lunedì 1 aprile 2013

Frammento #18 Isola di Taiwan - Comando 1° Divisione “Big Red” - 27-09-2034


Isola di Taiwan - Comando 1° Divisione “Big Red” - 27-09-2034



“Ho provato ad immaginare come deve essere per questa gente. Vivere per secoli sotto il tallone di uno stato cento volte più grande e più potente; sempre sul punto di essere inglobati, ingurgitati da una cultura sgradita. Poi ritrovarsi all’improvviso dall’altra parte. Da quella dei giusti, dei vincitori.
Perché noi siamo quella parte. Noi siamo i vincitori.”
Eccolo; ora attacca un discorso che sembra uscito da qualche vecchio film di Roland Emmerich, quando il Presidente degli Stati Uniti in persona sconfigge gli alieni e pianta l’asta della bandiera americana in mezzo alla fronte del marziano sconfitto.
“Questa è una prima linea, soldati. E voi dovete essere orgogliosi di fare parte di questa prima linea. Le guerre ad Al-Qaeda ci hanno insegnato a non avere più paura; la guerra al terrorismo ci ha insegnato a combattere sempre, anche senza le armi, anche senza un nemico di fronte; tutti i giorni della settimana, per tutti i mesi; per anni. Siamo temprati ad ogni sfida. Lo siete soldati!?”
Non so se si aspettino veramente certe risposte. Forse qualche esaltato con le lacrime agli occhi a questo punto urlerebbe “Siiiii, Signoreeee!” con quanto fiato ha in gola, ripassando a mente tutto quanto l’inno, immaginando una grossa aquila che si libra sull’oppressione e la tirannia. Guardo John; non parla, tiene gli occhi bassi. Ray ha provato ad abbozzare un “Si”, che subito gli è morto in gola.
Berenger ci disprezza, è evidente dallo sguardo, dalla fissità orgogliosa che ci getta addosso. Non fa nulla per nasconderlo. Ma oggi siamo noi a servigli. Farà buon viso a cattiva sorte anche lui.
“Ho qui le carte per la vostra missione. Dovete firmarle. I dettagli sono nella cartella. Sarete scortati fino a Daiwanfeng, alla foce del fiume Minjang, a pochi chilometri da Fuzhou. Qui vi unirete al capitano Thompson e al sergente Pacheco del 19° Forze Speciali. 
Thompson avrà il comando del gruppo. Insieme risalirete in parte il corso del Minjiang fino al lago di Shuikou. Poi vi muoverete verso Namping. Ma credo… sicuramente Crowley vi avrà già edotto sui particolari, no?”
Il colonnello mi sciorina il mio prossimo futuro davanti agli occhi e io neanche ascolto.
Le guerre ad Al-Qaeda non ci hanno insegnato un cazzo.
Abbiamo una paura tremenda della morte; ne abbiamo oggi molta più di prima; abbiamo il terrore del dolore. Tutti quanti, non solo noi militari o i poliziotti o i vigili del fuoco. La nostra è una società codarda. Che si riempie di buone intenzioni nei momenti di pace e crescita economica, si esalta per la risoluzione dei più piccoli e insignificanti problemi. Ma quando si uccidono gli ambasciatori, o si massacrano bambini in Africa centrale; o si bruciano miliardi di dollari in speculazioni inutili, allora nessuno dice più nulla. Tutti sperano che il problema venga risolto in fretta. Non importa più il come.
Alla violenza sappiamo rispondere solo con altra violenza: è il metodo più facile, il più immediato; un meccanismo di Natura. Qualcuno si sporca le mani. Tutti gli altri posso tornarsene a fare i filosofi della convenienza. Non abbiamo mai veramente compreso le ragioni dell’odio; non capiamo come si possa provare tanta rabbia; non abbiamo mai compreso il terrorismo. Non abbiamo mai condiviso le sofferenze di etnie oppresse; di gente che vedeva il suo territorio invaso da stranieri in armi. Non abbiamo fatto mai nulla per comprenderlo.
“Questa missione è importante, soldati. Lo sono tute quelle che stanno sotto la mia responsabilità. Io voglio vedere dei risultati. E voglio i risultati senza dovere spargere sangue americano; chiaro? Io non so cosa diavolo Crowley possa ottenere dai risultati che saprete procurargli. Ma il comando mi ha dato l’ordine di assecondare le sue richieste sul campo e io questo farò. Mi aspetto da voi la più totale dedizione al lavoro.”
Nella stanza accanto il rumore ritmico di un timbro scandisce il tempo lento di un vecchio pendolo incerto. Dum Dum Dum Dum. Dum Dum Dum Dum Dum.
Firmiamo i fogli, prendiamo in custodia gli incartamenti e i file relativi alla missione.
Le piazze del mondo sono veramente vuote. Non perché la gente sia dalla nostra parte; semplicemente perché non ha più nulla da dire.
“Tra Fuzhou e Namping sarete in silenzio radio completo per almeno tre giorni. Se non vi risentiremo entro la fine dell’incarico significherà che tutto è andato a buon fine.”
Berenger ancora scruta le strade attorno alla caserma; sembra cerchi qualcosa, un volto; un sorriso.
“Non vorrei dovervi parlare di nuovo prima della fine della missione. Ora potete andate; domani mattina vi scorteremo a Port Bali dove vi aspetta il mezzo che vi condurrà a Camp Bragg .”
Saluto militare.
John e Ray si avviano fuori dalla stanza.
Dum Dum Dum. Dum. Secondi distanti.
Sto per uscire da quella luce giallastra, crepuscolare e intrisa d’umidità.
“Ah, signor Anderson… Sappia che l’esercito è vicino ai suoi uomini. So della vicenda di suo fratello; posso capire cosa deve avere passato per non farsi… coinvolgere da tanta sporcizia. L’esercito le è vicino.”
Lo dice con serietà, con il tono impostato di chi si sforza di apparire onesto, disinteressato. Probabilmente non pensa una sola parola di ciò che ha detto. “E’ morto un finocchio drogato, e allora? Questo rende l’America un posto un po’ migliore, no?”
Abbozzo un sorriso
“Grazie Signore.”
Mi congeda con un minuscolo cenno del capo.
“Perché io Signore? Perché proprio io per questa missione?”
“Io sono solito non pormi domande di questo tipo, signor Anderson. L’esercito sa quello che fa, non le sembra?” Pessima domanda. Ma è stato più forte di me.
Nel silenzio seguente, il battere del timbro rimbombava nella stanza come le pale di un elicottero preistorico.
“E poi non sta a me spiegare o giustificarmi. Il Dottor Crowley ha fatto il suo nome per questo incarico”.

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