Je vous entends demain Parler de
liberté
Gilles
Vigneault
Non interpretate questo post troppo alla lettera.
Nasce certo come una nuova introduzione all' indagine sul rock canadese, ma
contiene anche qualche concetto, qualche linea guida trasversale con i quali mi
piaceva inaugurare questo 2015.
Un anno da cui, non lo nascondo, ed anzi lo dico sin d'ora, mi aspetto
molto.
***
Non sono mai stato un fan del
"Progressive" in senso stretto.
Yes, King Crimson, Genesis ed altri li
ho ascoltati più per senso del dovere che per passione. Ed anche il folto
sottobosco Vertigo o Harvest l'ho frequentato più per completistica curiosità
che per vero interesse.
Ho spesso avuto riserve su un certo
messaggio che ho letto sotteso a tanto prog. Un messaggio che, probabilmente
sbagliando, ho sempre associato al disimpegno, al conservatorismo opposto alle
fatue libertà del 1967, legato addirittura al collaborazionismo, fino a certe
istanze superomistiche care alla destra.
Ebbene non sono qui per redirmi o
smentirmi. Non del tutto.
Perchè, sotto sotto, nell'eterogeneo
mondo del prog, c'è anche un trasversale filo rosso che mi ha sempre
affascinato più di quanto io stesso non sia disposto ad ammettere, un filo
rosso fatto di devozione per la musica colta, per la storia, per il
romanticismo e il fantasy nelle sue più svariate forme.
Ciò di cui avevo bisogno era un
territorio vergine, uno spazio ampio da considerare nel suo insieme e nella sua
unitarietà, molto più notevole della mera somma di tanti singoli.
Con la scena di Canterbury già
ampiamente sviscerata e la vera passione che negli ultimi hanno ha investito il
kraut rock e il prog italiano, mi sono rivolto a quello che è oggi - perchè
presto ne scopriremo un altro, vi garantisco - l'ultimo baluardo vergine tra i
variopinti mondi del prog: il Quèbec.
Ed ecco già in partenza la prima
semplificazione.
Perchè in effetti era solo un mio
pregiudizio l'immaginare la scena del Quebèc come devota unicamente al
"genere prog".
In realtà, addentrandomi
nell'argomento, ho scoperto una proposta assai più composita e variegata, nella
quale il prog era solo un semplice denominatore, più o meno comune, adottato
più per comodità che per reale corrispondenza musicale.
Dall' originale "QuebecProgSampler"
che avevo pensato come titolo di prima battuta, ho quindi dovuto cambiare,
pensando a "JoualRockSampler", assumendo come carattere peculiare
l'adozione dello slang anglofrancese, joual appunto. Ma anche questa sarebbe
stata una semplificazione eccessiva, nonchè una notazione assai poco
comprensibile. "MonrealRockSampler", con pronuncia alla francese? O
qualche altra tipicità locale?
No, allora meglio il semplice,
immediatamente comprensibile Quèbec, inteso come unità sociale ancor prima che
geografica; rock, nell'accezione più variegata di musica per le "nuove generazioni".
L'interesse per questo argomento
infatti è nato, oltre che dalla musica, dalle peculiarità culturali e storiche
di questo paese. Un'enclave europea, potremmo addirittura dire latina,
cattolica, in un continente anglosassone, protestante, sottoposto alla pesante
egemonia statunitense. Una regione che ha percorso una strada tortuosa ma
sempre di grande dignità verso l'indipendenza, o almeno verso il pieno
riconoscimento di sè, in una stagione segnata anche da scontri, da lotte, fiere
opposizioni, nonchè dalla musica, oggi grande testimonianza di quell'epoca.
Un percorso che rientra probabilmente
nella trasversalità delle rivendicazioni degli ultimi anni '60, in un primo
esempio di globalizzazione di sentimenti, aspirazioni e mode che oggi ha
ampiamente dimostrato tutta la sua futilità, ma che all'epoca non mancò di
segnare, in occidente, il proprio slancio utopistico.
Utopia, che fossero
le canzoni di protesta di Joan Baez, di Woodstock, di Gilles Vigneault o dei
menestrelli proletari europei che cantavano il '68 studentesco.
E forse, alla fine dei sogni, ognuno fa
i conti con l'alba di una nuova giornata; ogni comunità, ogni libero
associazionismo, ogni fazione politica ha il proprio risveglio. E se la nemesi
dell'utopia sta spesso nella realtà, anche in musica ciò che seguì ai mega
raduni acidi, alle "protest song", al rock politicizzato, va
ricercato nei fatti e nelle persone, analizzando quel controverso periodo di
simulazione, disimpegno e restaurazione - apparenti o reali - che furono i
primi anni '70.
Ecco, in Quèbec, l'avventura musicale
del rock francofono e degli chansonnier che lo hanno preceduto, fu colonna
sonora ed oggi è in qualche modo l'eredità di una stagione che ha davvero visto
"uomini in marcia" -
parafrasando un titolo dei Morse Code - non per capriccio di qualche studente
fuoricorso o per la posa artatamente alternativa di discutibili leaders
politici, ma per un desiderio di libertà e di indipendenza che qui - da
osservatore distante nel tempo e nello spazio - mi azzardo a definire sincero.
Un'avventura che copre quella dozzina
di anni immediatamente successivi alla Rèvolution
Tranquille (la Quite Revolution della
cronaca anglofona) idealmente compresi tra l'Expo universale del 1967 a
Montreal ed il referendum indipendentista del 1980; riferimenti non musicali ma
dall'impatto emotivamente dirompente su tutta una comunità, sui suoi sogni, le
sue lotte, le aspirazioni ed i bruschi risvegli.
In questo periodo, l'avventura più
strettamente progressiva si consuma tra il 1971 e il 1977, preceduta da una
breve ma gloriosa parentesi di estremismi psichedelici d'importazione e
sperimentalismi dimenticati, e degenerata, negli ultimi anni 70, in ritmi dance
e (ottima) fusion.
Nella scrittura di questi testi, sparsi
per ora tra blog e social, mi sono presto scontrato con difficoltà operative,
previste di sicuro, ciò non di meno limitanti.
La prima, quella determinante: la
difficile reperibilità di molti dischi; l'accesso alle informazioni, che sono
frammentarie, inattendibili, a volte perfino fuorvianti.
La seconda: immergermi in un tempo ed in
una latitudine che non mi appartengono, non studiati a scuola, mai incontrati
in precedenza.
Perchè l'intento di QuèbecRockSampler è quello di proporre
non solo una carrellata di nomi, cognomi e titoli, ma di collocarli in un
contesto il più dettagliato possibile e magari anche in una prospettiva, se non
storica, almeno cronologica.
Per fare ciò ho scelto di operare su due binari ben
distinti.
Il primo: l'ascolto.
Ascolto spesso nudo. Digitale, impersonale, freddo, senza
introduzioni nè avvertimenti. Ma proprio per questo neutrale, al riparo da
facili preconcetti e giudizi. Piacevole per il gusto della scoperta.
Il secondo: l'indagine storica. Indagine, per quanto
possibile, verificabile, approfondita, basata sui dati e sulla ricerca attenta
delle fonti e delle bibliografie, senza paura di intraprendere contatti e
relazio con chi più di me ha vissuto e conosciuto quegli anni.
Il collante tra questi due binari lo
fanno le storie degli uomini che hanno prodotto musica e si sono esibiti in
quegli anni; le storie di personaggi cui nomi non sono quasi mai citati dalle
top ten e che ancor meno sono approdate sull'altra sponda dell'Atlantico.
Il risultato è un viaggio
personalissimo e certo incompleto attraverso i nomi e i titoli di artisti ed
opere che sarebbe bello riascoltare, se non per reale passione verso il loro
stile, per imboccare la strada che porta al riconoscimento pieno della
globalità e della multiformità d'aspetto della musica rock.