Da qualche parte si legge che Spotify, la piattaforma streaming di recente approdata in Italia,
cambierà per sempre la fruizione della
musica. Si è detto già per tanti, da Napster in giù. Questo nuovo servizio
(o “app”, o qualunque cosa sia) dovrebbe
accontentare tutti: ascoltatori, artisti, social network, case discografiche,
gestori.
Interfaccia immediata, aperto al web sociale. Ha tutte le carte in regola (come
direbbe Ciampi) per diventare un colosso. O no?
«La nostra strategia è portare la
musica ovunque», spiega la manager italiana Veronica Diquattro, che anticipa un
accordo con Samsung per le smartv. E lascia intendere che a Stoccolma stanno
già pensando alle connected car, le auto collegate a Internet. Insomma Spotify
punta ad allargare la platea ma anche a diventare la nostra colonna sonora
permanente e pervasiva. Solo così potrà sostenere i costi, che sono
essenzialmente quelli dei diritti d’autore pagati agli artisti e alle case
discografiche. Non si conoscono i dettagli degli accordi, non si sa quindi se
le royalty sono riconosciute in base al numero degli iscritti o agli ascolti
effettivi. Negli Stati Uniti si dice però che su ogni dollaro incassato Spotify
ne paghi 98 centesimi per i diritti. Sembrerebbe insostenibile se non fosse che
il costo dei diritti tende a crescere con un ritmo molto più tranquillo di
quello dei ricavi e quindi le perdite incidono sempre meno: rappresentavano il
147% del fatturato nel 2009 e sono diventate il 42% nel 2010.
Spotify ha risolto il problema
della pirateria? Solo un cretino potrebbe dirvi di sì. Non c'è nessun argomento
al mondo che sembra poter superare lo status ontologico della musica on line:
puoi averla gratis. Lo scaricatore abituale di musica che frequento da anni
potrebbe metterla così: è bello, lo è stato, le case discografiche sono state
cattive e miopi, hanno avuto quello che si meritavano, ma tutta questa pacchia
vale l'affitto del nostro gruppo preferito? Perché è di questo che stiamo
parlando: di affitti, mutui, pranzi e cene e amori da raggiungere in treno.
Tolti i big, che ce la fanno da soli, gli artisti nella terra di mezzo non è
che con i nostri soldi finanzieranno multinazionali per far comporre i loro
pezzi ai bambini delle bidonville indiane. O credete di sì?
Per ora ho scelto un approccio tra l’ignorante e l’egoista: finchè si può ascoltare nuova musica
gratis, alla luce del sole, ben venga. Più il catalogo è vasto, eterogeneo,
diversificato, ben venga.
Poco mi interessa, per ora, chi ci perde e chi ci guadagna.
Mi interessa di più chi
si può ascoltare e chi no.
Tutta questa premessa per dire che, per “testare” questo
nuovo servizio, anche US Hard Rock Underground è sbarcato su
Spotify (che frase ad effetto, eh?).
Se non che, da quanto posso capire, gli album non già
presenti nel database ufficiale della piattaforma non sono condivisibili, per
motivi, immagino, di diritti… e restano solo sugli hard disk degli utenti. Logico.
Dunque niente Granicus (nemmeno qui li considerano, poveretti…), niente
Banchee, niente Salem Mass, Euclid, Demian e tanti altri. E d’altronde anche i
Led Zeppelin, per ora condividono la stessa sorte…
Ma quello che c’è, è comunque raccolto in questa compilation.
Accontentiamoci di versare un obolo a Pete Bailey, Drew Abbot o più
probabilmente a Sony – BMG…
Quindi, Spotify o no, keep
on rockin’!!
4 commenti:
Grande Evil, anche io l'ho scaricato e sto provando il mese di premium gratis.
Per certi versi Spotify è l'uovo di colombo della musica digitale.
Ci siamo sempre lamentati che i prezzi su Itunes sono troppo alti mentre qui, con un "abbonamento" di 10 euro al mese, puoi scaricare ed ascoltare tutto quello che vuoi, anche offline, anche da portartelo sul telefono.
Alla fine è onesto.
L'unico problema (almeno per me) è che è tarato sulle abitudini degli utenti Apple che utilizzano i propri file audio solo all'interno di un determinato programma e di un determinato dispositivo, mentre, io da buon vecchio scaricatore, sono ancora legato al gusto che ti da avere 10 file mp3 nella tua cartella di esplora risorse :)
Seguivo Spotify quando era solo appannaggio degli Stati Uniti e di parte dell'Europa. Ora che è arrivato anche in Italia l'ho provato e sono rimasto abbastanza deluso. La condivisione dei brani solo su Facebook è incoerente. L'abbonamento di 10 euro al mese è incoerente. Tutta questa situazione della musica on clouds scatenata da quando iTunes ti "legalizza" tutti i tuoi file MP3 con un abbonamento annuale, anche questa situazione è incoerente, si.
Spotify è soprattutto per chi è abituato a usufruire della musica su dispositivi mobili. Io onestamente sono abituato ad "ascoltare" davvero la musica (nel senso che non mi capita mai di ascoltare musica con il telefonino, per dire). E poi il catalogo è davvero parecchio incompleto. Prova a cercare qualcosa di vecchio.
Non vorrei battere sempre sullo stesso tasto, ma Grooveshark offre da anni un servizio migliore, gratuito e più completo. E non ti chiede nemmeno di registrarti. Solo che non è evidentemente altrettanto "d'impatto" come Spotify.
Ma sarà un trionfo comunque, perché così vanno le cose :)
Ah, a proposito, forse già lo sai, ma se provo ad ascoltare uno dei brani che hai condiviso nel lettore Spotify in questo post, mi dice che per ascoltare quel brano prima devo loggarmi. Quindi chi non è registrato non può sentire i brani che hai postato.
Bella roba, anche questa.
Non ho smartphone, e tutta la mia (breve) esperienza di Spotify è su PC; lo uso come gestore/riproduttore mp3, come un'espansione al mio archivio "locale"; in questo modo non è male. Ma non credo proprio che passerò a versioni a pagamento, anche se forse, col tempo, la versione free si farà più restrittiva.
Il catalogo è certamente ampliabile, come del resto tanti altri. Mi sono anzi meravigliato di trovare brani come quelli qui riportati; peccato sia necessario loggarsi per ascoltare le playlist condivise: questo aspetto è un po' deludente.
Ma come tutte le proposte gratuite cercherò di prenderne tutti i lati positivi possibili...
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