giovedì 11 aprile 2013

Frammento #19 Isola di Taiwan, Camp Reagan - 27-09-2034


Isola di Taiwan, Camp Reagan - 27-09-2034


Sono le dieci passate quando io, John e Ray saliamo assieme sulla grande terrazza che sta sul tetto della caserma e affaccia da un lato sul piazzale interno e dall’altro guarda la città fino oltre all’isoletta di Luzhou; qualche birra, mezzo pacchetto di sigarette; un po’ di fumo afgano. Sotto di noi infuria una partita di basket tra gente della Devil Brigade e della Duke. Sudati, violenti, volgari. Oltre la rete un gruppetto di ragazzini cinesi li fissa, ammirato.
Guardo il nostro terzetto: un nerd esperto di comunicazioni, un giovane medico pulito e timorato di Dio, un soldato come ce ne sono altri mille.
Manca qualcosa.
Manca l’esaltato guerrafondaio con gli occhi iniettati di sangue; manca l’enorme mitragliere nero che nei film sul Vietnam muore sempre, regolarmente crivellato dal fuoco amico; manca il fanatico repubblicano del Sud Carolina, uno di quei deviati con il poster dello Zio Sam in camera che si masturba sulle foto di Lynndie England.
Manca uno che sappia veramente fare la guerra; perché credo che né io né i miei due compagni riusciremo a cavarci i piedi se ci sarà da sparare per sopravvivere. I due Berretti Verdi di Camp Bragg serviranno allo scopo, spero.
O No. Meglio andare allo sbando da innocenti inconsapevoli; fa meno male. Restituisce un retrogusto di giustizia di classe, di equità.
Uno stereo vecchio di anni, qualche vecchio pezzo sovversivo che ormai non dice più nulla a nessuno: Pink Fairies, Third World War, Edgar Broughton.
Evening Over Rooftop, con quella sballata ouverture per quartetto d’archi e gli assoli da west coast trasportata nel mezzo di una antica rivoluzione industriale londinese, che anche adesso brulica sotto i nostri occhi.
La città vive solo nelle sue luci, nelle sirene degli incrociatori che pattugliano il mare, nel frastuono del mercato notturno e nei clacson di taxi che scappano senza meta nello slum. I fantasmi di Desolation Row sono tutti sotto i nostri occhi, vanitosi, si pavoneggiano sui marciapiedi come prostitute ragazzine inesperte e strafottenti. Un'altra birra; John si sdraia e sospira all’ombra di una ciminiera quasi nascosta dallo smog. Ray sta in silenzio, come sempre. Ancora un’orrenda sigaretta indonesiana. L’ultima notte nella terra dei vivi, quella che conosciamo meglio.
Due giorni fa, sugli scogli di Kagoshima mi sembrava di affacciarmi alla fine del mio piccolo mondo privato. Ora pagherei per essere ancora là; ubriaco di Asahi e sakè, gettare sassi nell’acqua della baia. Vorrei ancora avere un paio di giorni.
How far are we from dying Is it nearly at an end?
Quanto siamo distanti dal morire? E’ solo lo spazio del mare che ci separa dalla costa? O c’è dell’altro? Corro con lo sguardo verso un orizzonte rotto dai palazzi d’acciaio di downtown. Ripensiamo al college, ripensiamo addirittura alla pigra idiozia dell’addestramento in qualche caserma perduta tra il mais del Kentucky. Ripenso allo sbarco di due giorni fa in Giappone. Pioggia a dirotto, materassi umidi. Anche quello mi manca. Ma già domani sarà questo grande tetto piatto a venirmi alla mente; e vorrei tornarci anche se adesso, mezzo ubriaco, tengo lo sguardo socchiuso alla plumbea notte orientale.
Riattacco con Edgar Broughton; John tiene appena il tempo con un riflesso involontario degli ultimi nervi vivi dentro di lui. Si alza il vento, e sembra disegnare spirali polverose in aria che avvolgono le strade come stormi di spiriti inquieti e curiosi. Planano tra la folla, ghermiscono i risciò e le luci dei drugstore. Spaventano le gang di ragazzini apolidi e orfani.
Hawkwind, Down trough the night.
Into the blackness we drown Round round and round Round round and round. All’infinito.
Affoghiamo nel nero. Lo facciamo anche noi, mentre la brezza marina rinforza e scaccia gli spettri.
We took the wrong step years ago, mentre mi addormento sulla chitarra di Dave Brook, strani gabbiani elettronici si scambiano richiami d’amore tra gli scogli e i grattacieli della costa. Abbiamo sbagliato strada; e dopo tanti anni sul sentiero e sulla polvere è difficile ritrovare la direzione. Preferiamo vagare, senza tentare, nessuna meta, senza porci il problema, sperando che la fortuna, un giorno ci spinga sulla rotta più giusta.
La testa torna a pulsarmi; dum dum dum doom doom! Dead Man scandisce di nuovo il passo dei miei neuroni. Ci sto. E’ la mia copertura, dopo tutto. Ormai è lei che cerca me e non viceversa. Mi addormento sul palco mentre la batteria squadra una danza apache attorno al falò. John, Ray, non li vedo nemmeno più. L’orizzonte gira come una testa ubriaca, solcando cieli di enormi pterodattili verdi che planano senza battere le ali su cadaveri di fiori notturni ricadenti da steli esausti, stuprati da lunghe proboscidi di falene monotone. Volano sull’isola, nidificano sui comignoli, spodestano ignari caporali del Maine dalle torri di guardia agli angoli delle recinzioni, mentre squadre di sabotatori olandesi tagliano la rete e riempiono di graffiti rossi il muro del comando, spezzano l’asta della bandiera e la immergono nel petrolio prima di farne un falò. La batteria sospira il passo della danza, ancora, senza sosta. Sintetizzatori galattici lanciano segnali di guerra dell’oltrespazio nascosto dietro galassie appese come sfere di cristallo all’albero di Natale; ne riflettono le luci stravaganti.
La strada sbagliata che ci siamo scelti non ha più biforcazioni, non ha scorciatoie. Una vecchia guida Navajo sta seduta con le gambe incrociate mentre io, piangendo, gli chiedo la direzione giusta. Ma non ci sono altri sentieri. “Non puoi che andare dritto, davanti a te. Non ci sono altri sentieri all’infuori di quello che sta sempre un passo avanti al tuo piede destro”.
Dead Man, So you wanna live now but it's only time to die!
Un’alba umida intrisa in spire di astinenza al rumor bianco intorpidisce ciò che resta del mio corpo; il sole è già malato, appena sorto da una visione acquosa e pallida sulla lunga linea verde della costa che rimbomba al grido meccanico degli incrociatori.
E’ tempo di andare.

2 commenti:

mr.Hyde ha detto...

Non lascio i commenti perchè sarebbero stupidi, preferisco leggerli questi post..

Unknown ha detto...

Thankssss!
...comunque occhio, ormai siamo ad (una) fine...

ShareThis

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...