Quanto ha senso parlare ancora di “album”? Soprattutto in Internet, nel
mondo digitale, sui blog, tra “noi”. Quanto ha ancora senso assumere il CD, o
il vecchio LP, come l’unità fondamentale di discussioni, recensioni o
confronti?
Negli ultimi 10 anni l’album ha enormemente perso importanza pur
essendo comunque l’”oggetto musicale” tipico della distribuzione tradizionale, venduto
e reclamizzato in negozi, supermercati, anche su internet. Su questo blog si è
già parlato di temi simili, di hardware esploso e medium liquido. L’anno nuovo
può essere l’occasione per entrare ancora di più nel merito della questione.
Per esempio: quanti sono gli album che veramente si ascoltano? Non in
senso da hit parade o classifica vendite (che da sempre lasciano il tempo che
trovano…). In che modo si ascolta, si fruisce, l’album? Dalla prima all’ultima
traccia, o piuttosto in maniera casuale, o selettivamente. O magari si
riversano subito su Hard Disk e confluiscono in cartelle contenenti
indistintamente migliaia di altri brani?
Cosa c’è veramente nei nostri I-Pod?
“Spoonful” sul lato A di “Wheels
of Fire” è esattamente ciò che dice il titolo, cioè ciò che è scritto sull’etichetta
del Lp e sulla copertina; la sua posizione è fissa, non “estraibile”, non
modificabile nei dati e tanto più nei metadati. E’ sempre Spoonful, sempre dei Cream, come quella incisa su Fresh Cream, eppure è un’altra canzone
“Spoonful” inserita nella playlist di una memoria I-Pod è un collegamento
ad un file che formalmente è analogo alla traccia incisa sui solchi, ma privata
totalmente del suo contesto “autoriale” e di parte della sua identità: cioè l’essere
il primo brano, del lato B di un determinato album. E’ una canzone “senza fissa
dimora”, affiancabile a qualunque altro brano possiamo immaginare
E’ questa sempre una cosa
negativa? No, perche la possibilità di creare percorsi trasversali è un potere
“esponenziale” che si da all’ascoltatore: potere di creare tracciati personali,
associare fra loro canzoni generate da Luoghi e Spazi differenti, tracciare
coordinate nuove ed interessanti per un ascolto veramente personale della
musica.
D’altra parte la perdita di unitarietà di un medium che confluisce,
magari assieme a centinaia di altri media, nel memorizzatore-decodificatore,
finisce, come già ricordato, per trasformarsi in una perdita di autorialità e
riconoscibilità del prodotto artistico originale. Questo, unito alla profonda modificabilità
(e modificazione) dei metadati tradizionalmente contenuti nelle memorie
fisiche, rende il medium digitale molto più povero e disomogeneo rispetto a
quello tradizionale. I suoi vantaggi sono in gran parte paratici e in misura
minore culturali o economici: un album digitale su I-Tunes costa solo poco meno
di un CD tradizionale su Amazon. Una situazione analoga si era già verificata
una trentina di anni fa all’immissione sul mercato di CD a prezzo simile a
quello degli analoghi in vinile, sebbene i costi di produzione del nuovo
supporto fossero assai minori.
Il reale vantaggio economico sta nella distribuzione che avviene in
modo solo telematico e non fisico, con una chiara penalizzazione per i rivenditori,
specie i più piccoli.
La playlist ha poi una caratteristica accattivante e assolutamente
peculiare: è smontabile e rimontabile all’infinito; il consumatore, come già
ricordato, assume un ruolo attivo che è estremamente allettante, ancorché non
sempre “culturalmente rilevante”, nel giocare con le canzoni come con i Lego.
E’ rassicurante: posso eliminare o spostare le canzoni che non gradisco, posso
riascoltare in loop ciò che mi piace di più e tutto senza masterizzare nuovi CD
ma solo aggiungendo un collegamento che nemmeno occupa spazio su disco.
Non esiste più un contenitore, ma
esiste un magma diffuso in cui sono IO a decidere i criteri di selezione e
l’ordine di esecuzione. E’ senz’altro uno strumento di notevolissimo impatto.