concluderò in un modo
del genere:
…il disco esce automaticamente dal lettore. Alzo gli occhi dalla tastiera. Ora c’è silenzio nella mia stanza. Il cellophane è ancora accartocciato sulla scrivania; ora posso gettarlo via e riporre il disco nello scaffale degli immortali.
Va
da sé, nulla di male; ma nemmeno nulla di realmente stimolante.
Certo
c’è di peggio; in futuro spero per esempio di essere capace di bandire del
tutto alcune “conclusioni tipiche” tra le quali la peggiore è probabilmente:
Per concludere, la mia opinione su quest’album
è questa:….
No,
sul serio… ho avuto tutta una recensione per sviscerare la musica e fare
emergere il mio punto di vista, perché devo ridurmi ad una frasettina finale
che magari il lettore neanche arriva a leggere? O in precedenza non ho parlato di nulla oppure questa è una superflua
ripetizione.
Ma
c’è dell’altro….come l’ammonimento profetico sul futuro della band:
Dopo questo capolavoro epocale degli
Zeppelin, il sound del dirigibile virerà verso territori più soft e meno
mistici… (indovinello:
di che album starà mai scrivendo?)
Ah,
ma abbiamo dei veggenti qui! Queste considerazioni funzionano bene coi gruppi
che hanno pubblicato l’album ieri l’altro, altrimenti sono troppo comode,
costruite “a posteriori” e poco aggiungono all’album in questione.
Consigliato se vi piace…
Questa
conclusione ha una sua utilità se in precedenza nel testo non si sono fatti
riferimenti esterni di alcun tipo; altrimenti è l’ennesima ripetizione.
Alzo la puntina dal solco e ripongo il
braccio del giradischi. Mi accendo la terza sigaretta del pomeriggio ripensando
a quella musica che si è appena
impossessata della mia stanza…
No.
Semplicemente no.
Sono
persuaso che rivedendo radicalmente
l’introduzione sia necessario fare la stessa cosa anche per la conclusione,
e non si pensi che la struttura ad anello (tale incipit - tale excipit) sia un comandamento.
I comandamenti non esistono, Mosè ruppe le tavole dieci minuti dopo averle
incise.
La
vera sfida sarebbe recensire un album parlando
d’altro, procedendo per sole associazioni di idee, di luoghi, di sapori.
Bandita la tracklist, bandite le opinioni, rielaborate profondamente le
descrizioni; non resta molto. Ma sarebbe un distillato niente male. Paragoni
senza il come, riferimenti disparati e numerosissimi, contestualizzazione che
non ha bisogno dei soliti enunciati estenuanti (ricorda sonorità... rimanda ad un sound…sembra di ascoltare…
assomiglia molto a …)
1973. New York; una giornata di pioggia. Dalle
autoradio escono degli stanchi Rolling Stones che si mortificano come
sopravvissuti indesiderati nel ricordo di Angie, mentre una pioggia di rose appassite
ricopre la prima, grande, generazione di Rock libero; Johansen e Johnny
Thunders hanno preso appunti: tocca a loro, tanto Little Richards orami è un
uomo di Dio e di Esquerita nessuna traccia. Tutti sanno che Marc Bolan sarà un
manichino effimero. Sistemati rossetto e parrucca, si lanciano in un felice
festino, per ora senza il morto, che ritorna sui luoghi perversi della Sorella
Ray senza cacofonie nè nere professioni di fede. E' l'eccitazione fisica della
sorpresa, della novità inaspettata. Il volto che cambia. Sempre precipitato in
un maschio assolo sbavato di rimmel.
Uno
veramente bravo ci potrebbe facilmente fare un haiku; sono sicuro che su Twitter
qualcosa del genere si possa trova. Occorrerà approfondire.
Un'altra
pista è un po’ più letteraria e non rinuncia del tutto alla tripartizione; però
ne sfrutta la sua “tenuta stagna” per costruire comparti organizzati in modo
differente; un procedimento
architettonico.
Per
chiarirci: comincio parlando di una
canzone; spiego la storia futura del gruppo, poi torno sulla genesi dell’album.
Altra canzone. Basta. Rimescolo le carte. Analessi
e prolessi, in miniatura; anticipo alcune parti dello svolgimento lasciando
il lettore in grande debito di informazioni. All’inizio sfrutto l’ellissi e non
la risolvo mai del tutto. Deve rimanere qualcosa
di sospeso, qualche particolare mancante. La voglia di andarsi ad ascoltare
l’album. Potrei anche rivelare solo in conclusione chi fossero gli Zerfas di
turno: come in un giallo.
L’assassino
si svela alla fine; ma si lasciano gli indizi.
16 commenti:
Hai ragione... Penso che il problema riguardi un po' tutti quelli che si occupano di recensioni (o presunte tali, come quelle che scrivo io). Perché TUTTI quelli che scrivono (bene o male, con capacità e competenza o solo così: un po' a cazz...) si creano dei noiosi e ripetitivi schemi dove copiare e incollare i nomi dei diversi protagonisti, titoli e influenze, di volta in volta. Ma io penso che questo sia più noioso per chi scrive piuttosto che per i lettori. Nel mio caso, ad esempio, ho la fortuna (o la sfiga) di interessarmi a generi molto diversi tra loro e, ovviamente, capita che chi legge la recensione di un disco degli Slayer non si preoccupa minimamente di quella sui Kirlian Camera o sul nuovo Green Day e quindi posso continuare a scrivere le stesse stronzate per tutti.
Ah, dimenticavo bravi i Zerfas!
Complimenti per il post e il miglior rockblog d'Italia.
Ciao.
Con questi due ultimi post mi hai trasmesso il blocco del blogger.
adesso son proprio curiosa di leggere la prox recensione
Blocco del blogger anche per me, mannaggia :(
Ma no, ragazzi! Non prendetemi troppo sul serio!
Poi le paranoie sono le mie, mica le vostre))
“La recensione è una forma di scrittura morta. A nessuno interessa più”
(Greil Marcus)
Lo so che l'hai già citata nel post precedente, ma qui è ancora più pertinente.
La recensione aveva senso quando un disco non avevi modo di ascoltarlo se non comprandolo.
(C'è gente che addirittura pensava di poter fare arte parlando di arte...)
Oggi, due frasi di riepilogo e un link a un posto qualsiasi in cui pre-ascoltare il disco sono l'unica forma di recensione che mi interessi leggere (e, di conseguenza, scrivere)
@alle tempo fa scrissi
"ha ancora utilità recensire un album in un’epoca in cui chiunque, in pochi secondi, può ascoltarlo senza spendere un centesimo? E’ ancora un’ opinione utile o semplicemente pubblicità? Chi si ricorda gli anni ’80 e ’90 si ricorda anche di prezzi in vertiginosa ascesa, compact disc che all’alba dell’Euro erano arrivati a costare ben oltre le 35.000 lire. Certo che all’epoca, in mancanza di uno spazio comune sul web, ogni acquisto doveva essere ben ponderato, e prima di spendere somme che per qualcuno, per tanti ragazzi squattrinati, potevano essere anche importanti, documentarsi era d’obbligo. Si può dire lo stesso oggi?
Greil Marcus, in tempi non sospetti, già sosteneva che "la recensione musicale è una forma morta. A nessuno frega un cazzo di cosa pensi di un disco che hai recensito".
Ultima considerazione, o meglio provocazione: ma l’album si ascolta ancora nella sua interezza? O forse si riversano centinaia di canzoni in playlist infinte, ordinate un po’ a caso sull’ I-Pod, scaricate chissà da dove e suonate chissà da chi?"
http://theevilmonkeysrecords.blogspot.it/2012/06/paganesimi-elettrici-5-racconti-in.html
Ne sono ancora abbastanza convinto e sono addirittura certo che non sarò io a resuscitare questo "genere". Però su un cadavere si può fare l'autopsia... ed è quello che mi piacerebbe fare; a differenza della medicina...è molto divertente!
D'accordo su tutto, non sulla "provocazione": hai mai usato un iPod?
Le playlist sono una possibilità, ma è molto più semplice e naturale usarlo ascoltando un album completo.
Non c'è nessun meccanismo diabolico in un iPod che ti costringa ad ascoltare la musica tramite playlist!
@alle: no no, spesso usate le playlist, anzi io ritengo che siano uno di quegli strumenti veramente "discriminanti" tra la fruizione di mugica digitale e quella tradizionale; non so negli i-pod degli altri se ce ne siano, io credo di si.
Però se si leggono blog (compreso il mio...), webzine e riviste di settore sembra esistano ancora solo gli "album" (che ormai in pochi ascoltano)integri nella loro scaletta. Da qui il termine "provocazione".
Evil, non ho capito: lo usi o no un iPod?
Te lo chiedo perchè ho avuto un paio di discussioni al proposito con persone che, non avendolo, avevano capito che l'unico modo di usare un iPod fosse la playlist (che, in fin dei conti, è l'equivalente digitale della vecchia "compilation su cassetta" che si faceva per gli amici) e non avevano nessuna idea che con l'iPod fosse possibile organizzare la musica per artista/disco e ascoltarla di conseguenza.
Non vedo nessuna correlazione tra iPod, playlist, album, musica digitale e tradizionale.
Con entrambi gli strumenti puoi ascoltare in entrambi i modi: compilation/playlist o album.
ps - ma togliere 'sta cosa della moderazione, no? La trovo un po' fastidiosa.
Lo uso e so bene cosa è una plylist; credo che da questo punto di vista la musica digitale dia molta più libertà rispetto al CD; magari provo a riesumare vecchie cose che avevo scritto sull'argomento, sempre che le reperisca; l'argomento è interessante.
PS: la moderazione l'avevo tolta ma ho poi avuto problemi di spam, così l'ho riattivata, porta pazienza...
Ok Evil, sai com'è: senza conoscersi di persona a volte si danno per scontate cose che invece non lo sono.
Argomento interessante anche per me, aspetto le tue riesumazioni.
:)
Per lo spam, guarda che il filtro anti-spam di blogger funziona benissimo: sul mio blog arrivano un duecento commenti di spam al giorno, raramente il filtro ne lascia passare uno.
Volevo aggiungere un'ultima cosa.
A volte la recensione di un disco ha un'utilità conoscitiva per il lettore che non ha tempo di ascoltare tantissima musica o non ha mai sentito parlare di questo o di quel gruppo.
Quindi magari dire semplicemente "tizio e caio fanno questo ascoltateli a questo link" non è il massimo per il lettore in cerca di spunti interessanti che però non si può ascoltare decine e decine di album.
Inoltre c'è sempre il fattore scambio di idee/confronto che rende semplicemente piacevole conoscere il parere di un'altra persona su qualcosa che anche noi conosciamo e farci due chiacchiere sopra. E' divertente.
In fondo lo scrivere di musica ha ancora la sua utilità e a mio avviso continuerà ad averla.
Proprio grazie a questo blog ho ascoltato il primo album dei Chicago, album che sto ascoltando tantissimo e che mi è piaciuto un sacco. Quindi posso confutare con prove a carico l'affermazione "La recensione è una forma di scrittura morta. A nessuno interessa più".
Falso, a me interessa :)
Bella Free Form Guitar eh?)))
E non solo quella, mi piace tutto l'album a partire dai pezzi di più facile presa come Does anybody knows what time it is? e proseguendo via, via con l'ascolto. Ottima segnalazione :)
Io tra una recensione e un ascolto diretto, preferisco sempre un ascolto diretto: tendo a fidarmi più del mio parere che di quello degli altri...
Lo scambio di idee e il confronto, ma certo.
Però vengomo molto meglio su un blog, leggendo magari pareri più articolati di una semplice recensione, che leggendo recensioni su una rivista, non esattamente il mezzo più interattivo esistente.
"Scrivere di musica" non è la stessa cosa che "scrivere recensioni".
L'importanza delle recensioni (a mio parere) è inversamente proprozionale alla tua conoscenza dell'argomento e alla tua esperienza/età.
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