Il chitarrista vagabondo Larry Wallis è uno degli eroi sconosciuti del
più viscerale Rock Britannico degli anni settanta. Già amico di lunga data di
una leggenda come Steve Took (Tyrannosaurus Rex) nonché del pericoloso
terrorista psichedelico Mick Farren (Deviants), prestò la sua infuriata
chitarra a Shagrat e Blodwyn Pig, fu nel 1971 in una precoce incarnazione degli
UFO, dopo il siluramento del visionario Mick Bolton, e nel 1975 si unì ad un
altro reietto eroinomane, esule della Nave Madre degli Hawkwind, tale Ian Kilmister, per formare un trio assai trash
dal nome Motorhead.
Ma prima di questa ennesima (breve) avventura, fece a tempo a
rimpiazzare il canadese Paul Rudolph nei Pink Fairies, paladini degli spiantati
squatter di Ladbroke Grove, in tempo per il loro terzo album e terzo cambio di
formazione e stile: dallo space-freak di Never Never Land, alla guerriglia
urbana di What a Bunch of Sweeties, fino a questo Kings of Oblivion,
sfavillante e assai più radio friendly dei precedenti. I Faries venivano da un
45 inciso con Mick Wayne, chitarrista di passaggio, che aveva portato in studio
un boogie sudista dal titolo Well, Well,
Well, non esattamente nelle corde dei membri storici del gruppo, Duncan
Sanderson e Russell Hunter che pure con Rudolph avevano inciso la migliore
versione in circolazione della famigerata Goin'
Down di Don Nix. Ma il rimedio è dietro l’angolo poiché la sezione ritmica
collaudatissima e potente della ditta Sanderson & Hunter, unita alla
sfrontata freschezza di Wallis, produce un terzetto di rocker formalmente
impeccabili: stivaletti di serpente, giacche di pelle, lunghissimi capelli
crespi e perenni occhiali scuri; trasudano testosterone, power-chord e adrenalina da ogni poro. Larry scrive da sé
quasi tutto un LP in equilibrio precario tra accelerazioni hard e tentazione di
travestitismo glam: è il 1973 e siamo al crocevia di mille generi e altrettante
decadenze.
Tracce folgoranti di tre minuti si alternano ad estesissime jam basate
su riff semplici e coinvolgenti, prive delle pulsioni galattiche dei fratelli
Hawkwind; New York Dolls uniti alla ritmica e ad una vocalità curiosamente
ispirate agli Who delle Rock Opera, ma anche sani isterismi proto punk che il
gruppo aveva nel DNA dal tempo di Do it!
e che allo stesso modo ispireranno i suddetti Motorhead. Dentro una simpatica
copertina con un cielo azzurro in cui volano tre maialini alati, la musica
freme ed esplode già da City Kids,
uno speed rock senza alcun fronzolo e anzi con un assolo fantastico, lineare,
velocissimo, con un tiro pazzesco: il migliore del 1973? Questa stessa canzone
ricomparirà un anno più tardi sul “teorico” esordio dei Motorhead, On Parole,
serbato in realtà dalla United Artist come un segreto da non divulgare.
Dallo stesso stampo anche Chromium
Plating, furibondo monologo del chitarrista su effetti sfolgoranti e più
atmosferici, con californiane incursioni del vibrato acuto della chitarra.
Ancora meglio Raceway, modulazione
sullo stesso riff di City Kids,
strumentale per sbaglio, in quanto Wallis aveva pronta la linea vocale che non
fece a tempo a incidere: così resta una specie di Heavy-Surf che starebbe bene
come colonna sonora di qualche inseguimento automobilistico di Starsky &
Hutch. La quarta traccia “breve” è Chambermaid,
tre minuti di Hard n’ Roll in perfetta linea coi tempi.
Sul versante brani “estesi” bisogna pur ammettere che le canzoni per
quanto lunghe non annoiano del tutto né sconfinano in soliloqui né nei
noiosissimi assoli di batteria alquanto comuni all’epoca. I Wish I Was A Girl, inno esplicito al travestitismo di tanto
omo-rock Britannico, troneggia su tutto il resto con quasi dieci minuti retti,
oltre che sulla maestria di Wallis, su uno spettacolare giro di basso di
Sanderson: pulito, rotondo, simmetrico, perfettamente power-pop; lo si
ascolterebbe per ore e da solo vale il prezzo del disco. When's The Fun Begin, firmata da Mick Farren oltre che da Wallis, è
un’ouverture che pare una costola di Tommy persa a tratti negli atmosferici
territori dei primi Rush. Street Urchin
chiude il disco sotto i colpi della batteria di Hunter, e si concede a qualche
passaggio funkeggiante nei riff percussivi di chitarra.
Sette tracce, un album, circa un anno di lavoro. La sintesi
dell’avventura di Larry Wallis con i Pink Faires è questa. Un rock positivista,
tutto divertimento, giovanile ma non piattamente banale, fatto da vecchie volpi
del sottobosco ma con il solo difetto di mancare di un vocalist vero, che
avrebbe potuto proiettare tracce come City
Kids o Chambermaid - perché no? -
ai vertici delle classifiche.
Pink Fairies - Kings Of Oblivion – Polydor - 2383-212
– UK - 1973
A1 City Kids 3:45
A2 I Wish I Was A Girl 9:41
A3 When's The Fun Begin? 6:13
B1 Chromium Plating 3:48
B2 Raceway 4:08
B3 Chambermaid 3:18
B4 Street Urchin 7:07
2 commenti:
I Wish I Was A Girl mi ricorda le prime cose di Peter Frampton, anche di Clapton..Ho ascoltato anche Chromium Plating, tiratissimo, cantato da Alice Cooper sarebbe stato ancora meglio, ed anche Raceway, si ci trovo anche i Who.. nient'affatto male! Il chitarrista si porta dietro tutti, forte..Insomma lo sto ascoltando tutto.
Bello. Ciao Evil!
Si, non e' male, diverso da altri Pink Faries ma ben godevole. Ma questo in effetti e' ststo un grande gruppo, matti, ultralternativi ma oggi assai rivalutati ed ormai ampiamente riscoperti!
Un salutone!
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